Un esodo nel silenzio. Gli armeni lasciano il Nagorno-Karabakh

Dal territorio del Nagorno-Karabakh che era stato riconquistato la settimana scorsa dall’Azerbaigian è iniziato il tragico esodo degli armeni

La situazione
Gli armeni nella regione del Karabakh hanno scelto la resa e lo hanno fatto nel modo più umiliante: “Tutti gli organi statali e le organizzazioni che dipendono da loro devono essere sciolti entro il 1 gennaio 2024 e la repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh) cessa di esistere”, questo l’annuncio, straziante, di Samvel Shakhramanian, presidente della repubblica dell’Artsakh dal 10 settembre scorso. Dopo l’offensiva militare e il cessate il fuoco “mediato” da Mosca, l’Azerbaigian sta pian piano prendendo il controllo della regione separatista del Nagorno-Karabakh, a partire dai primi bombardamenti iniziati la settimana scorsa. Abitata prevalentemente da armeni (circa 120.000 su 140.000 totali), la regione del Karabakh sta perdendo la sua maggioranza armena a causa dell’esodo dei civili, i quali stanno abbandonando le loro case nel timore di nuove rappresaglie.

La Russia volta le spalle
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha dichiarato che la decisione dell’Armenia di ratificare lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale si è rivelata una mossa “estremamente ostile” alla Russia. Non solo quindi la manovra congiunta di Azerbaigian e Turchia (storico alleato fedele degli azeri), ma l’esodo armeno sta avvenendo con successo anche (e soprattutto) per via dell’intercessione di Putin. E questa è una novità. La Russia, fin dalla prima guerra del Karabakh (1989-1994), era stata un fedele alleato dell’Armenia e questo nuovo scenario che si prospetta porterebbe l’Armenia a restare da sola nello scacchiere del Caucaso. Sull’agenda politica delle nazioni europee, d’altro canto, questo disequilibrio risulta di poco interesse: l’ambiente francese (che deve anche guardare a 850.000 potenziali elettori) e quello tedesco stanno ancora facendo molto poco. Per molti anni Mosca si è opposta alle pretese azere, anche in sede Onu, ma erano tempi diversi. Il Cremlino era sì in guerra, ma con la Georgia per l’Ossezia del Sud e l’Abcasia, russofone e russofile. Ora la Russia conduce un’invasione in Ucraina dal febbraio 2022 e non può più compromettersi altri rapporti, avendo già una gittata di relazioni internazionali assai più limitata rispetto anche a due anni fa.
E l’Italia?
Resta a guardare. Le relazioni italo-azere hanno preso quota a partire dal 2005, quando l’Azerbaigian esporta in Italia non meno del 50% del proprio petrolio. Come proprietaria del 5% delle quote in Contract of the Century, la compagnia italiana Eni-Agip ha preso parte anche alla costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. L’Italia è tra quei paesi che prestano assistenza umanitaria in Azerbaigian e l’accordo, in situazioni di questo tipo, è chiaramente vincolante. Il governo italiano, inoltre, tutt’oggi, aiuta diverse istituzioni mediche e sociali in Azerbaigian e, da tempo, l’Azerbaigian sta negoziando con l’Italia (in particolare AresDifesa Leonardo) l’acquisto di armamenti in grande scala. La lista della spesa di Baku comprende jet d’addestramento, fucili d’assalto, semoventi contraerei, batterie di missili terra-aria, aerei da trasporto e sottomarini tascabili.
Se a Baku si festeggia sfilando con la bandiera turca e quella azera, a Step’anakert e Erevan si soffre, anche perché il Corridoio di Laçin, unico collegamento tra la regione separatista del Karabakh e lo stato armeno, sembra nuovamente essere stato interdetto da un ampio dispiegamento di forze che fanno capo al presidente Aliev.