Vaiolo delle scimmie. Cosa sappiamo fino ad oggi
Il 7 maggio scorso nel nostro continente è stato registrato il primo caso di vaiolo delle scimmie, da allora si sono susseguite le segnalazioni in diversi Paesi, ma è ancora presto per creare allarmismi nella popolazione e ricorrere a misure drastiche di contenimento, al momento le autorità sanitarie dell’OMS non prefigurano il rischio di una pandemia, ma invitano i Paesi ad essere più vigili.
“Speriamo di poter sapere qual è la situazione nei prossimi giorni, al momento non sappiamo se vediamo la punta dell’iceberg e ci sono più casi ancora non rilevati nelle comunità; non sappiamo se ci sono ‘serbatoi’ animali e neanche la modalità di trasmissione”. Quindi è “difficile valutare il rischio di diffusione nella comunità”, queste le parole di Sylvie Briand, direttrice dell’Emergency Preparedness dell’Organizzazione mondiale della sanità. Dunque, la parola chiave in questo momento è “vigilanza”, per comprendere meglio le caratteristiche e la contagiosità del virus.
Un aiuto in tal senso arriva dall’isolamento del “monkeypoxvirus” avvenuto all’Ospedale Sacco di Milano; un risultato importante della ricerca per studiare meglio il virus, individuare farmaci efficaci a contrastarlo e per verificare la risposta anticorpale dei pazienti.
Che cosa sappiamo del vaiolo delle scimmie
Il vaiolo delle scimmie (Monkeypox virus,MPXV) è un virus a DNA, endemico in due zone dell’Africa: in Africa centrale (Congo) associato a forme più gravi e in Africa occidentale associato a forme più lievi.
Il primo caso di questa forma di vaiolo è stato isolato in Africa nel 1958 nelle scimmie e poi nei roditori, mentre nell’uomo è stato isolato per la prima volta nel 1970.
Il contagio, secondo un documento dell’Istituto Superiore di Sanità, avviene attraverso il contatto stretto materiale infetto proveniente da lesioni cutanee, o attraverso i droplet (goccioline) in caso di contatto prolungato faccia a faccia, o attraverso i fluidi corporei di persona infetta.
I contatti stretti dei casi MPVX attualmente segnalati comprendono principalmente i partner sessuali e
le persone che vivono nella stessa famiglia o chiunque condivida la stessa biancheria da letto o gli
stessi indumenti con un caso.
L’incubazione ha una durata di circa 6-13 giorni, ma può arrivare a 21; per quanto riguarda i sintomi, sono principalmente febbre, mal di testa, dolori muscolari ed eruzioni cutanee; queste ultime sono stati nei nuovi casi il principale campanello di allarme nella diagnosi della malattia.
La buona notizia in queste prime settimane di diffusione del vaiolo delle scimmie nei Paesi non endemici è che si tratta di forme curabili, non mortali. Le autorità sanitarie spiegano che la maggior parte delle persone infette guarisce entro poche settimane senza trattamento. Tuttavia, occorre prudenza perché la malattia può essere più grave, specialmente nei bambini piccoli, nelle donne in gravidanza e negli individui immunocompromessi.
Sicuramente, in Paesi come l’Italia, un aiuto nella risposta anticorpale può arrivare dalla vaccinazione contro il vaiolo che da noi è stata obbligatoria fino ai primi anni 80.
Diffusione in Europa e in Italia
Ad oggi secondo i dati dell’OMS il vaiolo delle scimmie si è diffuso in 23 Stati, con 257 casi confermati e 120 sospetti. In Italia siamo arrivati a 14 casi confermati, 1 probabile e 6 sospetti, diffusi in prevalenza il Lombardia (rilevazione al 29.05.2022).
Ancora però non sono del tutto chiare le origini della diffusione del vaiolo delle scimmie al di fuori dei paesi africani in cui è endemico
Il professor Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, in un’intervista dice: “La maggior diffusione ed esportazione negli Stati ha avuto origine alcune settimane fa alle Canarie, dove, durante due grandi feste ci sarebbe stata un’interazione frequente e ravvicinata tra diversi partecipanti.” (dal 5 al 15 maggio si è tenuto il Maspalomas Pride by Freedom, un mega evento organizzato dalla comunità LGBT).
Tutto resta ancora da accertare. Secondo l’OMS i casi potrebbero salire nelle prossime settimane, ma la situazione sembra per ora sotto controllo.
Tra l’altro il ministero della Difesa russo, come riportato dall’Ansa, evoca il sospetto che ci sarebbero i laboratori USA dietro la crisi del vaiolo delle scimmie e chiede di indagare su 4 centri americani in Nigeria. Ci troviamo di fronte ad una guerra dei virus o è soltanto una teoria complottista?
Intanto nel nostro Paese dove il Ministero della Salute il 25 maggio ha emanato una circolare avente come oggetto “l’aggiornamento sulla situazione epidemiologica e le indicazioni per la segnalazione, il tracciamento dei contatti e la gestione dei casi”. Il testo precisa che per i sanitari a contatto con pazienti malati il rischio di essere contagiati è molto basso nel caso in cui si utilizzino in modo appropriato i dispositivi di protezione individuale. Dunque è prematuro al momento ipotizzare una vaccinazione per questa categoria.
Dopo due anni di pandemia, dunque, senza allarmismi è però normale che le autorità sanitarie mantengano un livello di attenzione alto sul vaiolo delle scimmie, così da trovarci pronti nel caso servisse.
A tal proposito l’Italia possiede già 5 milioni di dosi di vaccino e l’Unione Europea sta lavorando ad un acquisto centralizzato di vaccini ed antivirali, ma la vaccinazione dovrebbe essere limitata a “casi molto specifici” dato che la trasmissibilità e il rischio connessi al vaiolo non sono comparabili con il Covid.
Secondo Francesco Vaia, direttore generale dello Spallanzani, dove sono in cura diversi pazienti affetti da vaiolo: “Non c’è alcuna esigenza di corsa al vaccino: il fenomeno è contenuto e di lieve entità, e la letalità è veramente bassa e legata a problemi principalmente immunitari”. Da aggiungere a ciò il fatto che circa il 40 per cento della popolazione è già stato vaccinato contro il vaiolo.
Dunque monitoraggio e prudenza sono le parole invocate dagli esperti.