Quando la Riviera era Ibiza: memoria di un sogno collettivo

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui dire “Riviera” evocava lo stesso fermento che oggi accompagna il nome di Ibiza. Era il tempo in cui Rimini, Riccione, Cattolica e tutta la costa adriatica romagnola diventavano l’epicentro di una cultura giovanile vivace, sfrenata, con epicentri musicali e culturali che nulla avevano da invidiare alle capitali del divertimento europeo. E no, non si trattava solo di discoteche. Negli anni Ottanta e Novanta, la Riviera Romagnola era il cuore pulsante della notte italiana. La Baia Imperiale, il Cocoricò, il Peter Pan, l’Ecu, il Paradiso: nomi che oggi suonano quasi mitici, ma che all’epoca erano vere e proprie mecche per chi cercava evasione, musica all’avanguardia, incontri, trasgressione. Ogni estate, centinaia di migliaia di giovani italiani (e non solo) affollavano la costa per vivere un’esperienza collettiva, rituale, spesso iniziatica. L’economia locale viveva un boom apparentemente inesauribile: alberghi pieni, stabilimenti balneari operativi h24, migliaia di addetti stagionali, e una rete di attività collaterali – bar, pub, locali – che lavoravano a pieno regime. Ma era anche un periodo in cui la Riviera non era solo nightlife: era uno specchio del cambiamento sociale italiano. Un luogo in cui la provincia si metteva in scena, dove la borghesia si mescolava con la cultura popolare, dove il turismo era un laboratorio sociale. Poi qualcosa si è spezzato. E non tutto è avvenuto all’improvviso. Il declino della Riviera come “Ibiza italiana” è stato lento, carsico, disseminato di segnali ignorati. I primi colpi arrivano già a inizio anni 2000: crisi economiche, cambiamenti nelle abitudini giovanili, una maggiore sensibilità verso la sicurezza (non sempre accompagnata da un’effettiva capacità di gestione), e un turismo che si fa via via più mordi-e-fuggi. Il colpo più duro è arrivato però con l’accanimento normativo e la crescente ostilità delle amministrazioni locali verso il mondo delle discoteche. Ordinanze anti-rumore, limiti orari sempre più stringenti, sanzioni, controlli a tappeto. Molti locali storici hanno chiuso o riconvertito le proprie attività. Il Cocoricò, simbolo assoluto di quell’epoca, ha attraversato anni travagliati, passando di mano e smarrendo (almeno in parte) la propria identità. Nel frattempo, i giovani italiani guardavano altrove: Mykonos, Barcellona, e ovviamente Ibiza, che ha saputo rinnovarsi con intelligenza, investendo in infrastrutture, promuovendo eventi di livello internazionale, mantenendo un’identità forte senza diventare una caricatura di sé stessa. Il declino della Riviera non è solo frutto di politiche locali poco lungimiranti. È anche la conseguenza di profondi cambiamenti sociali: la generazione Z ha un rapporto diverso con il divertimento. Meno clubbing, più esperienze “autentiche”, attenzione alla sostenibilità, ricerca di momenti intimi e personalizzati. Anche l’economia del turismo è cambiata: il modello degli anni ’80-’90, basato su grandi flussi e consumo di massa, oggi fatica a reggere il passo di un turista sempre più esigente, connesso, mobile, e con aspettative differenti. Eppure, dichiarare morto lo spirito della Riviera sarebbe un errore. Negli ultimi anni, qualcosa si sta muovendo. Alcuni locali stanno provando a reinventarsi, puntando su eventi culturali, musica elettronica di qualità, collaborazioni internazionali. Il turismo esperienziale, il ritorno delle famiglie, il boom delle bici e del wellness offrono nuove strade. Ma il punto, forse, non è tornare a essere l’Ibiza degli anni ’90. Il vero obiettivo dovrebbe essere trovare una nuova identità, capace di riconoscere quel passato glorioso senza diventarne ostaggio. Perché la Riviera ha ancora tutte le carte in regola: una cultura dell’ospitalità unica, un patrimonio umano straordinario, e una posizione geografica invidiabile. Resta da capire se avrà anche il coraggio di rischiare di nuovo. Di credere in una visione. Di scommettere – come una volta – sul futuro.