La tregua scozzese del dazio

Oggi, in Scozia, andrà in scena uno degli incontri più delicati della stagione politica ed economica internazionale. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, incontrerà Donald Trump, nuovamente alla guida degli Stati Uniti, in una località simbolica: il golf resort di Turnberry, di proprietà dello stesso ex presidente. Ma qui non si gioca una partita a 18 buche: si decide il destino di un accordo commerciale transatlantico da migliaia di miliardi di dollari.
L’obiettivo è chiaro: evitare l’innesco di una nuova guerra dei dazi. Trump minaccia di alzare le tariffe doganali al 30% su una vasta gamma di beni europei, inclusi auto, acciaio e prodotti agricoli. Bruxelles, pur pronta al confronto, si presenta con una proposta di compromesso: abbassare la media tariffaria al 15%, mantenendo esenzioni su settori strategici come il farmaceutico, le auto elettriche e i beni di lusso. Sul tavolo anche le contromisure: un piano da 93 miliardi di euro pronto a colpire le esportazioni americane, nel caso l’incontro dovesse fallire.
Ma ciò che rende il vertice ancora più teso è il metodo scelto: una trattativa tra leader, fuori dai canali ufficiali. Nessun documento preliminare, nessuna conferenza tecnica. Solo von der Leyen e Trump, faccia a faccia. Una scelta che riflette lo stile dell’ex presidente americano: diretto, personalistico, mediatizzato. Da parte europea, la decisione di partecipare è stata discussa fino all’ultimo. Alcuni Stati membri, Francia in testa, avrebbero preferito una linea più dura. Altri, come la Germania, temono invece ritorsioni soprattutto nel settore automobilistico, vero perno della loro economia.
Il Regno Unito, spettatore interessato, entra in scena lunedì. Il premier Keir Starmer incontrerà Trump per discutere a sua volta dei dazi americani sull’acciaio britannico e sull’export di whisky scozzese. Quest’ultimo, colpito da tariffe punitive negli anni precedenti, rischia di perdere ulteriori quote di mercato proprio nei mesi cruciali della ripresa post-Brexit. Il primo ministro scozzese John Swinney ha già annunciato che chiederà esplicitamente a Trump garanzie per le imprese locali, molte delle quali dipendono in modo diretto dal commercio con gli Stati Uniti.
E intanto la Scozia si prepara ad accogliere la diplomazia con un misto di sicurezza eccezionale e proteste annunciate. I movimenti anti-Trump hanno organizzato manifestazioni in varie città, temendo che l’incontro si trasformi in uno spot elettorale per l’ex presidente, a discapito della trasparenza e della sostanza.
La scadenza imposta da Trump è chiara: primo agosto. Dopo quella data, scatteranno le nuove tariffe, a meno che non venga trovato un accordo “globale e vincolante”, come lo ha definito il team del presidente. In quel caso, Bruxelles potrebbe essere costretta a rivedere la propria posizione, anche a costo di cedere su alcuni punti cruciali pur di evitare uno shock commerciale che andrebbe a colpire imprese e consumatori.
Ma la partita non è solo economica. È politica. Per Trump, si tratta di riaffermare la sua linea muscolare sull’economia internazionale, in vista delle prossime presidenziali. Per von der Leyen, è un test di credibilità in un momento in cui l’Unione Europea cerca di rilanciarsi dopo mesi di tensioni interne. Per Starmer, infine, l’incontro rappresenta la prima vera prova di politica estera post-elezioni: sarà in grado di proteggere gli interessi britannici senza farsi oscurare dalla presenza ingombrante dell’alleato americano?
Oggi si capirà se Turnberry sarà ricordata come la località dove fu evitata una nuova crisi commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, o come il luogo dove le diplomazie scelsero di piegarsi, ancora una volta, alle logiche del muscolo più che del compromesso. La storia recente insegna che i dazi non sono mai solo un affare di numeri: sono strumenti di potere, di pressione, di politica. E mai come stavolta, il gioco rischia di essere globale.