Il duello “al primo sangue” tra Ungaretti e Bontempelli

Famosi sono i racconti europei ed italiani di “cavalieri” che si contendono la mano di una damigella o di una principessa: queste follie d’amore, hanno origine nell’antichità ed attraversano il tempo nel medioevo fino all’età moderna. Chi l’avrebbe mai detto che questa tradizione ancestrale sarebbe arrivata fino al secolo novecentesco?
Correva l’anno 1926, precisamente l’8 Agosto, quando Massimo Bontempelli, noto scrittore italiano, ingaggiò una contesa “al primo sangue” con Giuseppe Ungaretti, nel cortile di una villa romana che al tempo appartenne a Luigi Pirandello, versatile real-drammaturgo italiano. All’origine dell’alterco tra i due, una diatriba giornalistica presumibilmente diffamatoria.
Entrambi si armarono di spada e delle loro idee, pronti a difenderle nel singolar tenzone che li vide coinvolti, come se le loro convinzioni rappresentassero una donna amata: l’amor per loro li fece cavalieri per qualche momento, un’esaltazione trascinante che li rese protagonisti di un evento a dir poco romantico. Nessun tribunale, soltanto un terreno circoscritto, la cui gestione arbitrale fu affidata ad Agesilao greco, schermidore di quegli anni.
All’incontro furono presenti sia fotografi che giornalisti, tanto che il momento venne immortalato dai primi e descritto dai secondi. Le immagini hanno solcato le intemperie degli anni, per mostrarsi agli osservatori come attimi racchiusi nell’eternità dello scatto. Durante lo scontro, Bontempelli riuscì a ferire Giuseppe Ungaretti sull’avambraccio, sconfiggendolo così e consegnando la vittoria per merito al primo: dopo la disputa, i due sarebbero diventati più amici di quanto lo fossero stati in precedenza. Risultato delle gesta di una nobile arte che prima divide, ma unisce dopo l’epilogo, mediante una sportività più unica che rara.
Poco importa in realtà il risultato e la vincita, per noi che ne siamo eredi e lontani osservatori; piuttosto l’epicità della circostanza che avrebbe regalato ai posteri un piccolo ma immenso poema epico visivo. Ritratto sociale di un’altra Italia, in cui gli intellettuali indossavano all’evenienza le vesti di un uomo d’azione, perché abituati a desiderare ardentemente la lotta come forma di libertà: il regolamento di conti tra i due colti personaggi rappresenta, ancora oggi, la volontà di rompere i canoni che li terrebbero legati ai canoni del tempo e dello spazio.
Gesta romantiche aldilà del bene e del male, operate da uomini ribelli senza paure, che ci ricordano quanto sia importante sentirsi vivi in una contemporaneità che talvolta rischia di elogiare la banalità e l’ignavia.
Contro le logiche della frivolezza e della decadenza dei mores, sorgano ancora nuovi cavalieri!