Mein Kampf al Piccolo Teatro: le parole non sono inchiostro

Stefano Massini porta in scena al Teatro Strehler di Milano dall’8 al 27 ottobre 2024, Mein Kampf. Lo fa su una scena vuota, con uno stile pulito, senza mai cadere nella retorica, facendo parlare le parole di Hitler senza contradditorio, convinto che conoscere sia l’unico modo per potersi orientare. Solo un paio di effetti scenici evocativi interrompono per un attimo la narrazione.
Il suo Mein Kampf un’indagine sulle parole del testo manifesto dettato dal giovane Hitler nella cella del carcere di Landsberg nel 1924, con l’innesto di discorsi e dichiarazioni dello stesso Hitler. Come Conversazioni di Hitler a tavola raccolte da Picker, Heim e Bormann o i discorsi da lui pronunciati all’inaugurazione di anni accademici. Era stato imprigionato per alto tradimento dopo il “Putsch di Monaco” dell’8 novembre 1923 per rovesciare il governo separatista di destra della Baviera. Putsch considerato da alcuni una emulazione della marcia su Roma di Mussolini.
Lo spettacolo ha il coraggio di vedere se quelle parole ci parlino ancora oggi, dove lo sgomento davanti alle trasformazioni è immenso e la politica denota arretratezza nel dibattito. Come “ieri” è infatti fortemente emotiva, incline a cavalcare smarrimento, paura e malessere enorme, sullo sfondo di una libertà di espressione squadernata e fragile.
È anche rischioso perché porta in scena un testo che è stato proibito sino a qualche anno fa e ancora lo è in Austria, in quanto germinale di una vergogna mortifera oggettiva.
Ma non aspettatevi la descrizione della industrializzazione della morte, di camere a gas, di crematori. Non si parla di bruciare sinagoghe o di campi di concentramento.
Mein Kampf: da dove si parte per infiammare la massa, quale è il punto di inizio per arrivare a bruciare i libri prima e gli uomini poi?
Massini attraversa la platea per salire sul palco scuro e vuoto dove campeggia una pedana rettangolare bianca. Che si illuminerà, come fosse una pagina bianca, quando comincerà a pronunciare le parole di Hitler.
Prima di quelle però l’autore e attore, racconta una piccola storia. É quella di Emil Erich Kästner (Dresda, 23 febbraio 1899 – Monaco di Baviera, 29 luglio 1974), uno scrittore tedesco conosciuto per libri per ragazzi, messo a tacere dai nazisti perché pacifista e opposto al regime. Che bruciò i suoi libri costringendolo ad assistere al rogo. O meglio, come Kästner stesso disse, non furono i nazisti a bruciarli, ma un libro. Mein Kampf appunto, testo autobiografico e di formazione.
Raccoglie infatti le parole del giovane Hitler. Inizialmente raccontano della sua infanzia e adolescenza immerse «nella composta nullità di quelle vite imbalsamate» a Braunau sull’Inn, una cittadina austriaca di provincia.
Poi, piano piano, cominciano ad affondare nella palude morale della massa che porta ancora la mutilazione della sconfitta della prima guerra mondiale.
Hitler stesso ne fa parte. E ha bisogno di credere e far credere a milioni di tedeschi svuotati, impauriti ed impoveriti che le loro vite mediocri siano destinate ad un fine più alto.
Cerca le parole per sottomettere quelli che ai suoi occhi sono solo bambini impauriti e tremanti, incapaci di decidere e quindi di prendere responsabilità, che hanno bisogno di sapere dove è il bene e dove il male.
Con queste parole, che colpiscono lo stomaco e la pancia, riesce a chiamarli a raccolta. Fa leva sulla loro tristezza, frustrazione, sul loro sognare in grande, sul loro terrore di rimanere irrilevanti. Istiga la loro voglia di grandezza, di riscatto, di cambiare la storia.
È questo mantra alchemico psicotico che ritorna ossessivamente perché è dentro di lui. Accompagnato da un sentimento inebriante ed esaltante di far parte di qualcosa di grandioso.
Hitler ha tutto il livore e la frustrazione di chi non è capace di emergere. Di chi in modo infantile, vuole avere tutto qui e ora, piuttosto che mettersi alla ricerca del sé, di iniziare quel lungo e faticoso processo del divenire uomo che implica coerenza interiore, tenacia, accettazione della sofferenza come via per il raggiungimento del proprio destino ed eventualmente una orgogliosa solitudine.
Per questo non vuole l’uomo nuovo, ma assecondare la natura banale dell’uomo normale senza ideali e con bisogni elementari privi di inquietudini morali. Offre ai tedeschi una tranquillità da animale addomesticato che non deve interrogarsi su dove stia il bene e dove il male.
Disprezza la pochezza del popolo. Ne nascono pochi, scrive, destinati a comandare e a schiacciare. La guerra è selezione e il gesto di uccidere il debole è straordinario.
Al contempo detesta ed invidia i borghesi per le loro ricchezze, ma li demonizza perché patetici cadaveri senza guida, privi del senso della nazione inebriante.
Ecco quindi che appare necessario trovare un nemico della grande Germania, qualcosa o qualcuno di esterno che, come un parassita depreda e saccheggia il corpo. Fatta la diagnosi, la cancrena ebraica, si trova la cura che si alimenta di ricordi di una passata grandezza quasi imperiale. E si arriva così al mito della razza ariana.
Il resto…è storia.
Massini chiude con un monito: le parole non sono solo aria o inchiostro, danno forma ai pensieri che poi diventano azioni. Ogni cosa comincia lì, nel bianco del foglio. E cresce sino a diventare potenza distruttrice.
Afferma Massini “il rischio di questi tempi non è tornare a marciare nelle piazze con gli stendardi e la svastica, non è la costituzione di una nuova forma di nazionalsocialismo, bensì l’avvento di individui diversi da Hitler nei modi, nei toni, nell’iconografia, perfino nel repertorio socio-culturale-politico, ben lontani da tutta la paccottiglia pseudo mitologica hitleriana, ma che siano tuttavia in consonanza con il senso più profondo delle sue parole. La società contemporanea ha eretto un monumento al concetto di empatia, dimenticando che essere empatici non è parlare alla testa ma – come Hitler stesso dice – al petto, allo stomaco, alle viscere, dove l’istinto regna incontrastato, dove albergano rabbia, orgoglio, frustrazione e paura: lì Hitler getta il proprio seme. È la cosa per me più impressionante di questo materiale ed è la sua estrema pericolosità”.
Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza), dall’8 al 27 ottobre 2024
Mein Kampf
di e con Stefano Massini, da Adolf Hitler
scene Paolo Di Benedetto, luci Manuel Frenda
costumi Micol Joanka Medda, ambienti sonori Andrea Baggio
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana