Togliatti: 55 anni dalla morte dell’uomo che cambiò il comunismo italiano
Sono passati 55 anni dalla morte di uno degli uomini più importanti della storia italiana del 900: Palmiro Togliatti. Dalla svolta di Salerno alla via italiana al socialismo, la vita e le conseguenze di uno dei volti che come pochi altri hanno segnato la vita dei comunisti italiani.
Già giovanissimo Togliatti nel 1919 fonda L’Ordine Nuovo, insieme a personaggi che avrebbero anch’essi fatto la storia della sinistra italiana, uno su tutti: Antonio Gramsci. Il sentimento che li pervade è di una certa diffidenza dai vertici del partito socialista italiano, i cui dirigenti non riescono, secondo loro, a dare la scossa in più che serve all’intero movimento per sfruttare l’aumento dei consensi che segna questa fase della storia italiana. L’industria comincia infatti ad invadere le città, in particolar modo Torino, dove i quattro si trovano, e le alienazioni portate dalle macchine nella vita delle persone cominciano a far comprendere all’elettorato che lo Stato deve intervenire in qualche modo in loro difesa. Con poco tempo il giornale abbandona quasi del tutto l’interesse per la cultura e si sposta sempre più sulle tematiche legate al movimento operaio: la rivoluzione russa è passata da due anni ormai, ma l’entusiasmo nei giovani comunisti europei non si è affatto assopito. Proprio su questa scia ideologica vengono ad instaurarsi le prime manifestazioni e le occupazioni, come quella della Fiat del 1920, mentre Togliatti diventa segretario della sezione socialista torinese.
La svolta comunista di Palmiro Togliatti e Antonio Gramsci
Di fronte a questi movimenti popolari, però, l’atteggiamento del partito socialista viene definito troppo remissivo dai fondatori de L’Ordine Nuovo e tutti quelli che gli sono vicini. Il 21 gennaio 1921 a Livorno, quindi, viene fondato il Partito Comunista d’Italia, perché si era convinti, Togliatti più di tutti, che la rivoluzione del proletariato fosse finalmente attuabile, ma doveva essere guidata da un gruppo dirigente che avesse in questa il suo primo obiettivo. Passano i mesi, Togliatti si trasferisce a Roma per scrivere per il quotidiano Il Comunista, il quale verrà però chiuso nel 1922 dai fascisti. Nei mesi precedenti alla III Internazionale Comunista, 1921, la linea generale dettata era quella di un riavvicinamento dei comunisti con i socialisti per fronteggiare l’avanzata delle destre in tutto il continente, ma i compagni italiani decisero di proseguire per la loro strada, decisamente ignari del pericolo che il fascismo rappresentava nel nostro Paese. In realtà nemmeno la marcia su Roma pare che fosse servita a far capire a Togliatti cosa stesse per accadere in Italia: «non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana […] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democratici». La situazione, invece, si fa sempre più grave per tutti i soggetti politici che non si schierano con i fascisti, come dimostrano gli attacchi squadristi, ma soprattutto la legge Acerbo del 1923 con cui Mussolini si assicura il potere.
Gli anni successivi sono tutti caratterizzati da identità false, tracce perdute e clandestinità per quasi tutti i membri del Partito Comunista d’Italia. Tuttavia verso la fine del 1925 si riescono a tenere dei congressi provinciali per il partito che deve presentarsi al congresso di Lione del 1926. Proprio qui Gramsci e Togliatti presentano le loro Tesi, nelle quali sostengono, tra le altre cose, che il proletariato del nord dovesse unirsi ai contadini del sud per combattere il fascismo e per farlo dovevano essere guidati dal PCdI seguendo il modello bolscevico: organizzazioni di lavoratori direttamente sui posti di lavoro. La figura di Togliatti, insieme a quella di Antonio Gramsci, diviene sempre più importante sull’intero panorama comunista internazionale, a tal punto che nel febbraio dello stesso anno deve lasciare momentaneamente l’Italia con la famiglia perché nominato capo della delegazione italiana per il VI Plenum dell’Internazionale Comunista, al termine del quale viene eletto all’Esecutivo dell’Internazionale con Stalin, ed altri vertici del Partito Comunista dell’URSS. Sono però questi gli anni in cui il Partito Comunista sovietico è dilaniato dalla lotta tra Stalin e Trotskij. Togliatti prende le posizioni del primo e lo ribadisce anche quando decide di non inoltrare al Comitato Centrale sovietico la lettera che Gramsci aveva scritto dall’Italia spiegando le sue preoccupazioni per quanto accadeva nel partito: «Quando si è d’accordo con la linea del CC, il miglior modo di contribuire a superare la crisi è di esprimere la propria adesione a questa linea. Probabilmente d’ora in poi l’unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo. Non è tanto l’unità del gruppo dirigente (che poi non è mai stata così assoluta) che ha fatto del partito russo l’organizzatore e il propulsore del movimento rivoluzionario mondiale del dopoguerra, quanto piuttosto il fatto che il partito russo ha portato la classe operaia a conquistare il potere». Gramsci temeva che Togliatti avesse frainteso le intenzioni della lettera, ma il suo arresto a novembre pose fine alla discussione.
Palmiro Togliatti alla guida del Partito Comunista d’Italia
La detenzione del comunista sardo, insieme a quella di molti altri compagni di partito (esclusi i clandestini), causata dall’inasprimento della repressione politica fascista seguita all’attentato a Mussolini, fece sì che alla guida del partito arrivasse Palmiro Togliatti. Da subito pose come prioritario il superamento di qualsiasi lotta interna, con l’unico scopo della lotta al fascismo ed alla dittatura, ovvero la stessa motivazione sarà poi alla base della svolta di Salerno, uno degli eventi più importanti della resistenza italiana. Negli anni seguenti divenne sempre più una figura di spicco della politica comunista, ben visto tanto dai connazionali quanto dai sovietici, a tal punto che dal 1934 si trasferisce stabilmente in Russia, dove riesce anche a non farsi intaccare minimamente dalle purghe staliniane, che invece erano state la condanna a morte anche di morti italiani in territorio sovietico. Nel 1936 viene inviato in Spagna come un rappresentante dell’Internazionale Comunista per poter osservare da vicino la guerra civile in atto, ma dopo la vittoria di Franco nel 1939 fu costretto a fuggire dalla Spagna e far ritorno in Unione Sovietica.
Nel 1943, dopo l’armistizio di Cassibile Togliattti fa finalmente rientro in Italia e pone fin da subito come vitale la questione della lotta al regime fascista, da portare avanti insieme anche alle altre forze politiche. Proprio in questo consiste la celeberrima svolta di Salerno, ovvero nel mettere da parte la lotta alla monarchia e la rivoluzione proletaria per poter abbattere il regime fascista, anche a costo di allearsi con quelli che potevano essere visti come nemici del popolo. La libertà delle persone al primo posto: «Convocata domani un’Assemblea nazionale costituente, proporremo al popolo di fare dell’Italia una repubblica democratica, con una Costituzione la quale garantisca a tutti gli italiani tutte le libertà: la libertà di pensiero e quella di parola; la libertà di stampa, di associazione e di riunione; la libertà di religione e di culto; e la libertà della piccola e media proprietà di svilupparsi senza essere schiacciata dai gruppi […] del capitale monopolistico. Questo vuol dire – prosegue – che non proporremo affatto un regime il quale si basi sulla esistenza o sul dominio di un solo partito. In un’Italia democratica e progressiva vi dovranno essere e vi saranno diversi partiti […]; noi proporremo però che questi partiti, o almeno quelli che […] hanno un programma democratico e nazionale, mantengano la loro unità per far fronte a ogni tentativo di rinascita del fascismo». La volontà di Togliatti di fare dell’Italia un paese libero, che potesse rinascere dopo lo scontro che aveva distrutto una nazione intera fu ancora più chiara con l’amnistia Togliatti, con la quale si decise di non perseguire tutti gli individui che si erano macchiati di reati politici dopo l’armistizio di Cassibile.
Gli anni successivi videro ancora l’Italia vittima di feroci scontri e lotte intestine, soprattutto per il timore che i comunisti potessero salire al potere e permettere quindi l’avanzata politica dei sovietici nello stivale. Tale tensione, oltre ai vari scontri in cui ci furono anche diversi morti, raggiunse l’apice con l’attentato a Togliatti nel 1948, che fu colpito da tre proiettili di pistola da un esaltato del partito qualunquismo. Già negli anni 50, comunque, il Partito Comunista d’Italia viene riconosciuto come il più importante fra quelli occidentali anche se non in grado di governare per la mancanza del consenso necessario. Negli stessi anni, inoltre, inizia a crollare il mito di Stalin che conoscerà morte definitiva dopo la scomparsa del leader sovietico, in particolar modo con le accuse presenti nel rapporto Kruscev, che lo stesso Togliatti commentò così: «Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva quasi disperata di persecuzione senza fine, di una diffidenza generale e continua, del sospetto in tutte le direzioni».
La via italiana al socialismo di Togliatti
Togliatti lancia così una nuova ed importantissima fase politica dei comunisti italiani: la via italiana al socialismo. Alla base vi è la necessità di autonomia dalla politica dirigenziale sovietica. Una spaccatura fortissima per quei tempi, poiché fino ad allora il partito comunista sovietico era l’unico che poteva dettare la linea dell’intero comunismo europeo, il quale, formato da ogni partito nazionale, doveva seguire rigidamente le regole che provenivano da Mosca. Il malcontento, o meglio la delusione amara, nei confronti di Stalin e delle scomode verità che erano emerse dopo la sua morte, trova così nuova linfa in un comunismo che fosse tutto italiano. Anche in questo caso la discussione che ne nasce è molto aspra, in particolar modo con la linea del partito italiano che non voleva abbandonare lo spirito della rivoluzione armata. Togliatti ovviamente si impose al fine di estromettere gli esponenti di questa linea dal partito, ma tenendo sempre ben chiaro che non voleva in alcun modo rinnegare l’importanza del comunismo e della dittatura del proletariato, tuttavia questa doveva essere raggiunta ora tramite via istituzionale, quindi con le elezioni. Il Partito Comunista d’Italia diviene dunque così una forza istituzionale ufficiale, non più vista come un movimento politico extra parlamentare pronto in ogni momento ad imbracciare il fucile e prendere la forza con il potere.
Negli ultimi anni della sua vita Togliatti espresse molte critiche anche all’esperienza sovietica, d’altronde già rintracciabili nelle parole che pronunciò molti anni nel suo rientro in Italia: «Finalmente liberi». Tali idee sono state raccolte nel suo Memoriale di Yalta, pubblicato dopo la sua morte, avvenuta nel 21 agosto 1964 a causa di un ictus proprio mentre si recava a Yalta per una vacanza in Crimea, dopo aver provato inutilmente a convincere Breznev della necessità di ricucire i rapporti Cina-URSS.
Anche dopo la morte si discusse ancora a lungo sulla figura di Palmiro Togliatti, d’altronde sarebbe impossibile fare altrimenti su una delle persone più importanti del comunismo non solo italiano, ma europeo. La rottura iniziale con Mosca, la via italiana al socialismo, l’amnistia Togliatti (che gli portò molte critiche sia dai compagni di partito, sia da chi invece lamentava una tolleranza eccessiva per le vendette fatte dagli stessi comunisti ai danni dei non sempre avversari politici), hanno segnato profondamente la vita di una certa area politica italiana per molti anni.