Che futuro per l’Ucraina?

Tutte le guerre, come ben si sa, hanno un inizio e una fine. In genere, la loro durata può estendersi per qualche mese di fila o per diversi anni, a seconda delle capacità e delle disponibilità economiche e militari di tutte le parti coinvolte. In altri casi, però, i conflitti possono estendersi per interi decenni, soprattutto quando nessuno dei contendenti riesce ad imporsi in maniera definitiva e, quindi, la situazione rimane pressoché inconclusiva per un lungo periodo temporale. In tutti i casi, però, alla fine vi è sempre quel processo – anch’esso di variabile durata e complessità – destinato a portare al raggiungimento del termine delle ostilità in maniera stabile e definitiva. Per ovvi motivi, lo stesso processo è destinato a ripetersi anche per il caso ucraino, nonostante ora la situazione sia ancora estremamente tesa e ben lontana da una qualsiasi conclusione.
Al momento, infatti, entrambe le parti rimangono in una condizione di apparente parità tattica e strategica, che si manifesta con una generale stabilità delle linee del fronte e dall’impossibilità di condurre una qualsiasi manovra offensiva capace di capovolgere gli equilibri, dando così una svolta al conflitto. Per una lunga serie di motivazioni, è difficile pensare che, in un modo o nell’altro, Russia o Ucraina possano uscire come vincitrici assolute del conflitto. È molto più plausibile, invece, che l’apparente condizione di stallo sia destinata, anno dopo anno, a perdurare e a obbligare, infine, i due contendenti a raggiungere una conclusione delle ostilità per via diplomatica. In tal caso, è facile supporre che vi sia comunque una parte dotata di maggiore influenza sul corso delle trattative.
Nel caso in cui l’Ucraina riuscisse ad arrivare al tavolo delle trattative con una posizione di vantaggio, è facile immaginare che, una volta concluse le ostilità, una parte del territorio ora sotto controllo dell’esercito della Federazione Russa sia destinato, comunque, a rimanere in mano a Mosca. Pertanto, Kiev, anche nel migliore dei casi, non sembra aver alcuna possibilità di riottenere il completo controllo dei propri confini originari, soprattutto per quanto riguarda la penisola di Crimea e i territori del Donbass. In alternativa, è assai plausibile che, in tale condizione di superiorità, possa riottenere il controllo di alcuni punti chiave e di interesse strategico, come la centrale nucleare di Zaporizhzhia.
All’interno dei territori della nuova Ucraina, in questo caso, sarebbe alquanto plausibile un trionfo della linea ultra-nazionalista e antirussa, con tutte le possibili conseguenze del caso. Sistemata la situazione da un punto di vista militare, rimarrebbe dunque il fronte interno. Come visto in passato e anche nel corso dell’attuale conflitto, l’adozione di politiche – ufficiali quanto informali su iniziativa popolare – mirate alla cancellazione o alla minimizzazione della presenza di un qualsiasi elemento di cultura e lingua russa potrebbe rappresentare uno dei principali passi per la costituzione di una nuova nazione. Potrebbero, di conseguenza, manifestarsi nuovamente atti ostili nei confronti dei cittadini e delle comunità russofone in certe aree del paese, con il possibile trasferimento all’estero di questi ultimi.
Nel caso in cui, invece, fosse la Russia a trovarsi in una posizione di vantaggio al termine del conflitto, gli scenari sono assai più variegati. In tal caso, infatti, le nuove frontiere della Federazione verrebbero spostate lungo l’ultima linea del fronte, con la conseguente opera di russificazione all’interno dei nuovi Oblast. Anche in questo caso, terminata la battaglia, si aprirebbe la lunga sfida per trasformare gli equilibri etnici, linguistici e culturali dei nuovi territori annessi, con l’obiettivo di renderli, una volta per tutti, parte del “Russkiy Mir”, il mondo russo. Ciò, ovviamente, avverrebbe sia per mezzo di azioni influenza culturale e psicologica sia – come già visto in passato con la città costiera di Mariupol – tramite operazioni di ricollocamento di cittadini russi, così da cambiare gli equilibri etnici all’interno delle nuove regioni.
A seconda di chi sia il vincitore, però, ci sono degli elementi destinati, molto probabilmente, a presentarsi in ogni possibile scenario. Si tratta, in particolare, del tema della ricostruzione e della bonifica dei vecchi campi di battaglia. L’opera di ricostruzione, infatti, risulta di interesse primario per innumerevoli attori regionali e esteri, che già da tempo hanno mostrato la propria disponibilità ad investire in tale operoso compito. Da un lato si tratterebbe di realtà economiche europee e nordamericane, mentre dall’altro sarebbero soprattutto russi e cinesi. Non è da escludere, ovviamente, l’interesse e l’intervento di numerosi altri attori internazionali che, in precedenza, non hanno manifestato alcuna presa di posizione a favore di uno o dell’altro. Lo stesso discorso, ovviamente, è valido anche per quanto riguarda l’opera di bonifica di tutti i principali siti agricoli, industriali e minerari devastati dalle violenze belliche.
A causa delle importanti risorse presenti nel paese, infatti, è facilmente intuibile che l’opera di ricostruzione e ripristino sia destinata a svolgersi in un breve – per quanto ovviamente possibile – periodo temporale.