Il ruolo di Hezbollah nella crisi mediorientale

Tra tutte le realtà passate in prima pagina sui giornali nel corso degli ultimi mesi, il nome di Hezbollah è sicuramente uno dei più ricorrenti. Partito politico di enorme importanza all’interno del contesto nazionale libanese, gruppo armato dotato di decine di migliaia di combattenti e proxy iraniano nel Levante. Queste sono solamente alcune delle principali caratterizzazioni di quella realtà che, ormai da più di trent’anni, esercita un peso di estremo rilievo all’interno del Paese dei Cedri. Eppure, il comportamento del “Partito di Dio” – perché questa è la traduzione del termine arabo – ha lasciato parecchia incertezza.
Nelle prime fasi delle tensioni, infatti, in tanti si sono subito immaginati un possibile coinvolgimento diretto del movimento guidato da Hassan Nasrallah in opposizione ai bombardamenti israeliani su Gaza e sul resto dei territori della Striscia. Il timore maggiore, in particolare, era indirizzato alla possibilità dell’apertura del fronte settentrionale, al confine tra lo stato israeliano e il vicino arabo, e di un’intensa rappresaglia missilistica sui principali centri abitati del paese. Ma a differenza del conflitto del 2006, nulla di tutto ciò si è realizzato, in fin dei conti.
Nonostante le preoccupazioni si siano dimostrate reali anche per i vertici dell’esercito israeliano che, già a partire dai primissimi giorni di scontri armati ad inizio ottobre, hanno inviato numerosi rinforzi e numerosi mezzi pesanti nel nord del paese, la situazione generale si è mantenuta piuttosto contenuta. A far pensare al peggio, inoltre, vi sono state le ripetute dichiarazioni dei vertici della Repubblica Islamica dell’Iran e di numerose figure chiave del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, ossia i principali finanziatori e alleati di Hezbollah. In alcuni casi, si è addirittura parlato di milioni di volontari iraniani disposti ad essere trasferiti in Libano per combattere contro le forze israeliane, nell’eventualità di un’invasione di terra israeliana. Ma quando i carri Merkava hanno varcato i confini della Striscia, nulla di tutto ciò si è realizzato.
Ovviamente, le tensioni sul confine Israele – Libano, ormai presidiato da due decenni da un consistente contingente internazionale dell’ONU, hanno dato il via a una ripetuta scia di fatti di sangue che, sebbene condotti con un’intensità assai ridotta rispetto alle effettive capacità belliche delle due parti, hanno segnato un punto di svolta. Nonostante Hezbollah non sia sceso totalmente in campo, le proprie unità d’élite hanno ripetutamente condotto azioni mirate nei confronti delle posizioni, delle basi e dei fortini israeliani lungo il confine. In particolare, l’uso delle armi si è concentrato su tutte quelle strutture di osservazione e di spionaggio – dal valore di diversi milioni di dollari statunitensi – che nel corso degli anni l’IDF e il Mossad hanno posizionato su tutta la lunghezza della linea di demarcazione tra i due stati.
Non sono mancati, ovviamente, gli attacchi condotti per mezzo di sistemi ATGM e mortai nei confronti delle fanterie e dei veicoli posti lungo il confine, fatto che ha provocato alcune decine di decessi. Eppure, i danni maggiori sono stati inflitti a strutture fisiche, con il conseguente smantellamento del sistema di difesa posto a protezione del nord di Israele. In questo modo, giorno dopo giorno, Hezbollah è riuscito ad aprire innumerevoli varchi all’interno del complesso ambiente collinare della zona, mettendo seriamente in difficoltà l’IDF in caso di future tensioni e scontri. Le forze israeliane, ovviamente, hanno risposto sempre al fuoco, in particolare per mezzo di artiglierie, droni e attacchi aerei, infliggendo un centinaio di perdite tra i miliziani del Partito di Dio.
Difficile immaginare, in questo momento, che le tensioni tra i due attori regionali possano degenerare in breve in un conflitto su larga scala, anche se questa possibilità rimane comunque valida nel medio e lungo termine. Hezbollah, in quanto soggetto politico e militare legato alla Repubblica Islamica dell’Iran, potrebbe essere sempre coinvolto nelle grandi tensioni che dominano i rapporti tra Gerusalemme e Teheran, con tutte le possibili conseguenze sugli assetti interni e internazionali del Levante. Tuttavia, gli ultimi discorsi di Hassan Nasrallah hanno fatto comprendere che, nonostante il supporto politico a Gaza e alla Resistenza Palestinese, le azioni di Hezbollah non siano destinate a cambiare lo status quo tramite l’impiego delle proprie capacità belliche.
Difficile, ormai, ritenere plausibile anche un intervento iraniano sul campo, in particolare per mezzo dei territori e le strutture dell’alleato libanese. L’arsenale missilistico del Partito di Dio, allora, pare destinato a rimanere ancora al sicuro e intoccato all’interno dei depositi e dei rifugi sotterranei, in attesa di eventuali future tensioni. Il Libano, dunque, è riuscito a sfuggire – per la seconda volta nella storia recente – ad evitare un coinvolgimento diretto in un conflitto presente in un paese confinante, proprio come avvenuto in precedenza in Siria. Si tratta, in fin dei conti, di un successo che apre la strada al futuro politico e istituzionale del movimento, ormai sempre più importante e centrale nello scenario nazionale.