Nel mirino di Azad
Com’è davvero la vita di un tiratore scelto al fronte? Come funziona un fucile equipaggiato con un mirino termico? Cosa vi è nella mente e cosa rimane di un veterano dopo lunghi mesi di servizio al fronte? Tutte queste domande, molto probabilmente, possono trovare una risposta solamente in un numero limitato di opere letterarie. Troppo complesse da essere trattate in un solo articolo e troppo umanamente rilevanti per essere incorporate in una semplice analisi tecnica e psicologica. Rimane, allora, solo la forma del libro, in particolare dell’autobiografia.
Così, “Nel mirino” di Azad Cudi – pubblicato nel 2019 dall’editore Longanesi – riesce nell’ardua impresa di concentrare tutte queste domande e particolari tematiche in un testo di qualche centinaio di pagine, mantenendo il lettore ancorato al libro dall’inizio alla fine. Si tratta, infatti, di un racconto emozionante e ricco di dettagli, dove la storia personale di un singolo ragazzo, a causa dell’imprevedibilità della vita, finisce presto per mischiarsi a quella di centinaia di altri uomini, fino all’incontro con la Storia dei giorni nostri. Si tratta, però di una vita assai particolare e complessa, fatta di scelte determinate e coraggiose, che portano prima un giovane ragazzo curdo dalle montagne dell’Iran alla Gran Bretagna, per poi scaraventarlo nuovamente nel cuore del Medio Oriente in uno dei momenti più difficili della storia recente. Perché la vita di Azad – soprannome scelto dal protagonista una volta unitosi ai combattenti curdi – non è stata mai vissuta in maniera regolare e tranquilla, ma si è sempre caratterizzata per un alto livello di dinamicità e per esperienze particolarmente estreme.
Non è da tutti, infatti, decidere di disertare dall’esercito della nazione in cui si è nati e farsi trasportare clandestinamente fino in Europa, tutto per il desiderio di ottenere una vita migliore e più libera. Ed è ancora meno comune, una volta stabilito un equilibrio personale in una nazione prospera e ricca di possibilità quale la Gran Bretagna, decidere di abbandonare tutto per andare a combattere nella Siria settentrionale. Eppure, questo è quanto Azad è riuscito a fare in poco più di tre decenni della propria vita. Dedicando la gran parte delle pagine alle esperienze vissute a Kobane, l’autore non dimentica mai di omettere i particolari rilevanti della propria esistenza di curdo, che aiutano a ricostruire e comprendere a livello generale la difficoltosa esistenza e lotta per l’indipendenza di un popolo che, ancora oggi, vive diviso all’interno di ben quattro differenti nazioni.
E proprio a Kobane, piccola cittadina della Siria settentrionale posta lungo il confine turco, gli uomini del YPG – il Partito dei Lavoratori Curdi – e le donne del YPJ, ossia la componente femminile, hanno offerto un’incredibile testimonianza di fede, coraggio e volontà per il raggiungimento del proprio obiettivo supremo: la creazione di una patria curda e di una nuova società. E ciò è stato ottenuto solamente con il sacrificio personale di centinaia di volontari che, tra l’autunno del 2014 e i primi mesi dell’anno seguente, si sono opposti all’avanzata dello Stato Islamico nella regione, rimanendo così intrappolati all’interno dell’abitato per sei lunghi mesi. Mesi in cui la guerra si è fatta totale nella città, trasformando quello che prima era un vivo e prospero centro di commercio in una tomba fatta di edifici devastati e esplosioni.
Infatti, ciò che l’Isis ha scatenato sull’obiettivo è stato un turbine di violenza e distruzione, dove migliaia di combattenti dalle bandiere bianche e nere sono stati impegnati in violentissimi combattimenti casa per casa, strada per strada e rovina per rovina. Perché qui, differentemente da quanto avvenuto altrove, non vi era possibilità per i difensori curdi di ritirarsi ulteriormente, ma solamente di resistere ad oltranza, fino alla morte. Impensabile, infatti, arrendersi ad un nemico conosciuto in tutto il mondo per le brutali esecuzioni e torture inflitte ai prigionieri, spesso trasmesse in diretta sui principali social network. Tale disperazione – e determinazione – però ha fatto sì che, ondata dopo ondata, la potenza offensiva dello Stato Islamico venisse fermata, a costo di altissime perdite umane.
Uno di questi coraggiosi combattenti, fortunatamente sopravvissuto alla battaglia e alle successive campagne militari per la liberazione del resto del Rojava, ossia la patria curda in terra di Siria, ha deciso poi di lasciare questa importante testimonianza scritta al resto del mondo e ai posteri, così da rendere immortale il ricordo dei compagni di battaglia, dei loro sogni e delle loro aspirazioni. Il tutto senza mai dimenticare di menzionare il vuoto e la distruzione interiore che l’esperienza della guerra provoca nell’uomo, che sebbene possa tornare a casa vivo e vegeto, finisce per lasciare per sempre una parte di sé sul campo. Si tratta della parte più umana e sensibile dell’essere umano, che una volta dimenticata è pressoché impossibile da recuperare, nemmeno nel corso di anni e anni. Eppure, tutta l’umanità di Azad, in qualità di giovane dissidente, uomo, figlio e combattente, emerge pagina per pagina, permettendo così di recuperare in parte quanto perduto a Kobane.