Hamas/Israele: Un esercito potente solo se fa la guerra, una religione che disconosce il concetto di pietas
Il mondo contemporaneo è spesso teatro di conflitti bellici e tensioni internazionali che possono sembrare insormontabili.
Nella nostra analisi del conflitto tra Hamas e Israele ci siamo recentemente occupati del ruolo del Libano.
Oggi invece vogliamo affrontare un altro tema, ovvero quanto e se questo conflitto fosse del tutto imprevedibile o sia anche solo accaduto in un momento imprevisto.
Partiamo da una constatazione.
Considerando situazioni come il conflitto russo-ucraino e gli scontri latenti in Medio Oriente, sembra mancare una soluzione duratura. Questi conflitti sono infatti radicati in questioni complesse come le dispute territoriali, le tensioni etniche e religiose e le lotte per il potere.
Il sionismo, dopo il secondo conflitto mondiale e la Shoah, ha riportato gli ebrei nella loro terra storica. L’ONU riconobbe lo stato di Israele, senza attribuire altrettanto peso alla comunità araba, ormai insediata da secoli in Palestina. Nessuno cercò un vero compromesso, nessuno propose una soluzione, e le prime guerre furono condotte dagli arabi con un solo e unico scopo: cancellare Israele, rimandare gli ebrei da dove erano venuti. Ma, più avanti, la nazione di Davide, vincitrice dei conflitti militari, non accettò mai veramente la formula dei “due popoli in due stati”. La pace fu sfiorata, e quasi resa concreta, da Rabin, primo ministro israeliano, Arafat, leader dell’OLP, e Clinton, allora presidente degli USA. Il loro accordo valse a Robin e Arafat, insieme a Simon Peres, il Nobel per la pace del 1994. Ma, un anno dopo, Rabin fu ucciso da un estremista religioso del suo stesso paese. Tutto tramontò, i falchi di entrambe gli schieramenti resero inapplicabili gli accordi e le violenze ripresero il loro corso.
La mancanza di soluzioni a lungo termine a tali questioni rende difficile prevedere una fine ai conflitti. Tuttavia, è importante notare che ci sono stati sforzi internazionali per mediare e trovare soluzioni pacifiche in queste regioni, ma spesso hanno avuto successo solo a breve termine.
Esistono strumenti giuridici e organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite che hanno, sulla carta, l’obiettivo di prevenire e risolvere i conflitti internazionali.
Mentre la presenza di un leader semplificherebbe contatti, accordi, confronti, probabilmente compromessi. Hamas, come Hezbollah, è un movimento confessionale e intransigente, dove l’odio per Israele è un formidabile collante per mantenere autorità e legittimazione. Israele è l’unico stato che può dirsi (almeno un po’)democratico dell’area? Sicuramente sì. Ma è comunque una realtà politica confessionale anch’essa, dove la destra religiosa non accetta nessuna formula praticabile di pace, perché la pace nasce dal compromesso e dal reciproco riconoscimento. Nelson Mandela diceva:” Se vuoi fare la pace col tuo nemico, devi lavorare col tuo nemico. Così lui diventerà tuo alleato”.
In molti casi, sembra che i conflitti siano risolti o conclusi attraverso negoziati che tengono conto della potenza militare e politica delle parti coinvolte. Questo solleva importanti questioni etiche e morali sulla giustizia nei conflitti internazionali.
Il 1994, anno del Nobel per la pace a Rabin di cui sopra, fu anche l’anno in cui Mandela conclude la sua opera di pace in Sudafrica. Al netto dell’omicidio di Rabin l’anno seguente, cosa ha reso impossibile una pace duratura in Medio Oriente e invece è risultato vittorioso in Sudafrica? Verosimilmente, la commistione tra religione e politica. Eh sì, perché mentre in Sudafrica la religione non governa le genti, in Medio Oriente, invece, si confrontano due religioni monoteiste, rigide e totalmente mal disposte al riconoscimento reciproco. Israeliani e palestinesi, ebrei e mussulmani, non si confrontano, si contrappongono, talvolta fino al nichilismo. Entrambe le religioni si differenziano dal mondo cattolico per un primo evidente presupposto: non sono religioni “riformate”, non si sono mai adeguate al cammino dei tempi, sono rimaste le medesime dalla più profonda antichità.
Sarebbe come se il cattolicesimo fosse sempre lo stesso dalle crociate in avanti; invece, concilio dopo concilio, la chiesa romana è cambiata, a volte profondamente. Inoltre la religione ebraica e l’islam non hanno un capo assoluto, ma sono mondi chiusi, dove rabbini e imam rappresentano un’autorità frammentaria. In Sudafrica invece buona parte dei bianchi e dei neri sono cristiani, i restanti, animisti, non hanno un credo che si mescola alla politica. Anzi, nel processo di pace, fu un uomo di fede, l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, ad affiancare Mandela nel suo compito, portando alla luce i concetti di “perdono” e “riconciliazione”.
Purtroppo la fede, quella estremista dei monoteisti non riformati, una pace ragionevole non la vuole: perché la destra religiosa ebraica sogna ancora “Il grande Israele”, costruito anche attraverso gli insediamenti, arbitrari e provocatori, nei territori palestinesi. Hamas e i suoi alleati, dai ghetti di Gaza che tengono sotto scacco, sognano la cancellazione della stella di David in tutta la Palestina. Come predetto quasi 200 anni fa da Albert Pike. Ma di questo parleremo la prossima volta.