Cartoline dal Medio Oriente: il Libano
Questo vuole essere il primo di una serie di approfondimenti sul conflitto che infuoca la striscia di Gaza. Analizzando di volta in volta un ambito specifico.
Nel dettaglio, iniziamo con il Libano, da molti conosciuto come “la Svizzera del medio oriente”, e le ragioni storiche e politiche che determinarono l’ostilità remota nel tempo con lo stato di Israele. Nel 1948, nacque lo stato di Israele, segnando la prima sconfitta araba in Palestina. Dopo vennero altre guerre: quella dei 6 giorni nel 1967, quella del Kippur nel 1973, le diverse intifada, l’allargamento al conflitto in Libano, poi gli attentati, e ancora i massacri, fino all’anacronistica creazione dei territori palestinesi, privi di una reale indipendenza, sostanzialmente confinati e assediati.
Tra Libano ed Israele, la disputa sui confini marittimi nasce da alcune questioni irrisolte, legate da un lato agli accordi bilaterali che i due paesi hanno raggiunto con Cipro e, dall’altro, alle rivendicazioni formalizzate da Beirut presso le Nazioni Unite. Fin dalla scoperta dei primi giacimenti alla fine degli anni Novanta, il gas naturale ha, come noto, rappresentato allo stesso tempo un’opportunità di cooperazione e una causa di instabilità a livello regionale per i paesi del Mediterraneo orientale.
Nel ripercorrere le diatribe degli ultimi anni non si può non notare come la posizione negoziale libanese abbia largamente risentito della mancanza di una chiara visione politica, rimanendo infatti a lungo ostaggio delle contrapposizioni del dibattito interno. Quest’ambiguità di fondo ha ostacolato i negoziati, che verosimilmente non sarebbero arrivati in nessun dove senza l’intervento americano. È infatti solo nell’ottobre del 2022, dopo due anni di intensi negoziati, che Israele e il Libano, due stati ancora formalmente in guerra, hanno raggiunto un accordo sulla definizione dei loro confini marittimi. Frutto della “mediazione americana”, l’intesa poneva fine a una disputa durata più di dodici anni. Tuttavia, dal punto di vista economico, i benefici dell’accordo risultavano asimmetrici in quanto, mentre le nuove entrate nelle casse israeliane erano se non immediate quantomeno sicure già nel breve periodo, per il Libano i profitti tarderanno ad arrivare in quanto nel settore marittimo libanese non è ancora stata accertata la presenza di gas in quantità significative e commerciabili, e pertanto, anche se questa dovesse essere confermata, lo sfruttamento delle risorse richiederà molti anni per generare profitto.
Da cinquant’anni non si combattono più guerre generalizzate in Medio Oriente. Dopo lo Yom Kippur del 1973, e gli accordi con Egitto e Giordania, Israele ha affrontato in conflitti più circoscritti i gruppi militanti palestinesi nei Territori e in Libano, e poi le milizie sciite appoggiate dall’Iran. Ma i libanesi hanno ferite aperte. Quelle della guerra civile, della prima invasione israeliana del 1982, e ancora fresche quelle del 2006, con la seconda guerra Israelo-libanese. Ecco che allora il fatto che il Libano possa schierarsi, insieme ad Egitto e Giordania, a sostegno della Palestina, assume un significato più compiuto. Il sionismo, dopo il secondo conflitto mondiale e la Shoah, ha riportato gli ebrei nella loro terra storica. L’ONU riconobbe lo stato di Israele, senza attribuire altrettanto peso alla comunità araba, ormai insediata da secoli in Palestina. Nessuno cercò un compromesso solido e reale, nessuno propose una soluzione, e le prime guerre furono condotte dagli arabi con un solo e unico scopo: cancellare Israele, rimandare gli ebrei da dove erano venuti. La nazione di Davide, vincitrice dei conflitti militari, non accettò mai veramente la formula dei “due popoli in due stati”.
L’invasione sanguinaria di Hamas e la pioggia di fuoco su Gaza hanno prodotto un solco inimmaginabile fino al mese scorso, dove gli accordi di Abramo sembravano estendersi anche all’Arabia Saudita. Per quanto concerne il Libano, il dato economico è allarmante per il Paese laddove davvero decidesse di entrare in guerra, in quanto le riserve valutarie della banca centrale ammontano attualmente a 7 miliardi di dollari, rispetto ai 30 miliardi di dollari del 2018, questo implica che il Libano farebbe fatica a sostenere le spese per gli ingenti danni che una guerra potrebbe infliggere. Economicamente quindi il Paese non può sostenere un vasto confronto militare con Israele, la cui intensità supererebbe di gran lunga la guerra Israele-Libano del 2006 rendendo impossibile la ripresa economica del Paese prevista dagli analisti per il 2024.
Ma in una guerra che nessuno può vincere resta una sola opzione: la pace si fa col nemico. Ma è possibile questo in uno scontro tra religioni non riformate? Di questo ci occuperemo nel prossimo contributo in uscita a breve.