Il leone e il dragone

Sono quasi passati vent’anni, ormai, dall’ultimo viaggio del Presidente siriano Bashar al-Assad in terra cinese. La prima volta, avvenuta nel 2004, a soli quattro anni dall’insediamento presidenziale a Damasco non aveva attirato l’attenzione dei media, trattandosi di un tradizionale evento diplomatico. Questa volta, tuttavia, la notizia ha guadagnato una posizione di rilievo sulle testate principali a causa del complesso scenario internazionale contemporaneo. Per la prima volta dall’inizio della sanguinosa guerra civile siriana, sconfinata in breve in uno scontro indiretto tra potenze regionali e mondiali, il leader siriano ha lasciato i confini del proprio Paese per recarsi in Asia.
L’obiettivo principale, come facile intuire, è quello di rinsaldare i rapporti con Pechino e Xi Jinping, giunto ormai al suo terzo mandato alla guida del Dragone. Un rapporto complesso e lineare, fatto di amicizia e supporto reciproco, mai eccessivamente messo in risalto dai riflettori. Per tutto il corso della guerra, combattuta ormai da più di un decennio con la conseguente perdita di centinaia di migliaia di vite umane, la Cina si è sempre interessata a mantenere i propri rapporti con l’amico mediorientale, anche nei momenti più complessi e tragici.
Differentemente da quanto visto con Russia e Iran, i due principali alleati di Damasco insieme all’Hezbollah libanese, non vi è mai stato un coinvolgimento aperto di Pechino nella questione, in particolare con un intervento diretto sul campo. Si è trattato, invece, di un rapporto continuativo di supporto, progredito fino agli ultimi sviluppi di questi giorni. Di fondamentale importanza, in questo caso, è stato il supporto diplomatico dimostrato in sede ONU, soprattutto quando la Cina si è opposta – insieme alla Russia – alla risoluzione relativa ai numerosi decessi per uso di sostanze chimiche avvenuto nel 2013 nel sobborgo periferico di East Ghouta (Damasco), dove erano in corso violenti scontri armati tra forze governative e gruppi armati islamisti.
Ora, però, l’amicizia tra Damasco e Pechino si è fatta ancora più stretta. Con l’incontro aperto a Hangzhou non solo si va a rinsaldare, ancora una volta, quel legame che unisce le due capitali, ma si creano le basi per un nuovo futuro mediorientale. Anche in questo caso, Pechino è riuscita a consolidare il proprio ruolo di partner commerciale e di attento pianificatore nello sviluppo delle aree più difficoltose del pianeta. Con questa, infatti, Pechino ha promesso di impegnarsi nella ricostruzione della Siria, ormai ancora ridotta completamente in macerie in numerose province, quelle dove i combattimenti si sono protratti più a lungo nel corso del violento conflitto. Inoltre, con questo incontro la Cina ha confermato nuovamente quella partnership strategica che legava questi due mondi, così tanto differenti ma di fondamentale importanza uno per l’altro.
La Siria, infatti, non rappresenta solo ed esclusivamente una nazione amica di Pechino ma, da un punto di vista puramente geografico, corrisponde al termine ultimo – in suolo mediorientale – della Via della Seta, l’ambizioso – quanto insidioso – progetto di sviluppo economico con il quale Pechino mira ad unire Oriente e Occidente con un’unica, grande, linea commerciale. Si tratta di un’occasione importantissima, quanto irripetibile, vista l’esclusività delle commesse destinate ad essere accolte dai grossi gruppi industriali ed immobiliari cinesi. A causa del pesante ostracismo che ancora avvolge il Paese e la figura del Presidente Assad – ultimamente accolto per vie diplomatiche solamente da alcuni paesi appartenenti alla Lega Araba – la Cina si trova in netto vantaggio strategico sull’operato dei grandi investitori del Golfo, sempre attenti a non violare l’enorme mole di sanzioni imposte alla Siria.
In questo modo, il vantaggio è reciproco. Da un lato, Bashar al-Assad è riuscito a garantirsi la promessa di un importante aiuto da parte della seconda potenza economica e politica mondiale, mentre la Cina si è assicurata un nuovo elemento del puzzle strategico che, da tempo ormai, sta cercando lentamente di completare. Con la Siria, non solo Pechino ha ottenuto un nuovo mercato di fondamentale importanza ma, come facile intuire, ha ottenuto un nuovo sbocco sul Mediterraneo, rappresentato dai porti di Tartous e Latakia. In aggiunta, ha indirettamente ottenuto l’accesso al Libano, stato irraggiungibile per Pechino se non via mare in precedenza, tramite la via di terra che collega Damasco a Beirut. E, anche in questo caso, l’accesso ai porti del Paese dei Cedri rappresenterebbe una grande conquista per il Dragone.
A questo punto, non rimane che attendere i nuovi sviluppi in terra mediorientale dove, per la prima volta nella storia recente, i grandi gruppi cinesi sono chiamati a giocare un ruolo chiave, spartendosi il mercato con le già attive entità economiche legate alla Repubblica Islamica dell’Iran, del Golfo e della Turchia, l’ultimo grande player della regione.