Verso la battaglia di Algeri

La nostra prima intervista a Gianfranco Peroncini, autore de “La maledizione dei centurioni” per
Edizioni Passaggi al bosco, aveva come tema principale la situazione indocinese con il fine di
avvicinarci alla questione algerina. Oggi con Gianfranco proseguiremo il nostro viaggio nella storia.
Ciao Gianfranco e bentrovato, iniziamo l’intervista con una frase di Padre de Foucauld
riportata nel libro:
La Storia insegna che è più facile fondare delle colonie che conservarle.
La frase è del 1912, a distanza di più di cento anni secondo te quest’affermazione è ancora
attuale?
Non potrebbe essere altrimenti dato che un Impero, in quanto tale, non può essere che sacro, basando cioè su un’autorità dall’alto l’esercizio del suo dominio temporale. In Europa, nello specifico delle sue coordinate storiche e provvidenziali, l’impero non può essere che sacro, romano e cristiano. Fuori da queste coordinate non esiste altro che grottesche contraffazioni, parodie tipiche dei tempi ultimi che si nutrono di empie volontà di potenza desacralizzate dalla bulimica bramosia della società liberal-capitalista contemporanea.
Nel libro si afferma che la conquista di Algeri è avvenuta in maniera prematura, perché?
Com’è stata conquistata Algeri?
L’interesse della Francia nei confronti dell’Algeria risale al periodo napoleonico. Napoleone aveva pensato, all’indomani della campagna d’Egitto, di porre fine agli equivoci e alle ambiguità del dey che dipendeva nominalmente dal sultano di Costantinopoli, ma che restava tenacemente legato a una cauta equidistanza tra Francia e Gran Bretagna. Il colonnello Vincent-Yves Boutin del genio militare individuò nella penisola di Sidi Ferruch, a una ventina di chilometri da Algeri, la località più indicata per uno sbarco. L’impresa dovette però essere accantonata data l’urgenza della situazione sullo scacchiere europeo che costringeva Napoleone a concentrare altrove gli sforzi.
Gli indugi vennero rotti il 25 maggio 1830 quando la spedizione francese salpò dal porto di Tolone con 37mila uomini imbarcati su 572 navi da trasporto, appoggiate da 104 vascelli da guerra.
Lo sbarco cominciò il 14 giugno nella penisola di Sidi Ferruch, individuata da Boutin come la più idonea per un’operazione del genere. La caduta di Carlo X il 29 luglio a causa della cosiddetta “Rivoluzione di luglio” e la successiva ascesa di Luigi Filippo non servì a chiarire scopi più ampi e concreti di quell’operazione colonialista. La conquista dell’Algeria, infatti, si situava in una fase “prematura” rispetto allo stadio di sviluppo assunto dal colonialismo contemporaneo.
La Francia, in altre parole, non possedeva una spinta interna, economica o demografica, che giustificasse un impero coloniale né quindi poteva possedere una precisa direttiva politica in materia. In Nordafrica si voleva comunque fondare una colonia importante, dato che il progetto non si fermava alla Reggenza ma mirava in prospettiva a impadronirsi di tutto il Maghreb, in quanto la storia di Algeria, Tunisia e Marocco è sempre stata unitaria, radicata sulla profonda influenza della conquista araba. Comune è la struttura etnica, composta da berberi, berberi arabizzati e arabi, comune è anche la religione, prevalentemente musulmana, della famiglia sunnita di rito malechita.
La figura di El Kader a dispetto delle enfumades francesi potrebbe essere uno di quegli esempi utili per sfatare alcuni miti islamofobici?
L’emiro Abd el-Kader è il simbolo di una leadership carismatica, incardinata su categorie sacrali e guerriere, che lo rendono un esempio di realizzazione esistenziale e sociale scolpito nel solco della Tradizione. E come tale un riferimento universale al di là di connotazioni etniche o religiose specifiche. Da quando i turchi erano succeduti agli arabi, la futura Algeria era stata costretta a una forma di governo militare più o meno dipendente dall’impero turco anche se l’autorità del dey non si estendeva oltre la stretta fascia costiera con le tribù dell’interno che vivevano nell’indipendenza più totale. Non esistendo quindi una precisa identità e un’autorità statale unica, la lotta contro la colonizzazione si spezzettò in frammenti ed episodi di una guerra che dissanguava i francesi e stremava gli algerini, costretti a subire gli scoppi della furia repressiva del conquistatore.
La situazione sembrò sbloccarsi, in qualche modo, quando, con Abd el-Kader, l’Algeria sembrò esprimere un capo in grado di dare unità e coesione alle diverse tribù. Nato nel 1808 vicino a Mascara, Abd el-Kader ricevette un’istruzione religiosa e letteraria che avrebbe segnato profondamente il suo carattere. Recatosi due volte in pellegrinaggio alla Mecca prima e a Bagdad poi, al suo ritorno in patria fu annoverato tra i più dotti sapienti di dottrina islamica della regione.
Per questo motivo, il 5 novembre 1832, all’età di 24 anni, venne scelto da tre importanti tribù della zona di Orano per dirigere in qualità di emiro l’organizzazione della lotta contro i francesi.
Dopo un primo tentativo di accordo con i francesi, Abd el-Kader proclamò, il 20 novembre 1839, il jihâd, la cosiddetta “guerra santa”, diventando una delle figure che più intensamente hanno incarnato storicamente i dettati coranici relativi all’aspetto spirituale e guerriero del jihâd come “impegno sulla via di Dio”, declinato su quelle due tipologie di “guerra santa” distinte nella “grande guerra santa”, spirituale e verticale, e nella “piccola guerra santa”, contingente e orizzontale.
Il jihad principale venne definite dal Profeta come il jihâd al-nafs, la guerra condotta nell’anima e contro le deviazioni dell’anima. La priorità viene dunque accordata allo sforzo spirituale interiore mentre il combattimento militare, tattico e operativo, disegna i contorni del jihad minore, prendendo forza e dignità come simbolo esteriore della lotta inarrestabile contro i vizi interiori, il demonio che abita nelle profondità del cuore.
Alla fine Abd el-Kader venne sconfitto sul piano esteriore dai francesi a causa della secolare anarchia delle tribù algerine, tradizionalmente poco inclini a sottomettersi a qualsiasi autorità fosse nazionale o straniera come quella francese. Deportato in territorio metropolitano a Pau prima, ad Amboise poi, venne in seguito liberato ed esiliato a Damasco, in Siria, dove visse sino alla morte che lo colse il 26 maggio 1883.
Abd el-Kader è la personificazione, tra l’altro, di una delle più eminenti virtù guerriere, quella che conduce alla “guerra senza odio”. Combatteva senza risparmio ma senza rabbia o rancore e ciò spiega l’assenza di ogni risentimento nei confronti dei francesi quando venne sconfitto, sottomettendosi dopo anni di lotta alla manifesta volontà di Dio con la stessa rassegnazione contemplativa con cui era sceso in campo contro di loro, atteggiamento figlio di una dimensione spirituale non facilmente raggiungibile.
In questa dimensione, celebre sarebbe rimasta la difesa dell’emiro nei confronti dei cristiani di Damasco nel 1860. Quando una feroce guerra civile tra drusi e cristiani innescò la minaccia di un attacco contro il quartiere cristiano di Damasco, Abd el-Kader inviò 200 dei suoi ex mujahiddin, gli uomini della guerra contro i francesi che lo avevano seguito nell’esilio, per radunare i cristiani scampati ai massacri, offrendo ricompense per ognuno di loro consegnato sano e salvo, una missione di recupero che continuò per cinque giorni. Si stima che l’impegno dell’emiro salvò circa 15mila vite, tra cui tutti gli ambasciatori e i consoli delle potenze europee, scortati e protetti all’interno delle mura della cittadella di Damasco.
Quel grande guerriero dell’Islam, cui bastava corrugare le sopracciglia per disperdere una folla scatenata, non covava nel cuore alcun sentimento di vendetta, di rancore o di ostilità di fronte all’imperativo della misericordia prescritto nel Corano. Nello specifico, il dovere di proteggere gli innocenti e tutto il Popolo del Libro che viveva in pace nelle terre dell’Islam.
Un messaggio che, da una parte e dall’altra, oggi appare sfregiato dalla blasfemia dei tempi
ultimi.
Ci indichi tre passaggi fondamentali, in tre date, per quello che poi sarà lo scoppio ufficiale del conflitto francese in Algeria?
Questione interessante che prendo da lontano. Il primo tassello riguarda la Prima guerra mondiale, cioè il primo atto della Guerra di successione britannica che a mezzo di due conflitti mondiali avrebbe deciso se il mondo avrebbe dovuto vivere all’ombra di un Secolo americano o di un secolo tedesco.
In quegli anni, il petrolio da semplice fonte d’illuminazione diventa risorsa strategica per il dominio del mondo attraverso la riconversione dal carbone alla nafta di tutte le flotte da guerra delle potenze di quel periodo. La successiva motorizzazione di massa avrebbe fatto del Mediorente e dei suoi giacimenti petroliferi una posta in gioco fondamentale nel Great game planetario.
La seconda data importante è la sconfitta francese a Dien Bien Phu, in Indocina, il 7 maggio 1954.
Primo grande squillo della cosiddetta “decolonizzazione”, straordinaria truffa organizzata dalle aristocrazie venali planetarie per organizzare in maniera più moderno e funzionale lo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Un argomento la cui trattazione verrà sviluppata nel sesto e ultimo testo della Maledizione dei centurioni.
La terza data epocale è il 13 maggio 1958. Quando con il “piano Pouget” venne messa in cantiere – e rapidamente stroncata… – l’ultima Grande eresia del ‘900. In questo caso possiamo già rimandare il lettore al seguito, già pubblicato, della Battaglia di Algeri.
Passiamo per pochi istanti in Egitto ma è un ragionamento che potremmo estendere a più realtà o personaggi; el-Nasser, nonostante sia una figura chiave della storia araba viene studiata poco e velocemente. Perché queste pagine di storia, importanti per comprendere meglio il presente ed il futuro, non vengono approfondite meglio tra i banchi di scuola?
Con i suoi talenti e le sue debolezze Gamal Abdel Nasser (1918-1970) è un’altra delle figure di rottura del panorama socio-politico contemporaneo. Tanto più importante per noi italiani in quanto fu un personaggio di riferimento diplomatico e istituzionale per Enrico Mattei, impegnato allo spasimo, e con gli esiti che ben conosciamo…, nella ricerca dell’indipendenza energetica dell’Italia, al di fuori cioè dai circuiti imposti dall’Oil cartel petrolifero. Anche in questo caso rimandiamo alle biografie che abbiamo pubblicato a proposito del presidente e fondatore dell’Eni.
Nasser, da giovane ufficiale, aveva aderito a un movimento egiziano di estrema destra, sospetto di simpatie per i governi dell’Asse, ed era stato arrestato dalla polizia durante una loro manifestazione, ma aveva anche partecipato a manifestazioni dell’Hadeto, il partito comunista egiziano.
In realtà, lo scopo del Raîs era quello di costruire una forte nazione araba, unita e potente, non quello di scoprire cosa esistesse a “destra” o a “sinistra” della sua collocazione politica e sociale, in questo o quello schieramento ideologico o militare.
Per questo Nasser, in varie riprese, venne via via grossolanamente accusato di essere un “fascista”, un “avventuriero della politica”, un “fantoccio sovietico”, a seconda del momento o della collocazione ideologica dei suoi accusatori. Il suo libro Filosofia della rivoluzione venne addirittura paragonato in più di un’occasione al Mein Kampf di Adolf Hitler. Nasser, naturalmente, non era niente di tutto questo. L’apparente oscillazione delle sue posizioni politiche era dovuta all’ansia propria del nazionalista, quale è sempre stato, che antepone e privilegia, sempre e comunque, gli interessi della nazione a scelte di campo intransigenti e dottrinarie. È questo, in determinate contingenze storico-politiche, un limite notevole del nazionalismo in genere e non di Nasser in particolare.
Esistono punti in comune secondo te tra il conflitto algerino e quello attualmente in corso in Ucraina?
Come accennato, e non potrebbe essere altrimenti, troviamo in campo, mutatis mutandis, le stesse strategie di dominio geopolitico. In Algeria si trattava del controllo delle risorse energetiche del Nordafrica. Qui la posta in gioco è quella dell’Eurasia, dove si concentrano tre elementi fondamentali: la maggior quota della popolazione mondiale, degli scambi commerciali e delle risorse, non solo energetiche, del pianeta. Ci ripetiamo, ma anche qui non possiamo che rimandare a un testo specifico, Ucraina: la “Dottrina Brzezinski”. Segnalando, con particolare sollecitudine, l’appendice del libro, relativa al War and Peace Studies Project del Council on Foreign Relations, di cui Noam Chomsky fingeva di stupirsi perché nessuno ne parlava…Documenti e strategie, tutti documentati, che saranno una sorpresa per molti.