Taiwan: l’isola del tesoro contesa da Cina e Stati Uniti

Con vele tese solcavano lo stretto di Malacca i rapidi scafi delle imbarcazioni pirata Han dirette verso Taiwan, la bella, come la soprannominarono gli esploratori portoghesi. Terra ricca dalle coste frastagliate, l’Ilha Formosa è stata nella sua anodina storia terra di commercio, di avventure piratesche e di intrecci geopolitici.
Strategicamente collocata sulle rotte degli scambi internazionali, l’isola del tesoro, così la chiamava il popolo Han scrutandola dalle sue vicine coste, è stata da sempre punto nodale per le rotte del Mar cinese meridionale. Perla contesa ieri dalle compagnie delle indie occidentali, oggi è divenuta l’ago della bilancia dei nuovi ambiziosi attori regionali, linea rossa della trappola di Tucidide che irretisce Pechino e Washington.
Base degli efferati pirati dei mari asiatici, oggi Taiwan è lo scrigno conteso dalla tassalocrazia Usa e dall’impero celeste cinese: il controllo dell’Isola definisce ansiosamente le prossime sorti del destino globale.
Fondamentale per forzare il blocco informale statunitense imposto all’estensione cinese verso il Pacifico, Pechino rivendica il ritorno dell’isola alla madrepatria. Un’appartenenza che sussurra il nome del lealista Ming Koxinga, l’ufficiale cinese che nel 1662, mentre si insidiava sul soglio imperiale la mancese dinastia dei Qing, poneva fine al controllo politico olandese dopo 9 mesi di assedio. Si concretizzava anni dopo l’annessione ufficiale alla Cina con l’istituzione della nuova prefettura di Taiwan all’interno della provincia del Fujian.
Per gli Stati Uniti la strategia dell’Indo-pacifico assume un carattere strategico fondamentale. Washington continua a tessere la sua tela di alleanze per impedire al Dragone di fuggire dai suoi confini costieri in mare aperto. Una partita a scacchi che valorizza, con gli accordi AUKUS e QUAD, il ruolo di player come Australia, Giappone e la sfuggente India, mai perfettamente allineata alla volontà egemonica a stelle e strisce.
Per Pechino, il ritorno alla Cina di Taiwan è questione semplicemente di politica interna, ritenendo al di là della frattura della guerra civile del 1949, l’isola territorio dell’impero celeste. La strategia del Dragone, come già definita da Den Xiaoping, il piccolo timoniere, è quella di riassorbire Taipei secondo il metodo, già sperimentato per Hong Kong e Macao, di “Un Paese, due sistemi”. Tale processo consentirebbe il mantenimento di un’economia di tipo capitalista su Taiwan e allo stesso tempo la continuazione del socialismo di mercato sul territorio cinese.
La posta del pericoloso gioco per la contesa della bella Taiwan travalica però il mare e si inabissa nelle profondità stesse dell’isola, un cuore pulsante di microprocessori e circuiti integrati. L’antica Formosa è divenuta regina fondamentale della supply chain dei semiconduttori, l’hardware nei cui nanometri si specchiano, come monadi caleidoscopiche, i frammenti della supremazia tecnologica nei settori chiavi del XXI secolo: intelligenza artificia, tecnologia green e mobilità elettrica.
Taiwan rappresenta infatti il 70% della fornitura mondiale di microchip. Il suo primato è legato in particolar al nome di Morris Chang il padre della TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing), la principale azienda produttrice di semiconduttori al mondo. Chang, nato in Cina nel 1951 e con un passato di lavoro nell’industria statunitense del chip, fu il primo a scommettere, insieme al governo di Taipei, nella possibilità di fare dell’isola un tassello fondamentale della catena del valore tecnologico.
Il CEO di TSMC comprende come lo sviluppo di una produzione integrata nella complessa produzione dei semiconduttori, dall’estrazione delle materie prime, alla raffinazione fino al design, richieda sforzi economici e di competenze non sostenibili. Per tale ragione, divenuto presidente dell’ITRI, l’Industrial Tecnology Research Institute nei pressi della capitale taiwanese, definisce la nuova strategia sul cosiddetto modello Fundry, la produzione per conto terzi.
Come evidenziato da Stefano Vernole nel libro edito da Anteo Edizioni, la questione di Taiwan e la riunificazione pacifica della Cina, un solo anno di interruzione della catena di fornitura di chip prodotti sull’isola costerebbe, secondo le stime della società di consulenza Boston Consulting Group, 490 miliardi di perdite per le aziende elettroniche mondiali.
Se gli Stati uniti, nella complessa supply chain dei semiconduttori, rimangono potenza nella progettazione dei microchip, è Taiwan a divenire il luogo chiave della loro realizzazione. Morris Chang comprese l’importanza della specializzazione all’interno di una filiera complessa ma aperta e ancora in fase di definizione.
TMSC conosce allora una crescita esponenziale grazie alla produzione manifatturiera di semiconduttori arrivando, ad un decennio dalla sua fondazione, a realizzare un fatturato di 1 miliardo di dollari. Nel 2021 l’azienda toccherà i 56 miliardi di dollari, divenendo l’impresa asiatica a maggiore capitalizzazione.
Taiwan la Bella è divenuta davvero l’Isola del Tesoro, il bottino sarà la supremazia tecnologica globale.