Il Pacifico è pronto a una guerra
Corea del Nord, Cina, isole contese e supremazia navale: in estremo oriente covano tensioni pronte ad esplodere
Il dittatore folle – Il punto più caldo della regione è sicuramente la penisola coreana: Pyongyang, nonostante le continue ammonizioni dell’ONU e gli ultimatum dell’amministrazione Trump, non sembra intenzionata a sospendere i test sugli armamenti nucleari e sui missili balistici.
La Corea del Nord non può ovviamente sperare di vincere un conflitto contro gli Stati Uniti, e forse non è al momento neanche in grado di colpire il territorio USA con i missili a lungo raggio (finora i test sono falliti, probabilmente per via di sabotaggi delle intelligence americana o cinese), ma può contare su un paio di punti a suo favore: i principali alleati americani nell’area (Giappone e Corea del Sud) sono a portata di missile – gli ultimi lanci lo hanno mostrato chiaramente – e la Cina, principale partner commerciale, militare e strategico, non ha ancora preso una posizione netta contro Kim Jong-un fungendo quindi da deterrente per gli Stati Uniti.
Nel frattempo gli USA hanno inviato la portaerei USS Vinson con il suo gruppo da battaglia e hanno iniziato l’installazione di un modernissimo sistema antimissile nella Corea del Sud, con cui stanno svolgendo anche esercitazioni navali congiunte (una provocazione e una chiara dichiarazione di guerra agli occhi di Kim Jong-un, che ha risposto con un intensificarsi dei test missilistici e delle parate militari per fare propaganda all’interno e cercare di mostrarsi forti con i nemici esterni).
La Corea ha detto di essere pronta ad una guerra totale e non ha escluso il conflitto nucleare con gli Stati Uniti. Sull’altra sponda del Pacifico Trump e la sua amministrazione (su tutti il Vicepresidente Mike Pence e il Segretario di Stato Rex Tillerson) non hanno certo abbassato i toni e hanno chiaramente detto più volte che l’opzione di un intervento militare in Corea del Nord è più che concreta.
USA, Corea del Sud e Giappone (che ha provveduto a inviare navi da guerra da affiancare alla Marina Militare americana in questo frangente) hanno fatto un fronte compatto contro Pyongyang, che però non pare rendersi conto della disparità delle forze in campo e continua la sua politica di provocazioni e di test “proibiti”.
La Cina fungerà da ago della bilancia, ma nel frattempo tutto il mondo si chiede se scoppierà una nuova guerra e chi sarà eventualmente il primo a premere i pulsanti dei missili.
Russia, Giappone e le isole della discordia – La situazione nella regione dell’Asia-Pacifico è tesa non solamente per via della questione coreana ma anche per diverse dispute territoriali che coinvolgono quasi tutti gli attori regionali e internazionali che operano in quel contesto.
Russia e Giappone hanno un contenzioso per le Isole Curili, a nord dell’isola settentrionale di Hokkaido, che dura da oltre settanta anni quando, al termine della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone sconfitto dovette cedere l’arcipelago all’allora Unione Sovietica.
Le Curili oggi sono quasi disabitate (ventimila abitanti circa tra tutte le isole) ma dal punto di vista della Russia sono preziose in ottica strategica – consentono infatti l’accesso a Vladivostok, principale porto russo nella regione, senza dover passare per il Mar del Giappone – tanto che è stata pianificata anche la costruzione di una base aerea in una delle isole.
Per Tokyo invece le Curili rappresentano una questione di principio: per via di alcuni malintesi nei trattati successivi alla Seconda Guerra Mondiale il Giappone non ha mai riconosciuto formalmente la sovranità su questo territorio e ha sempre rivendicato il possesso delle Curili Meridionali (che il governo di Tokyo chiama ‘territori settentrionali’, per evidenziarne la continuità con l’arcipelago nipponico).
In uno degli ultimi incontri tra i leader dei due Paesi, Putin e Abe, i rapporti si sono dimostrati amichevoli e disposti a giungere ad un compromesso, soprattutto in un’ottica di interessi geopolitici regionali: il Giappone, principale alleato degli USA nell’area, non può permettersi di avere anche un nemico a nord per via della crescente minaccia nordcoreana e i buoni rapporti con Mosca potrebbero portare anche a preziosi accordi energetici; la Russia, impegnata ad accrescere la propria influenza nel Pacifico, ha bisogno di alleati per poter controbilanciare lo strapotere cinese in estremo oriente e per indebolire la rete di alleanze americane nella regione.
Il controllo del Pacifico val bene qualche isolotto.
Mar Cinese Meridionale: tra portaerei USA e missili cinesi – Più a sud delle Isole Curili, nel bel mezzo del Mar Cinese Meridionale, ci sono due piccoli e poco conosciuti arcipelagi: le Isole Spratly e le Isole Paracel. Si tratta di affioramenti praticamente disabitati e di piccolissime dimensioni, che però celano un tesoro enorme: le loro acque contengono un terzo della biodiversità marittima mondiale e rappresentano una enorme fonte di sostentamento e di lavoro per diversi milioni di abitanti delle nazioni vicine.
Se a questo aggiungiamo che sotto quelle acque c’è uno dei più imponenti giacimenti energetici mondiali (alcune stime parlando di una quantità di petrolio e gas naturale paragonabile a quella dell’Arabia Saudita) e che il Mar Cinese Meridionale è la seconda rotta commerciale marittima del mondo, diventa facile capire come tutte le potenze regionali e la superpotenza Cina siano interessate al controllo strategico di questi arcipelagi.
Malesia, Taiwan, Filippine, Vietnam e Brunei hanno le loro installazioni militari su diversi isolotti e atolli e ne rivendicano parzialmente il controllo; ma il ruolo dominante, ovviamente, lo ha la Cina che rivendica la sovranità sull’intero arcipelago delle Spratly e che ha costruito addirittura isole artificiali dotate di sistemi missilistici di contraerea.
Pechino considera, per motivi storici, il Mar Cinese Meridionale come un’area di sua esclusiva competenza. Una posizione, questa, che ha portato anche allo scontro (non militare, per ora) con un’altra superpotenza dall’altra parte dell’Oceano Pacifico: gli Stati Uniti.
Washington non è disposta a lasciare le ricchezze energetiche, strategiche e commerciali della regione a Pechino e soprattutto si è sempre espressa in favore della libera circolazione delle navi e delle rotte commerciali in quel mare. La presenza navale americana nell’area è molto forte: una portaerei USA con tutto il suo gruppo di navi da guerra e di supporto è sempre presente nello Stretto di Taiwan a fare da deterrente contro un’eventuale invasione armata di Pechino ai danni di Taipei.
Ci sono diverse nazioni che rivendicano quel tratto di mare. Per ora la diplomazia ha avuto la meglio sulle soluzioni armate, ma basta una piccola scintilla e la situazione potrebbe esplodere coinvolgendo una delle aree più popolate del pianeta.