ISIS, nuova parata di propaganda con prigionieri in gabbia
IRAQ — Nuovo video dell’ISIS, nuova autoproclamazione e nuova infame propaganda.
Lo Stato Islamico sfida e si prende gioco continuamente di tutte le potenze che lo contrastano e lo combattono; questa volta a farne le spese sono un gruppo di curdi, rinchiusi in gabbie ben fatte, con uniformi nuove, di un arancione brillante, caricati poi in modo spietato e vigliacco a bordo di pick-up nuovi per sbattere in faccia tutta la potenza del regime integralista islamico.
Dovrebbe essere curda nella zona di Kirkuk la città teatro della parata che porta a spasso i prigionieri inginocchiati davanti a uomini armati.
Non si conosce la sorte dei ventuno prigionieri, ma il video è montato bene e alla fine fa presagire il destino dei prigionieri con l’inserimento dell’esecuzione dei cristiani copti in Libia.
Già la scorsa settimana erano state diffusi immagini amatoriali di scene sovrapponibili, filmate probabilmente da quanti affollavano le strade.
La Russia si è dichiarata, attraverso Vitali Ciurkin rappresentante permanente russo all’ONU, pronta a partecipare ad una coalizione internazionale contro lo Stato Islamico in Libia, in modo particolare garantendo un blocco navale per interdire l’arrivo di forniture di armi agli estremisti.
Gli ultimi sviluppi danno un movimento di quaranta blindati turchi protetti da caccia militari nella zona nord della Siria, diretti a Soleiman Shah, a trentacinque chilometri dal confine turco, dove sorge un piccolo mausoleo che, in base ad accordi fatti negli anni ’20, è considerato della Turchia.
Il convoglio ha attraversato Kobane, per poi dirigersi verso sud, in una zona di recenti scontri tra curdi dell’YPG e ISIS.
Il numero dei mezzi non fa pensare a movimenti di semplice avvicendamento, ma farebbe pensare ad un rinforzo della zona o ad una difesa da un assalto.
Il Governo di Ankara ha sempre affermato di considerare come atto di guerra qualunque attacco contro il mausoleo. Se ciò dovesse accadere, la Turchia potrebbe considerare l’atto ostile come pretesto per un intervento militare in Siria.