Nel cuore della diplomazia: la Russia vista dall’Ambasciatore Starace
Abbiamo intervistato Giorgio Starace, Ambasciatore d’Italia in Russia dal 1° ottobre 2021. Con lui abbiamo parlato del sistema di potere di Putin e dei possibili scenari e risvolti che potrebbe avere la crisi ucraina.
L’ascesa di Putin sembra aver definito una verticale del potere orientata in senso autoritario. Secondo lei il sistema politico putiniano vive una continuità rispetto all’esperienza storica russa, vedi l’impero zarista e il complesso di potere sovietico, o la lunga presenza di Putin al potere ha segnato un’effettiva cesura storica?
Io sono tra quelli che pensa che il sistema di potere di Putin costituisca uno sviluppo di un retaggio storico. Non è un caso che Putin, in particolare nel corso di questi ultimi anni, ha fatto ogni sforzo per cementare il rapporto tra la gerarchia statale, il suo sistema di potere e la gerarchia ortodossa ed ecclesiastica. Il binomio con il metropolita Kirill è solidissimo ed è in fondo la riproduzione del modello imperiale chiesa/stato, due entità che si coniugano per trasmettere un messaggio di forza e stabilità alla popolazione supportandosi a vicenda in tale sforzo. Io credo che Putin abbia tentato di ricostituire un modello imperiale, naturalmente con le dovute precauzioni storiche, perché ogni periodo storico risponde alle sue peculiarità e necessità.
È evidente che lo zar Nicola viveva in un mondo completamente diverso. Nella fase di rapporti di partnership con l’Occidente e con gli Stati Uniti, per Putin la preoccupazione principale era riportare la Russia in una posizione di primato. In questo ci vedo una visione imperiale e una continuità con quella che è sempre stata la tradizione storica russa.
L’economia russa ha dimostrato una notevole capacità di resilienza davanti alle sanzioni, ai tentativi di decoupling energetico e ai costi del conflitto. In che modo Mosca è riuscita a sopperire alle criticità che hanno colpito il suo sistema economico?
Partiamo da un presupposto importante: negli anni recenti la Russia ha comunque potuto accumulare un notevole forziere di risorse finanziarie grazie alle esportazioni energetiche verso l’hub manifatturiero dei grandi paesi europei come Germania, Italia e Francia, contribuendo sicuramente a rendere notevoli le risorse finanziarie accumulate da Mosca e quindi anche le riserve della banca centrale russa. Le sanzioni hanno operato e colpito la Russia, ma il Cremlino era già comunque difeso da ingenti risorse proprie. Esiste poi un aspetto da non sottovalutare assolutamente e cioè che sanzioni economiche veramente stringenti per funzionare molto bene, con un paese di così grande vastitàcome la Russia, avrebbero avuto bisogno del concorso di altri protagonisti.
Il fatto che la grande economia cinese non abbia partecipato ai provvedimenti sanzionatori e con lei tanti paesi BRICS, compreso quelle economie ‘ponte’ che sono in prossimità dei confini russi (parliamo della Turchia, del Kazakhistan e dell’Uzbekistan), inevitabilmente ha indebolito l’impianto sanzionatorio . Per tale ragione è vero che la Russia è stata molto colpita per esempio dal punto di vista dell’alta tecnologia, dei microchip, ma è altrettanto vero che la Russia è riuscita a smerciare grandi quantità di petrolio a basso costo in India. Questo petrolio raffinato è stato successivamente riesportato in Europa. Il sistema sanzionatorio ha avuto un suo impatto, ma è stato limitato a causa di queste due importanti variabili: la posizione di forza della Russia nella fase iniziale e il concorso degli altri protagonisti economici mondiali nel corso di questi anni.
Una domanda è proprio sui rapporti tra Cina e Russia. L’abbraccio di Pechino all’Orso russo presenta punti di forza e criticità per Mosca. Come valuta tale alleanza nel medio e lungo periodo?
É evidente come la Cina sia molto necessaria alla Russia in questa fase. Non c’è alcun dubbio che, se si guardanole ragioni di scambio, almeno dal punto di vista del trade tra Cina e Russia, quest’ultimo anno e mezzo ha visto una crescita esponenziale delle esportazioni cinesi verso la Russia e una dinamica molto limitata delle esportazioni russe verso la Cina. La ragione di scambio è sempre più fortemente sbilanciata e sicuramente a lungo termine questo avrà una forte incidenza.
Di qui il fatto che probabilmente, in una fase che io auspico, la Russia dovrà tornare a ragionare con l’Europa perché il Cremlino ha fortemente bisogno dell’Europa come l’Europa ha bisogno della Russia. Parliamo di realtà, dal punto di vista economico, estremamente complementari. Sulla questione della natura europea o asiatica del Paese, i miei amici russi dicono: “Noi non siamo né asiatici né europei, siamo russi”.
Io una risposta me la sono data. Non c’è alcun dubbio che camminando per Mosca o per San Pietroburgo, ma anche per Ekaterinburge per Novosibirsk, si respira non la Cina ma l’Europa. Il modello è europeo, è un modello culturale irresistibile che nasce dalla storia e dalla cultura, dagli scrittori, dalla tradizione russa ed europea e dalle complementarietà economiche.
La Russia ha sempre guardato all’Europa e chiunque fa un lungo viaggio, ad esempio con la transiberiana, fino ai territori dell’Estremo Oriente e a Vladivostok, si rende conto che i modelli architettonici, le chiese sono russe, ma poco hanno a che vedere con quello che si vede al di là del confine con la Grande Cina. Quello è un altro mondo culturale, è un impianto diverso.
Il suo è stato un cursus honorum diplomatico di primissimo piano. Tra le sue ultime esperienze, quella di ambasciatore d’Italia negli Emirati Arabi, in Giappone ed infine in Russia. Quale ricordo che le è più caro e quale è stata invece il suo dispiacere più profondo?
Se dovessi generalizzare, non ci sarebbe alcun dubbio che le esperienze più belle e che mi hanno riempito di maggiore soddisfazione nella mia attività diplomatica sono legate agli italiani. I cittadini italiani visti da lontano improvvisamente assumono un carattere estremamente positivo ed aspetti che vanno assolutamente rivalutati. Il rapporto che ho avuto con i tanti responsabili di aziende, imprenditori, accademici ma anche studenti nelle università straniere, artisti eintellettuali è stato di grande ammirazione. A causa del nostro tratto distintivo culturale gli italiani hanno questa grande virtù di mimetizzarsi nelle realtà in cui si trovano e sono in grado di capire maggiormente le altre culture e di trovarne gli aspetti positivi. Tutto ciò dal punto di vista anche della politica estera è estremamente utile. I migliori ambasciatori dell’Italia che io ho trovato nel mio lavoro diplomatico sono proprio i cittadini italiani. Mi faceva molto piacere sentire le loro storie, storie di grande lavoro ma anche di grande soddisfazione. Fare l’ambasciatore d’Italia in tanti paesi del mondo è un grande vantaggio perché noi abbiamo una strada spianata dai nostri cittadini e dall’Italia stessa.
Non c’è paese dove io non ho avuto simpatia istintiva perché ero italiano ed ero l’ambasciatore d’Italia. Così non posso dire di altri miei colleghi di altri paesi. Vi faccio un esempio molto banale, ma che ha una grande valenza. Quando io ero ambasciatore a Mosca, in piena crisi e con il governo russo che includeva l’Italia tra i cosiddetti paesi ostili per il nostro sostegno all’Ucraina, andando in giro con la macchina di servizio e la bandierina tricolore ricevevo il saluto istintivo di giovani, anziani e donne.
Per quanto riguarda le amarezze, io sono stato un ambasciatore fortunato. Forse l’unica cosa che posso definire come tale riguarda un provvedimento adottato come emendamento a una finanziaria di due anni fa che ci ha tagliato fuori dalla possibilità di esercitare il diritto di opzione, rispetto alla grande maggioranza di tutti gli altri ambasciatori e cariche apicali,per poter arrivare a 67 anni come età massima per la pensione. Noi che prima del 1° gennaio 1996 siamo stati in sedi particolarmente disagiate e quindi abbiamo accumulato molti contributi, non abbiamo avuto questa facoltà. Tutti gli altri sì.Quindi io e insieme ad altri 70 alti funzionari andremo in pensione a 65 anni e probabilmente saremo gli ultimi pensionati baby di questo paese.
Il conflitto in Ucraina ha visto sovrapporsi elementi tipici del conflitto tradizionale, come la guerra di trincea, ed elementi tecnologicamente innovativi. Cosa possiamo desumere sull’attuale contesto bellico e sul futuro degli scenari bellici?
Questa guerra, oltre ad insegnarci e ad insegnare agli esperti militari tutta una serie di nozioni sull’innovazione tecnologiche applicata al campo di battaglia, ha dimostrato che una grande guerra convenzionale oggi non suscita consenso né appoggio in maniera generalizzata nella popolazione. Putin sin dall’inizio si è reso conto, anche lui che è un autocrate, anche lui che è in grado di soffocare il dissenso, che non avrebbe potuto combattere questa guerra come venne combattuta dall’Unione Sovietica contro Hitler, cioè non poteva essere una guerra di popolo ma doveva essere una guerra con volontari reclutati a 2000 dollari al mese tra le popolazioni più povere.
A due anni dall’inizio della guerra, il Presidente Zelensky non ha potuto dichiarare la coscrizione obbligatoria perché non ha la possibilità politica di farlo. Come conseguenza di tutto questo c’è stato un enorme esodo di giovani che sono fuggiti in massa dalla Russia all’inizio della guerra andando in macchina verso la Georgia, in Europa non ne parliamo. Lo stesso vale per l’Ucraina dove Zelensky sta tentando di introdurre un blocco all’esodo.
Cosa dimostra tutto questo? Che non c’è la possibilità di fare una guerra di tipo, chiamiamolo, popolare come all’epoca della Seconda guerra mondiale o della prima e così via. Non parliamo dell’Occidente, dove questa cosa è improponibile. Se voi vedete il modello americano, sono anni che gli americani ricorrono ai volontari. Che cosa ci porta a pensare tutto questo? Ci porta a pensare che probabilmente le guerre del futuro saranno sempre più nelle mani di sistemi cyber, nelle mani dell’AI, dei droni, dei professionisti della guerra e dei volontari con tecnologie ancora più micidiali dal punto di vista distruttivo.