La quiete prima della tempesta

Sono passati dieci giorni, ormai, dall’incursione armata condotta dai miliziani palestinesi all’interno del territorio israeliano. Incursione che, alla fine, ha lasciato sul campo più di un migliaio di morti da parte israeliana e un numero addirittura superiore tra i membri delle fazioni armate coinvolte nel blitz. Da quel momento, però, il mondo non è stato più lo stesso. Il Medio Oriente, ora, è sull’orlo del baratro, alle porte di un possibile conflitto che potrebbe, rapidamente, coinvolgere tutto il vicinato e anche nazioni territorialmente più distanti.
Non si tratta, infatti, più solamente di Israele e Gaza, dell’IDF e Hamas, ma di uno scenario ben più complesso e preoccupante. La violenta reazione dell’aviazione israeliana, che nelle ultime due settimane ha bombardato giorno e notte la Striscia senza alcuna interruzione, ha provocato estese proteste all’interno del mondo arabo e islamico, così come all’interno della società civile di molte altre nazioni. In particolare, sono stati i bombardamenti di precisione condotti in maniera talmente estensiva da livellare completamente interi quartieri, provocando la morte di più di un migliaio di persone, a generare uno sdegno così diffuso. In aggiunta, grandi proteste sono scaturite dalla decisione di imporre un vero e proprio assedio al territorio di Gaza, tagliando gran parte delle forniture elettriche, idriche e bloccando l’accesso di qualsiasi genere di riferimento. Solo in alcuni casi, infatti, è stato consentito ai convogli di aiuti e rifornimenti di entrare all’interno del territorio palestinese passando dal territorio egiziano.
Le reazioni più radicali, in questo caso, provengono dal vicino Libano e dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Hezbollah, infatti, ha minacciato di intervenire come parte in causa nel conflitto nell’evenienza in cui l’esercito israeliano lanci un attacco di terra su Gaza, aprendo così un secondo fronte in terra mediorientale. Teheran, invece, ha manifestato il proprio supporto per la causa palestinese, minacciando un intervento diretto nel conflitto. Inoltre, secondo le dichiarazioni di alcuni media iraniani, circa due milioni e mezzo di persone avrebbero dato la propria disponibilità per partecipare alla possibile guerra, molto probabilmente passando dal Libano e venendo integrati all’interno del movimento armato sciita di Hassan Nasrallah.
A difesa dello Stato Ebraico, però, si sono già mossi i principali alleati di sempre, tra i quali compaiono anche India e Stati Uniti. L’India, in particolare, ha preso una posizione nettamente a favore di Israele, così come facilmente verificabile dalle dichiarazioni del premier Narendra Modi. Gli Stati Uniti, invece, in qualità di storico alleato, hanno optato per inviare direttamente un intero gruppo navale d’attacco – equipaggiato con la portaerei USS Gerald R. Ford – nel Mediterraneo orientale. In supporto, inoltre, è previsto l’arrivo del gruppo navale capitanato dalla USS Dwight D. Eisenhower, partito nei giorni scorsi da Norfolk, Virginia. Si tratta di un chiaro messaggio, in questo caso, rivolto all’Iran e a Hezbollah, così da far desistere entrambi dall’intervenire attivamente al fianco di Hamas.
Più moderata, invece, è stata la reazione di Cina e Russia, che si stanno limitando, attualmente, a giocare un ruolo esclusivamente di mediazione, senza prendere decisioni di fondo paragonabili a quelle espresse da Teheran. Nonostante dalle prese di posizione sia evidente una comune linea filo-palestinese, nessuna delle due potenze si è presa l’insidiosa responsabilità di agire come possibile game changer. La Russia, infatti, si trova completamente impantanata nella questione ucraina e cerca così nuovo supporto internazionale per la propria difficoltosa condizione economica. La Cina, invece, ora sta puntando ad emergere come possibile mediatore nelle vicende internazionali e l’attuale conflitto israelo-palestinese si presenta come una ricca occasione da sfruttare.
Molto interessanti, inoltre, sono state le conseguenze che gli ultimi eventi hanno provocato all’interno del mondo arabo e islamico. La maggior parte, se non quasi la totalità, della popolazione delle nazioni arabe ha preso a cuore la causa di Gaza, dando origine a manifestazioni oceaniche nei paesi d’origine e in numerosi paesi europei e occidentali. In numerosi casi, soprattutto in Europa e Stati Uniti, ma anche a Sydney, vi sono state serie tensioni tra i sostenitori dei due opposti schieramenti. Fatto che, alla fine ha portato a serie riflessioni sulle ripercussioni del conflitto all’interno di società che non risultano direttamente coinvolte nelle ostilità. Divisa è anche la comunità religiosa islamica, dove si alternano figure che inneggiano al Jihad contro Israele e chi, invece, si oppone a Hamas e Hezbollah.
L’unica certezza, al momento, è che il mondo che abbiamo sempre conosciuto non sia più lo stesso. Ormai si è avviata una lunga serie di eventi destinata a cambiare il corso della Storia, in un modo o nell’altro. Ciò che tutti si domandano ora, però, è: siamo all’alba di un nuovo, devastante, conflitto internazionale in Medio Oriente?