Guantánamo. Vent’anni dopo, un capitolo irrisolto della storia americana

Era l’11 gennaio 2002 quando il governo degli Stati Uniti recluse nella struttura detentiva di massima sicurezza di Guantánamo i primi uomini sospettati di avere collegamenti con al-Qaida. Sono passati vent’anni ma ancora non sembra chiaro il destino che avrà questo luogo, rimasto un capitolo oscuro e controverso della storia americana.
La storia
Dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre, il governo degli Stati Uniti promise ai propri cittadini di agire immediatamente nei confronti dei responsabili di quei terribili attacchi. Quelle dichiarazioni si materializzarono successivamente nell’azione militare denominata Operazione Enduring Freedom – Afghanistan, che aveva come obiettivo quello di andare alla ricerca dei Talebani che si pensava potessero aver preso parte all’attentato.
Dopo questa prima controffensiva americana, cominciò a concretizzarsi un problema ancor più urgente: dove detenere gli uomini fatti prigionieri? Come luogo di prigionia venne così scelta una porzione dell’isola di Cuba, ovvero Guantánamo. Questa posizione venne fin da subito definita come un ‹‹buco nero legale››, ovvero un luogo dove gli americani potevano mettersi al sicuro da ogni giurisdizione e potevano, ove fosse necessario, ricorrere a operazioni come la tortura o la detenzione senza processo. Questi trattamenti in questi anni sono stati messi ripetutamente sotto accusa.
Il 21 gennaio 2009 Obama, durante la sua presidenza, ne ordinò la chiusura che poi non avvenne a causa dell’opposizione del Congresso e dei paesi d’origine dei prigionieri. Nel 2011 lo stesso presidente riuscì però a dar vita ad una commissione che periodicamente detiene il compito di valutare i casi dei prigionieri e che all’epoca ebbe come immediato risultato il fatto che si passasse da 245 a 41 uomini detenuti.
La presidenza Trump successivamente cancello l’emendamento Obama, dichiarando di voler tener aperta Guantánamo. Biden, ad un anno dall’inizio del suo mandato, ancora sembra non aver tenuto fede a quanto annunciato in campagna elettorale, ovvero la volontà, sulla linea del predecessore democratico Obama, di chiudere definitivamente la struttura detentiva. Ad oggi è noto che si sta pensando di costruire una nuova aula di tribunale proprio all’interno di Guantánamo Bay, la base navale lì presente.
La situazione oggi
Da quando questo centro di detenzione è stato aperto – sotto il governo di George H.W.Bush ha ospitato anche i rifugiati di Haiti – sono passati circa 800 detenuti. All’interno di Guantánamo sono oggi detenuti 39 uomini, per lo più di religione mussulmana, in attesa di giudizio. Di questi sappiamo che dieci si trovano da anni davanti alla commissione militare, due sono stati condannati, in tredici hanno ricevuto l’ok per essere rilasciati. I restanti invece sono ancora in attesa di sapere quale destino spetterà loro. Tra coloro i quali sono davanti alla commissione in attesa di giudizio, c’è anche Khalid Shaikh Mohammad, dichiaratosi la mente degli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle.
Ma dal momento che per molti di loro ancora non è noto quale sia il capo d’accusa perché formalmente non è stato ancora formulato, da ormai molto tempo il campo di prigionia americano si trova al centro del dibattito delle organizzazioni umanitarie. I riflettori sono accesi soprattutto sui maltrattamenti e sulle torture che all’interno di quel luogo verrebbero perpetuate ai danni dei prigionieri. A vent’anni dall’apertura di Guantánamo, sulla questione è intervenuto anche Amnesty International dichiarando di aver sollecitato il presidente Biden a portare a termine quanto dichiarato durante la campagna elettorale: “Più a lungo quella prigione resterà aperta, più a lungo la credibilità globale degli Usa nel campo dei diritti umani risulterà compromessa.”
Gli Stati Uniti infatti starebbero tenendo detenuti questi prigionieri con il solo motivo dell’emergenza terroristica, non tenendo conto che il diritto ad avere un equo processo è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, nonché un diritto che compare anche nel IV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.