Il colpo di grazia dei Talebani. Ora in Afghanistan non c’è più nulla
Nel 2009 Reuters titolava così un articolo “Afghanistan, sondaggio: vera minaccia è povertà, non talebani”. Nella ricerca condotta sul campo da una ONG, si esplorava un territorio frammentato e povero chiedendo direttamente alla popolazione afghana quali fossero le relative cause della crisi in corso. Oggi l’Afghanistan non è molto lontano dallo stesso scenario, vittima di un percorso travagliato, un tessuto statale estremamente corrotto che ha alimentato strutture sottosviluppate nella quasi totalità delle aree del paese. I Talebani, piombati a Kabul ad agosto scorso hanno dato il colpo di grazia agli oltre 40 milioni di cittadini afghani. Oggi nel paese non c’è più nulla, e il popolo osserva in silenzio l’unica via di sopravvivenza oggi affidata alla comunità internazionale.
Centoquattro dollari. Poco più di 90 euro è il prezzo di un bambino in Afghanistan mentre si muore di fame. Un articolo comparso sul The Sun, racconta la storia di una mamma Afgana che ha venduto uno dei sui figli per permettere ai restanti di non morire di fame. Una catastrofe umanitaria. Save the Children stima che entro il prossimo 2022, più del 90% degli Afghani vivrà sotto la soglia minima di povertà.
La presa di Kabul di agosto da parte dei Talebani, e il conseguente congelamento statunitense dei fondi del precedente governo afghano, ha gettato il paese in una crisi senza fine. Secondo Ajmal Ahmady, governatore della Banca Centrale Afghana nel precedente governo, gli asset in blocco si aggirano attorno ad un valore di 9 miliardi di dollari. Come ha raccontato su twitter lo stesso Ahmady, il congelamento è stato reso possibile proprio per la presenza virtuale delle somme che concorrono all’asset totale. Parliamo di oltre 8 miliardi in obbligazioni, conticorrente internazionali, attività e oro della Federal Reserve Usa. Nel paese i dollari fisici sono introvabili. Dopo la presa talebana del 15 agosto sono stati bloccati gli invii di dollari liquidi. Si presume che dagli USA arriverà lo stop anche agli aiuti militari nel paese.
Nell’immediato futuro, in Afghanistan, l’unica salvezza rimangono le organizzazioni internazionali e il programma alimentare mondiale che ha iniziato, da poche settimane, a distribuire denaro tra la popolazione. L’ultimo rapporto che analizza l’economia del paese calcola che 23 milioni di cittadini afghani presto non avranno cibo per superare i periodi più freddi. Il territorio Afgano presenta diverse criticità che lo rendono oggi sottosviluppato con bassissime prospettive di crescita futura. L’arrivo dei Taleb ha prima bloccato e poi rallentato ogni tipo di aiuto internazionale all’economia del paese, con un conseguente blocco di liquidità per migliaia di stipendi riversando la popolazione in un profondo crack socio-economico estremamente difficile da controllare.
Le ONG che operano nel paese
Dalla presa dei talebani, con un aggravamento della crisi economica e la forte censura per le organizzazioni nel paese, nonché dopo l’inasprimento dei conflitti tra talebani e Stato Islamico afghano (ISIS-K) oggi è difficile portare aiuti nel paese. Intersos è una delle decine di organizzazioni umanitarie che forniscono aiuti e assistenza al popolo afghano. L’organizzazione umanitaria accompagna la popolazione nel Sud del Paese in località come le province di Kandahar e Zabul e nei distretti di Spin Boldak, Maywand, Shawalikot, Shahjoy. Intersos si occupa di supportare le cliniche sanitarie mobili in luoghi remoti e di conflitto. Nove Onlus invece è una realtà italiana ed operante nel paese che si dedica a progetti di emancipazione imprenditoriale femminile, corsi di alfabetizzazione, inglese e formazione di guida. Medici senza frontiere negli ultimi anni ha aperto due centri per la medicina d’emergenza nell’area orientale del Paese, oltre che un ospedale di medicina neonatale e materna. La Croce Rossa, presente nei territori di conflitto da 25 anni con una rilevante presenza italiana, garantisce assistenza con operatori e volontari, assicurando attività di mediazione culturale, supporto psicologico e assistenza sanitaria. Di alto impatto sociale le operazioni dell’Islamic Relief che ha iniziato ad operare in Afghanistan nel 1992 mentre il paese viveva l’assalto dei mujaheddin e successivamente l’avvento del governo talebano. L’Islam Relief oggi aiuta la creazione di una economia dal basso con programmi di insegnamento di cucito e fornitura di macchina da cucire per avviare piccole attività indipendenti nella propria casa. Le Organizzazioni di aiuto umanitario intervengono in ogni aspetto della vita del popolo afghano, dalla distribuzione di cibo, all’assistenza sanitaria, prevenzione, beni di prima necessità, educazione e supporto quotidiano.
L’arrivo dei Talebani ha spazzato via un’economia già al collasso
Oggi l’agricoltura resta tra le principali forme di sostentamento del paese. Il 25% del PIl del paese proviene dal settore agrario. Il NYT contava al 31 agosto solo 200.000 afghani evacuati dal paese su una popolazione di 38 milioni di abitanti. Poco più dell’1%. Intervistata da Euronews, Hsiao-Wei Lee deputy director of World Food program in Afghanistan, ha raccontato: “ La situazione è drammatica, al limite. In dieci anni di monitoraggio le cose in Afghanistan non sono mai state così pessime. In questo momento nove milioni di persone si trovavano nella Fase 4 e se arriveranno a varcare lo step successivo, per loro potrebbe esserci solo la morte”.
Lo scenario peggiore delineato dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, ha previsto una contrazione del PIL del 13,2%. La proiezione degli aiuti necessari al paese nel corso del 2022 rispetto agli anni precedenti è allarmante. A settembre scorso, il direttore generale della Fao, Qu Dongyu lanciava un appello alla comunità internazionale durante la riunione ONU. “Dobbiamo mantenere gli agricoltori nei loro campi e i proprietari di bestiame con le loro mandrie per prevenire una crisi più profonda, che potrebbe comportare maggiori esigenze umanitarie in futuro”. Oggi circa il 70% degli afghani vive in aree rurali. Questo comporta che milioni di persone dipendano esclusivamente dall’agricoltura per il proprio sostentamento, infatti ancora oggi oltre la metà dell’apporto calorico giornaliero medio di un afgano proviene solo dal grano coltivato nel perimetro nazionale.
Clima e territorio rendono il paese inabitabile: oggi diversi reportage raccontano di minori scambiati con somme adibite alla sopravvivenza
Sempre Euronews, in un reportage sul campo, racconta che nella città di Qala-i-Naw, mille metri di altezza e isolata tra l’altopiano afghano, quasi al confine con il Turmekistan, un padre ha venduto le sue due figlie, dandole in sposa per far fronte alla carestia. Entrambe le figlie sono state vendute per 1600 dollari. Le successive due testimonianze sono state riportate da Save the Children, dove una famiglia ha raccontato di aver scambiato uno dei sei figli per centoquattro dollari, dopo aver rifiutato l’offerta più e più volte nella speranza di trovare una soluzione diversa. La storia è interamente riportata da Save The Children in quanto direttamente coinvolta nell’aiuto umanitario. La siccità ha aggravato pesantemente la situazione degli ultimi mesi. L’acqua è l’elemento più richiesto. Senza acqua non ci può essere alcuna catena alimentare, dal latte degli animali, alla carne, alle verdure.
Centoquattro dollari, nelle attuali condizioni del paese, permettono 6 mesi di cibo di sopravvivenza per l’intera famiglia. In aggiunta a questo, una profonda crisi climatica ha messo in ginocchio la poca economia agricola di sopravvivenza, rendendo vani i tentativi di sopravvivere grazie al raccolto.
Come mostra il grafico in figura, su dati worlddata, la percentuale di giornate di pioggia nei mesi più caldi è inferiore a 1 con temperature sempre più alte e terreni aridi. Nel reportage di Aljazeera in foto, vengono evidenziate le condizioni di sopravvivenza di un villaggio afghano in Bala Murghab. In questa situazione, come per la crisi in Qala-i-Naw, si inscrivono i tentativi disperati delle famiglie che mettono in vendita qualsiasi cosa rimasta in loro possesso al fine di allungare di qualche mese le possibilità di sopravvivenza.
Nelle parole di Mohammed, – padre di famiglia intervistato da Euronews durante un reportage locale -,si legge lo specchio della situazione in cui versa il paese: “ Abbiamo bisogno di aiuto, siamo affamati e poveri, non ci sono opportunità di lavoro in Afghanistan. Abbiamo bambini. Abbiamo più bisogno di farina e olio, che non abbiamo. Va bene anche avere legna da ardere. Non potevo permettermi di comprare carne negli ultimi due o tre mesi. Abbiamo solo il pane per i bambini che non è sempre disponibile». Save the Children racconta che per la prossima settimana ed il prossimo mese, 14 milioni di bambini in Afghanistan non hanno la sicurezza del prossimo pasto.