Regno (dis)Unito
I Tories perdono 13 seggi e la maggioranza in Parlamento, i Labour avanzano con Corbyn e alla May servirà l’alleanza con gli unionisti nordirlandesi del DUP (che potrebbero portare alla fine della ‘hard brexit’)
Un disastro politico. Solo così è possibile definire gli ultimi dodici mesi della politica britannica.
Dal referendum sulla brexit che è costato la poltrona a Cameron fino alle elezioni di ieri – indette con tre anni di anticipo da Theresa May con la speranza di rafforzare la posizione del suo governo durante le trattative con l’Unione Europea – che hanno sancito la sconfitta politica proprio dei Conservatori della Premier.
I Tories hanno perso 13 seggi rispetto alle elezioni del 2015 e così adesso il Parlamento britannico è sospeso (‘hung’ in inglese), ovvero è nella situazione di dover trovare una stabile alleanza di governo.
Frammentazione politica – Per ottenere la maggioranza assoluta e poter governare da soli occorrono 326 seggi su 650. I Conservatori, che ne avevano 330, ne hanno persi 12 passando a 318, i Labour di Corbyn sono saliti a 262 guadagnandone ben 30. Perde consensi anche lo SNP (indipendentisti scozzesi, il terzo partito più grande), passando da 56 a 35 seggi.
Resta fuori dal Parlamento lo UKIP che perde l’unico seggio che aveva mentre crescono, seppur di poco i Liberal-Democratici e DUP (unionisti nordirlandesi).
E sono proprio i 10 seggi conquistati dal DUP che potrebbero decidere le sorti politiche del Regno. Infatti Theresa May, lungi dal presentare le dimissioni come suggeritole dall’avversario Corbyn, si è recata stamattina a Buckingham Palace dove ha avuto un colloquio con la Regina per poter formare un governo di coalizione proprio con i parlamentari DUP (che si sono resi disponibili ad un’alleanza in funzione anti-Corbyn ma che divergono sostanzialmente dalle posizioni politiche della May: i DUP sono per una ‘soft brexit’).
Un’alleanza scomoda – La situazione al momento è altamente caotica: i Conservatori non possono governare da soli (e non possono quindi portare avanti la linea della hard brexit durante i negoziati con la UE, obiettivo prioritario per l’esecutivo guidato dalla May), e altrettanto non possono fare le altre politiche (in primis i Labour) che dovrebbero quindi formare un governo di minoranza – in cui ogni azione dell’esecutivo deve passare al vaglio del Parlamento.
L’alleanza con il DUP (destra populista, nata come partito fondamentalista religioso) è quindi essenziale ma pone alcuni problemi logistici per Theresa May: il partito nordirlandese infatti è per una soft brexit, dato che una linea dura potrebbe portare ad un ripristino del controllo delle frontiere – oggi inesistente – tra Irlanda del Nord ed Eire, un colpo durissimo per l’economia della regione.
Le posizioni ufficiali degli unionisti potrebbero essere piuttosto scomode per il governo May: il DUP è infatti dichiaratamente contro l’aborto, i matrimoni gay (una loro recente campagna recitava “salviamo l’Ulster da Sodoma”), le teorie evoluzionistiche di Darwin (alcuni leader del partito sono creazionisti) e soprattutto contro le teorie sul cambiamento climatico – che potrebbe portare di nuovo Theresa May su posizioni, sul tema dell’ambiente, lontane dalla UE e più vicine alle politiche americane di Trump per mantenere stabile la propria maggioranza di governo.
Il DUP si è proposto come alleato ‘informale’, ovvero senza un accordo ufficiale, come ha già fatto nell’ultima legislatura. Ma mentre prima i Tories avevano i numeri per governare anche da soli, ora i seggi nordirlandesi sono vitali e questo accordo tacito con “gli amici del DUP”, come li ha definiti la May al termine del colloquio con la Regina, potrebbe far saltare la già traballante posizione della Premier.
Theresa May infatti dovrà per forza di cose tenersi lontana sia dai Labour di Corbyn sia dall’altro grande partito nordirlandese del Sinn Fein (indipendentisti cattolici ed europeisti che mirano ad una riunificazione tra l’Irlanda del nord e Dublino, sono rivali storici del DUP che li reputa il braccio politico dell’IRA, i terroristi irlandesi che per decenni hanno insanguinato la vita politica dell’isola).
La reazione europea – Juncker, il Presidente della Commissione Europea, al termine del conteggio dei voti ha chiaramente fatto sapere a Theresa May che i trattati per la brexit devono andare avanti qualunque sia l’esito politico delle elezioni. Pierre Mosvovici, Commissario Europeo agli affari economici e finanziari, ha detto che “la brexit non è in discussione”.
Nel frattempo la sterlina britannica è crollata in borsa indebolendosi rispetto all’Euro e al Dollaro USA, mentre il rischio politico del Parlamento bloccato ha avuto ripercussioni anche sul mercato finanziario e in particolare sui titoli di stato britannici.