Il caso del Jimmy Kimmel Live! e lo stato del dissenso negli Stati Uniti

Con un comunicato della Walt Disney Company è stato annunciato ieri sera che il programma Jimmy Kimmel Live! tornerà in onda sulla rete Abc a partire da domani, martedì 23 settembre. Lo show del comico statunitense, che dal 2003 andava in onda in seconda serata dal lunedì al giovedì, era stato sospeso a tempo indeterminato il 17 settembre, poco prima della messa in onda della puntata. L’interruzione era stata giustificata dalla Disney come un modo «per evitare di alimentare ulteriormente una situazione già tesa in un momento emotivamente delicato per il Paese». La nota fa riferimento al monologo introduttivo alla puntata del 17 settembre, in cui Kimmel scherzava sul fatto che la destra vicina al presidente Donald Trump stesse sfruttando politicamente l’uccisione dell’attivista conservatore Charlie Kirk. Il caso ha acceso un nuovo dibattito sullo stato del dissenso e della sua repressione negli Stati Uniti di Trump.
Il caso Kimmel
«Abbiamo raggiunto dei nuovi minimi durante il fine settimana, con la gang MAGA che cercava disperatamente di caratterizzare questo ragazzo che ha ucciso Charlie Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro, e facendo tutto il possibile per ottenere punti politici da ciò». Così Jimmy Kimmel parlava lunedì 17 settembre su quella che per lui era una strumentalizzazione a fini politici dell’omicidio di Charlie Kirk da parte di Tyler Robinson, studente 22enne che il 10 settembre ha aperto il fuoco contro il militante conservatore, durante un suo dibattito alla Utah Valley University. Kirk era un attivista politico conservatore, considerato da molti come esponente dell’ala più estremista dei repubblicani trumpiani e noto per essere cofondatore e AD di Turning Point Usa (organizzazione nata con lo scopo di sostenere e diffondere le idee di stampo conservatore nelle scuole e nelle università statunitensi). Dopo il suo monologo, Jimmy Kimmel è stato duramente criticato da diversi esponenti della destra trumpiana e da personaggi a lui vicini come Brendan Carr, presidente dell’agenzia governativa che si occupa delle telecomunicazioni (la Federal Communications Commission). Carr aveva minacciato sanzioni contro la Abc e la Disney in caso si fossero opposte alla cancellazione del talk show serale, nonché intimorito la Abc di toglierle la licenza per le trasmissioni.
L’attacco agli altri conduttori
Già in passato Jimmy Kimmel e altri conduttori statunitensi erano stati presi di mira da Donald Trump per aver sollevato criticità nei confronti della sua amministrazione. L’occasione della sospensione di Kimmel è stata colta dal presidente statunitense come un’occasione per minacciare altri due conduttori/comici a lui ostili: Jimmy Fallon, conduttore dello storico The Tonight Show, e Seth Meyers, presentatore dell’omonimo Late Night with Seth Meyers. Alle minacce rivolte ai due presentatori si sono aggiunte poi quelle verso reti televisive contro il presidente repubblicano: «Ho letto da qualche parte che le reti sono al 97% contro di me…eppure ho vinto facilmente, tutti e sette gli swing states», ha affermato Trump, «penso che forse la loro licenza andrebbe revocata» ha poi aggiunto.
Un caso simile aveva già contribuito ad accendere il dibattito sulla censura negli Stati Uniti di Donald Trump. Nel maggio del 2026 andrà in onda, infatti, l’ultima puntata del Late Show, condotto da Stephen Colbert sulla rete televisiva CBS. Si tratta dello storico programma reso famoso da David Letterman, conduttore dal 1993 al 2015, e che ha fatto la storia della televisione e dei talk statunitensi. La CBS aveva insistito sul fatto che la decisione di chiudere fosse stata presa in seguito ai problemi di ascolti che affliggevano il programma, sebbene in molti avessero visto nella chiusura del programma di Colbert un attacco a un personaggio televisivo inviso a Trump. Dopo la decisione della chiusura del programma, il presidente statunitense aveva commentato così la notizia: «Gira voce, ed è solo una voce, che Jimmy Kimmel sarà il prossimo ad andare via nella gara dei talk show serali privi di talento e, poco dopo, se ne andrà anche (Jimmy) Fallon».
Le accuse di censura
Il caso Kimmel ha indignato buona parte dell’opinione pubblica, delle opposizioni e dello star system statunitense, considerando la sospensione del comico come un nuovo tentativo di zittire le voci del dissenso in televisione, proponendo la stessa «cancel culture» criticata di continuo dallo stesso Trump nei suoi comizi. Barack Obama ha definitivo la sospensione del programma di Jimmy Kimmel come un modo attraverso il quale l’amministrazione Trump sta portando la cancel culture ad un livello «nuovo e pericoloso». Come reazione all’interruzione del Jimmy Kimmel Live!, un folto gruppo di attori, sceneggiatori e conduttori televisivi (circa 400) ha promosso una campagna di boicottaggio contro la Walt Disney Company. Tra questi vi sono attori e attrici che lavorano con la stessa Disney. L’attore statunitense Mark Ruffalo ha affermato in un’intervista che la decisione di Disney dimostra che «la nostra libertà di parola è sotto attacco».
Intanto il capo della Fcc, Brendan Carr, si è affrettato a respingere le accuse secondo le quali l’amministrazione Trump avrebbe costretto la Walt Disney Company a sospendere Jimmy Kimmel per ragioni politiche. Carr ha insistito sul fatto che la cancellazione del conduttore fosse dovuta anch’essa a bassi indici di ascolto. «Jimmy Kimmel si trova nella situazione in cui è per via dei suoi indici di ascolto, non per qualcosa che sia avvenuto a livello governativo», ha dichiarato Carr durante un forum a New York.