Cade il governo francese di Bayrou

Sono mancati all’appello quasi 20 voti dello “zoccolo comune”, i componenti della coalizione di maggioranza. Il premier Bayrou chiedeva la fiducia sul suo progetto di finanziaria con 44 miliardi di euro di tagli, due giorni festivi in meno e conferma dell’odiata riforma delle pensioni. Eppure, un’ondata di no lo ha travolto, 364 contro i 194 sì. “Avete il potere di rovesciare il governo” ma non di “cancellare la realtà”. Le parole di François Bayrou davanti all’Assemblée Nationale sono state l’ultimo disperato tentativo di fare leva sulla responsabilità dei partiti di fronte a un quadro economico sempre più critico. Durante il suo intervento di circa 40 minuti, il premier ha messo in guardia sull”’urgenza vitale” per la Francia di risanare i conti pubblici, avvertendo che “la divisioni rischiano di avere la meglio” sull’interesse superiore della nazione.
In tutti gli interventi delle opposizioni in Parlamento, è risuonato il nome di Macron come quello del vero colpevole della crisi. L’accusa principale è che il governo francese sia arrivato al quarto primo ministro in un anno e mezzo, il terzo dalle elezioni anticipate (e perse) dalla maggioranza lo scorso luglio. Una novità assoluta per la Quinta Repubblica, nata anche inseguendo la stella polare della stabilità e finita sessant’anni dopo nel suo esatto contrario. E adesso, come ha subito commentato il tribuno della sinistra più radicale, Jean-Luc Mélenchon, “in prima linea c’è Macron davanti al popolo. E anche lui deve andare a casa”.
In Parlamento sono stati duri i socialisti, ai quali Macron aveva nei giorni scorsi guardato con interesse, arrivando a ordinare ai suoi ministri di “lavorare” con il PS: “Siamo pronti al governo – ha detto in aula il capogruppo Boris Vallaud – che il presidente venga da noi”. Al momento, nel progetto PS, manca la sostanza, cioè i voti: i socialisti ripetono di non voler governare con i macroniani ma di puntare a guidare un governo unicamente di gauche. Il presidente Macron, stavolta, di fronte alla sinistra radicale che presenterà una mozione di destituzione, al Rassemblement National, favorito dai sondaggi per le elezioni che gli intima di sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni, prende tempo: niente decisioni, né dichiarazioni avventate, dando appuntamento domani mattina a Bayrou, che rassegnerà le dimissioni, e ai “prossimi giorni” per la nomina di un primo ministro.
Nella corsa alla successione i socialisti lanciano Olivier Faure, che si è detto pronto per Matignon. Ma intanto respinge anche l’idea di un governo con un macronisti. Il leader dei Repubblicani Bruno Retailleau, che auspica lo sviluppo di un “accordo di governo”, ha avvertito che è un premier socialista è fuori questione. Secondo un caro amico del presidente citato da Afp è possibile che Macron nomini prima un premier per negoziare un contratto di governo, poi procederà alle nomine dei ministri. Tra i nomi Sébastien Lecornu (Forze Armate), Gérald Darmanin (Giustizia), Catherine Vautrin (Lavoro e Salute), Eric Lombard (Economia), il presidente del LR dell’Alta Francia Xavier Bertrand, l’ex capo della diplomazia ed ex socialista Jean-Yves Le Drian. Naturalmente il Rassemblement National di Marine Le Pen invece spinge per lo scioglimento e per nuove elezioni legislative. Le Pen è anche in attesa di conoscere la data del processo d’appello nel caso degli assistenti parlamentari che l’ha portata all’ineleggibilità.
Ma c’è anche un altro pericolo alle porte. Quello del movimento «Bloquons tout». La data fissata per la protesta è il 10 settembre, è c’è chi dice che il voto dell’assemblea sia stato fissato proprio per anticiparla. A lanciare l’idea una 40enne del sud della Francia in un appello su TikTok letto con voce creata dall’Intelligenza Artificiale. «Niente lavoro, niente metro, niente acquisti: provochiamo un blackout generalizzato del Paese. Come fossimo in epoca Covid: ma stavolta, il virus da debellare sono le diseguaglianze e le ingiustizie del potere», è il lancio. La protesta parte dal piano di Bayrou per la sua legge di bilancio da 43,8 miliardi di tagli, ma il vero bersaglio è sempre Macron. Secondo la Fondazione Jean Jaurès, che ha analizzato la provenienza politica di chi oggi protesta, il 69 per cento di chi si è avvicinato aveva votato il leader de La France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, alle ultime presidenziali. Proprio Mélenchon ha sposato la causa. Insieem a ecologisti, comunisti, socialisti e sindacati come la Cgt. Secondo i sondaggi già il 63 per cento dei francesi si trova d’accordo col movimento.