Tunisia: elezioni presidenziali e una democrazia agonizzante
Il Presidente tunisino Kais Saied ha finalmente annunciato la data delle elezioni presidenziali. Non ha ufficializzato la sua intenzione a presentarsi per un secondo mandato, ma tutto lo lascia supporre, mentre prosegue la sua svolta autoritaria e mette a tacere oppositori e voci critiche.
Finalmente i tunisini riescono a vederci un po’ più chiaro sul calendario delle elezioni presidenziali previste per l’autunno. Il Presidente Kais Saied, il cui mandato scade il 23 ottobre, ha firmato la scorsa settimana un decreto che fissa la data del voto per il 6 ottobre. Non ha però risposto a un quesito fondamentale: si candiderà alla sua rielezione? Pare poco probabile che non sia così. Essendo stati arrestati i principali attori dell’opposizione, il Presidente sessantaseienne ha la strada spianata verso un secondo ma dato.
Da tre anni, Kaied Saied ha imposto una deriva autoritaria al Paese, prendendo in mano tutti i poteri e governando a suon di decreti. La nuova Costituzione adottata nel 2022 ha instituito un regime iper presidenziale, dove il Parlamento, la giustizia e la commissione elettorale sono subordinate al Presidente. Il Parlamento è composto da un anno da eletti senza etichette, la cui attività si limita ad approvare i testi imposti dall’esecutivo.
Nel contempo, il Presidente ha messo progressivamente fuori gioco tutte le voci critiche. In un anno e mezzo, infatti, gli arresti si sono moltiplicati: sindacalisti, avvocati, uomini d’affari, magistrati, giornalisti, attivisti… Risultato: Rached Ghannouchi, il capo del Partito islamico-conservatore Ennahdha, che dominava la vita politica del Paese nel decennio che ha seguito la Rivoluzione dei gelsomini, è oggi in prigione. Così come la presidente del Partito desturiano libero, Abir Moussi. Questi oppositori e queste personalità poste agli arresti vengono accusate di “complotto contro la sicurezza dello Stato” e a volte definite dal Presidente tunisino “terroristi”. Li accusa peraltro di essere la causa di tutti i mali del Paese, soprattutto per le sue difficoltà economiche (una modesta crescita del 2%, la povertà in aumento, e la disoccupazione ai suoi massimi).
Nella retorica di Kais Saied, i problemi della Tunisia arrivano anche dagli stranieri che si trovano nel Paese. La repressione si è quindi rapidamente estesa agli immigrati clandestini, soprattutto quelli subsahariani in transito alla ricerca di una possibilità di vita in Europa, ai quali il Presidente tunisino ha dichiarato guerra dal febbraio 2023 durante un discorso xenofobo e complottista. Cacciati dalle proprie case e dal lavoro “informale” che fanno per sopravvivere, aggrediti e picchiati, sono stati a volte sottomessi a trattamenti che rasentavano la tortura da parte delle autorità tunisine: portati e abbandonati in pieno deserto senza cibo né acqua, come mostrano le inchieste di “Le Monde” e “AFP”.
Queste elezioni presidenziali si preannunciano molto diverse da quelle del 2019, quando Kais Saied, illustre sconosciuto arrivato dal mondo accademico, specializzato in diritto Costituzionale, aveva raccolto i voti dei Tunisini sfiancati dalla corruzione e dalle liti politiche che paralizzavano il Paese. Da allora, la popolazione sembra essersi resa conto, apatica, che “Robocop” -soprannome dato a Kais Saied per il suo tono monocorde e il suo arabo letterario così come per lo sguardo impassibile- stia facendo loro ancor più male di Ben Ali. “Neanche Ben Ali aveva mai osato”, si mormorava a metà maggio durante l’arresto di una avvocato all’interno della Casa dell’avvocato a Tunisi.
Le relazioni internazionali sono anch’esse in pieno caos: Kais Saied si allontana dagli Occidentali – non ha mai finalizzato il prestito del FMI di cui il Paese ha assoluto bisogno – e si avvicina alla Cina, l’Iran, la Russia e… Arabia Saudita che grazie al fondo islamico ITCF, con base nelle monarchie del Golfo, gli ha versato un aiuto finanziario di 1,2 miliardi di dollari che gli permettono, per ora, di rimanere a galla. L’unica democrazia nata dalla Primavera araba è ancora una democrazia? Per la specialista di Maghreb e politologa Khadja Mohsen-Finan, delle conquiste democratiche del 2011 “non rimane nulla, tutto è stato vanificato”.
Se qualcuno vuole credere in una regressione momentanea, parte di un processo globale di transizione verso la democrazia, la politologa Mohsen-Finan è scettica, e afferma che non esiste dover passare attraverso un regime populista autoritario per costruire una democrazia. Purtroppo, nessuno può dire oggi se si tratta solo di un passo indietro momentaneo o definitivo.