Benedetta: una storia di spiritualità e atti impuri, di fede e di potere
Benedetta è il film peccaminoso del 2021 diretto da Paul Verhoeven, una racconto sconvolgente e audace che prende origine dal saggio di Judith C. Brown Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento.
Si tratta di una ricostruzione ispirata alla vita di Benedetta Carlini, una monaca del XVII secolo che turba l’equilibrio del convento di Pescia, in Toscana.
Sesso e religione
Fin da piccola Benedetta (Virginie Efira) è animata da una fervente fede religiosa che la conduce a far parte di un monastero, dove le viene insegnato fin da subito che la sofferenza è il modo in cui Dio si manifesta.
È devota e obbediente finché l’arrivo di una nuova adepta di nome Bartolomea (Daphne Patakia), una giovane contadina, la sconvolge, trasportandola nella torbida scoperta dell’amore carnale, del piacere sessuale.
Inizia così un amore saffico tra le due che destabilizza Benedetta, contesa tra le visioni erotiche di un Gesù-fidanzato e le pulsioni tangibili verso una donna.
Quello che però rende la protagonista ambigua e controversa è la forza mistica che la spinge a compiere dei presunti miracoli.
La comparsa delle stigmate è la prova della sua santità, Benedetta viene promossa a badessa e il convento diviene il centro di un caso politico e religioso, tra persone incredule e altre devote.
Ma le voci dei peccati sacrileghi e sospetti di stregoneria iniziano a circolare e Benedetta viene posta di fronte ad una rinnovata consapevolezza personale, volta a scandagliare le radici della sua fede e della sua obbedienza alla Chiesa.
Particolarmente sconvolgente è uno strumento presente nel film: una statuetta raffigurante la Madonna che viene lavorata nella parte inferiore (da Bartolomea) per farne un vibratore, in grado così di dare piacere alla sua amata.
È un atto provocatorio del regista, che dedito a storie di sesso e di nudo (di cui è intriso anche il suo celebre Basic instinct), mette in scena la blasfemia.
Una blasfemia pur sempre esistita, riportata in numerosi studi e ricerche, che però scandalizza se vista da vicino.
Questioni di potere
Nella logica religiosa di quest’epoca tutto si fonda sul sacrificio, il quale porta alla santità e quindi al potere.
Ciò a cui le monache più ambiziose anelano è una posizione di rilievo all’interno del convento, in questo modo la sofferenza di una vita dedita all’amore di un dio immateriale può essere alleviata dai comfort e dal potere decisionale sugli altri.
In questo esercizio di stile che mixa diversi generi cinematografici (horror, commedia, dramma), Verhoeven mostra tutto il suo scetticismo per una realtà passata, incentrata sulla religione.
Ed esamina attentamente le esistenze, inevitabilmente influenzate e suggestionate dal sacro.
Il film ruota attorno alla devozione, vissuta in maniera totalizzante dalle persone e quindi capace di plasmarne il pensiero e le azioni.
Risulta quasi insopportabile la amoralità di Benedetta: trasgressiva, lussuriosa e dominatrice.
Man mano che il film prosegue però si può riscontrare nell’atteggiamento incontrollato della protagonista una forma di riscatto.
In una società in cui la privazione e la sofferenza sono i caposaldi, il piacere corporeo è un peccato e la supremazia risiede nella religione, allora forse Benedetta tenta soltanto di sovvertire un ordine costituito per trovare il senso del dono della vita.
Spingersi oltre diventa un mezzo per conoscere al di là delle convenzioni dottrinali.
Ma in tutta la vicenda la questione centrale rimane in sospeso: Benedetta era una mitomane manipolatrice oppure una profetessa?
È lo spettatore a decidere.