Una notte di 12 anni | una pena infernale
La storia nella storia
Durante la guerra fredda l’America Latina è stato un territorio coperto di violenza, terrore e sangue. Ovunque si svilupparono regimi dittatoriali affermatisi attraverso una sorta di guerra civile. Questa è la storia recente dei popoli sudamericani. Alvaro Brechner ha deciso di raccontare in “Una notte di 12 anni” quello che è accaduto a tre rivoluzionari uruguaiani dei Tampanaro catturati dall’Esercito Nazionale dopo l’instaurazione della dittatura militare. Non è una storia qualsiasi, una storia soltanto di sangue. I tre prigionieri di cui sceglie di parlare Brechner sono esposti ad una condanna brutale, passeranno ben dodici anni, dalla loro cattura al rilascio, coincidente con l’avvento della democrazia in Uruguay, all’interno di stanze vuote ed isolate.
Non è una storia qualsiasi anche perché quei tre prigionieri diventeranno il presidente di stato dell’Uruguay, il ministro della difesa e un importante poeta. Brechner sceglie di raccontare un episodio terribile della storia uruguaiana e non solo. Ma non ha l’intenzione di approfondire le dinamiche che portarono all’affermazione prima e al decadimento poi della dittatura militare. Il regista vuole raccontare un crimine incommensurabile commesso dall’esercito nazionale di allora: una detenzione che “era meglio essere fucilati”, si dirà nel film. Per quanto fosse devastante la pena che dovettero affrontare i tre, dalla descrizione di Brechner il desiderio di morte è totalmente assente. La pellicola è cosi costantemente vicina alla morte che emana vita, la stessa a cui si sono aggrappati i prigionieri.
Una pena infernale
I protagonisti della pellicola sono Antonio De La Torre nei panni di José Mùjica, Alfonso Tort e Chino Darìn che interpretano Eleuterio Fernàndez Huidobro e Mauricio Rosencof. Gli attori sono chiamati da Brechner ad una prova decisamente impegnativa. In più Brechner ha affermato di “non aver voluto narrare la storia della dittatura altrimenti avrebbe dovuto raccontare ogni storia di tutti i cittadini uruguaiani offesi dal regime”. Voleva piuttosto “indagare che cosa avviene nella mente di un uomo all’interno di un inferno dantesco”. Ed ecco la bravura degli attori nell’adempiere alle richieste del regista: mostrare una sofferenza evidente vissuta in uno stato di vita infernale accompagnato da una naturale propensione alla vita. Le logiche della battaglia, sono lontane. Si parla di resistenza, ma di resistenza psicologica. Gli attori impersonano bene il dramma di tre uomini portati allo sfinimento fisico e psicologico, costretti ad “attaccarsi” a tutto per non impazzire.
Era, però, anche la resistenza psicologica stessa una battaglia, che passa tra momenti meno bui e altri totalmente oscuri. 4323 giorni rinchiusi in una cella spoglia e spostati di volta in volta da un angolo all’altro del paese. Un pezzo di giornale usato come carta igienica era prezioso perché si poteva leggere; i trasferimenti un occasione per respirare degli attimi all’aria aperta; due stanze adiacenti erano perfette perché permettevano di comunicare colpendo il muro con le nocche. Ai prigionieri era proibito anche parlare. Sebbene il film presenti diverse parti dialogiche, tutte le scene girate in cella sono mute. Ma gli attori con la loro espressività e la macchina di regia guidata da Alvaro Brechner che ritaglia le scene perfettamente riescono a rendere il film estremamente emozionante e “catartico”, come lo definisce l’autore.
Il film, infatti, è stato acclamato in sala in Brasile, in Argentina e nel resto del Sudamerica, provocando un vero e proprio grido di rabbia della folla. Quella che racconta Alvaro Brechner è, però, una storia capace di coinvolgere tutti e di provocare insieme un sentimento di frustrazione e di rabbia. Brechner è bravissimo a suscitare queste sensazioni e utilizza tutti gli strumenti che il cinema mette a disposizione. Colloca nei momenti giusti canzoni che si legano perfettamente al ritmo della pellicola e trasportano lo spettatore in quel piccolo inferno che è stato capace di ricostruire. Il momento di “The Sound of Silence” è veramente travolgente. Ed è questo il presentimento già all’inizio del film, quando uno dei prigionieri legge un’incisione iscritta sulla parete del muro: “Lasciate ogne speranza voi ch’entrate”. Al linguaggio icastico si aggiungano, però, anche degli episodi grotteschi, sempre reali, che Alvaro Brechner ha inserito nel film.
Una notte buia lunga 12 anni
E’ sorprendente questo tratto di riso in una pellicola così drammatica. Ma anche quello rientra in una narrazione così brutale. Afferma il regista: “ci sono un’infinità di scene ridicole che mi hanno raccontato i protagonisti reali della violenza. Quando li incontravo insieme li raccontavano e ridevano, credo sia un meccanismo dell’uomo, che utilizziamo tutti, per sfuggire dai ricordi, dall’imbarazzo”. In sostanza durante la detenzione non è che i prigionieri se la spassassero, ma rivisti da loro stessi o da terze persone in quei dodici anni di detenzione si sono verificate scene grottesche, con protagonisti soldati incapaci a scrivere una lettera ad una ragazza o terrorizzati dai loro superiori.
La linea narrativa, quindi, intervalla lunghi periodi di svolgimento della storia in cui viene rappresentata la brutalità imposta ai prigionieri e la volontà di sopravviverne a siparietti grotteschi, che, in ogni caso, contribuiscono al senso della pellicola. Impeccabile il ritmo narrativo anche grazie ad un montaggio che passa dalla fluidità alla stacco sempre in sintonia con la scena ripresa. E’ una pellicola da non perdere, perché introduce ad un’ingiustizia storica concreta e diffusa, ma aldilà del sopruso riesce a raccontare l’uomo nella sua intimità più profonda: la sofferenza nella solitudine. Una pena infernale, che mai riesce a sconfiggere il desiderio di azione.
VOTO 8.5
TITOLO Una notte di 12 anni
DURATA 122 minuti
PRODUZIONE Tornasol / Alcaravan Aie
DISTRIBUZIONE Movies Inspired
REGIA Alvaro Brechner
SCENEGGIATURA Alvaro Brechner
MUSICA Federico Jusid
MONTAGGIO Irene Blecua
FOTOGRAGIA Carlos Catàlan
SCENOGRAFIA Laura Musso
CAST Antonio De la Torre, Chino Darìn, Alfonso Tort, Soledad Villamil, Nidia Telles.