Instradrama, non c’è un cazzo da ridere

Un giovane scrittore fallito rapisce il figlio di una delle coppie di influencer più famose della penisola, sette giorni di rapimento raccontati in un diario lungo 150 pagine.
La trama di Instadrama è questa, C. Palis (nome di fantasia dell’anonimo autore del libro) se ne sbatte allegramente di allungare il brodo più del dovuto: il romanzo in causa non è un esercizio di stile, né un allenamento mentale per una storia da colpi di scena… il romanzo è una, non troppo velata, denuncia sociale alla bassezza della nostra società.
Palis in realtà c’ha visto lungo, come si può pretendere di spiegare il disagio culturale odierno se non con un romanzo a prova veramente di terza media?
Tutti i giorni siamo bombardati da stereotipi di vita proiettati su smartphone imposti da personaggi sicuramente bravissimi nel marketing ma con valori etici e morali lontani mille miglia da ciò che dovremmo essere: esseri umani.
La totale vittoria del sub-umanesimo.
Influencer innalzati a Dei, like come preghiere ed un profilo pieno di seguaci in attesa del post del giorno, l’Angelus non arriva più da una finestra ma da una griglia di un social qualsiasi.
Il protagonista del libro purtroppo vive in una società copia e incolla della nostra, gli eroi non vincono battaglie sul campo, nessuno si immola per il bene della Cosa di tutti, vince il singolo e basta.
Alla faccia dell’inclusività, della sostenibilità tanto decantata e la cosa più triste è che se la nostra generazione è divisa tra un’orda di servi rincoglioniti da social e una timidissima resistenza dal basso, la generazione futura vedrà e subirà la vittoria di questo fantastico appiattimento culturale.
“Fanculo gli eroi, gli dei e i loro servi
è un mondo che fa a gara a riportarmi giù dai vermi
Qua mi gioco i nervi ma ne va di tutta la mia integrità
E poi basta con sta scusa di essere pazienti”
Poco dopo metà romanzo Palis, facendo parlare il rapitore con il giovanissimo rapito, ci regala tra le righe una grossa verità: nessuno è felice.
I “servi”, oranti del Dio dell’apparire, sono costretti a ledere inconsciamente i loro nervi davanti ad uno schermo pixelato mentre dall’altra parte i falsi miti contemporanei prostituiscono la loro anima per qualche anno di celebrità.
L’esaltazione del ridicolo, la stra-vittoria del nulla e l’accelerazione dell’appiattimento mentale… il pranzo è servito.
Per assurdo l’unico felice, nonostante un destino segnato, è solo il rapitore; tra ansiolitici, psicofarmaci, una vita passata tra delusioni accumulate e turni con una paga da fame dietro il bancone di un bar, con un gesto estremo (il rapimento stesso) rompe la catena della routine per riprendersi sette giorni della sua vita. Rende il suo gesto pubblico sui social per prendersi le sue 168 ore di fottutissima fama ai danni degli dei influencer. Se ne frega beatamente delle conseguenze, la possibilità del carcere è contemplata ma…evviva la pazza gioia di lottare con ogni mezzo possibile un sistema fallimentare.
La chiosa di questo pezzo è esattamente la dedica fatta da Palis ad inizio romanzo…mi sono chiesto chi potrebbe essere il vero lettore di un volume del genere, chi potrebbe apprezzarne davvero il messaggio nascosto oltre la trama, come già detto la risposta è chiara nelle prime pagine:
“A chi non ce l’ha fatta
A chi non ce la farà “