Pedofilia, perché la negazione della grazia del pontefice è una ‘fallacia teologica’

«La Chiesa ha affrontato in ritardo il problema. La pedofilia è una rovina terribile, fonte di grande dolore e di vergogna». Papa Francesco ieri ha ammesso, di fronte ai membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, le colpe e i ritardi della Chiesa nell’affrontare il problema della pedofilia. Ha denigrato le strategie di sviamento per nascondere la partecipazione dei sacerdoti nei reati di pedofilia; ha auspicato una condanna definitiva per tutti quei reati supportati da prove inconfutabili. «La persona che fa questo, uomo o donna, è malata. Ma ora c’è tolleranza zero: ai colpevoli di abuso non concederò mai la grazia. Mai l’ho firmata e mai la firmerò».
Premettendo che questo articolo non si inserisce nell’ottica del perdono ad oltranza o della relativizzazione delle colpe, lo scopo sarà riflettere sull’antinomia delle parole del pontefice rispetto al significato teologico di grazia. La pedofilia rientra fra i disturbi psicopatologici, definiti Parafilie, e inizia a manifestarsi prevalentemente durante l’età adolescenziale del soggetto: il movente della malattia non può certo essere motivo di derubricazione del reato, ma alza un interrogativo.
Il rifiuto della grazia è rivolto a malati che, in quanto tali non hanno piena facoltà di agire secondo il libero arbitrio, oppure a peccatori che utilizzano la loro libertà per nuocere volontariamente agli altri? In entrambi i casi la negazione del perdono da parte del ‘capo’ della Chiesa evidenzia un drastico allontanamento dal principio cristiano di accoglienza e compassione, palesato emblematicamente nel Vangelo secondo Matteo, 25: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Queste parole acquisiscono senso anche al di là della devozione – per dirla con Spinoza: la conoscenza delle storie sacre serve al volgo, che preferisce volgere l’animo all’obbedienza – perché hanno prima di tutto un significato morale e solo in un secondo momento teologico. Rintracciano nella condizione di vulnerabilità la matrice paradigmatica dell’umanità e della responsabilità solidale.
Il triste rimedio populista alla piaga della pedofilia
Dalle parole di papa Francesco emerge unicamente la volontà di liberare l’immagine della Chiesa dallo stigma della vergogna per colpe che la macchiano da anni, anche grazie alla connivenza di complici silenti, tutt’altro che anime pie.
La negazione della grazia è il mancato adempimento al compito principale spettante ad ogni sacerdote: raccogliere la confessione e farsi mediatore dell’amore e della benevolenza divina. «Lo scandalo dell’abuso sessuale è davvero una rovina terribile per tutta l’umanità, e tocca tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Anche per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Proviamo vergogna per gli abusi commessi da ministri sacri, che dovrebbero essere le persone più degne di fiducia. […] Ma abbiamo anche sperimentato una chiamata, e siamo certi che proviene direttamente da nostro Signore Gesù Cristo: accogliere la missione del Vangelo per la protezione di tutti i minori e adulti vulnerabili. Permettetemi di dire in tutta chiarezza che l’abuso sessuale è un peccato orribile, completamente opposto e in contraddizione con ciò che Cristo e la Chiesa ci insegnano. […] Pertanto oggi ribadisco ancora una volta che la Chiesa, a tutti i livelli, risponderà con l’applicazione delle misure più severe per tutti coloro che hanno tradito la propria chiamata e hanno abusato dei figli di Dio […] Per questo motivo, la Chiesa irrevocabilmente e a tutti i livelli intende applicare contro l’abuso sessuale di minori il principio di “tolleranza zero”. […] La Chiesa è chiamata a essere un luogo di pietà e compassione, specialmente per quanti hanno sofferto. Per tutti noi, la Chiesa cattolica continua a essere un ospedale da campo che ci accompagna nel nostro percorso spirituale. È il luogo dove possiamo sederci con gli altri, ascoltarli e condividere con loro le nostre lotte e la nostra fede nella buona novella di Gesù Cristo».
A dirla tutta, la tolleranza zero si concilia male con l’ascolto e il confronto e non sarà lo strumento adeguato per scongiurare i crimini di pedofilia, né tanto meno la punizione che fa più paura. La decisione del papa contraddice pienamente il significato dell’amore e del perdono cristiano: l’intero intervento è intriso di contraddizioni e della peggior propaganda tipica della più bassa politica retorica, lontana dall’economia gratuita del dono di Paul Ricoeur: «il perdono deve, in prima istanza, aver incontrato l’imperdonabile, vale a dire il debito infinito, il danno irreparabile. […] il suo progetto non è di cancellare la memoria; non è l’oblio. […] Il perdono è una sorta di guarigione della memoria, il compimento del suo lutto, sciolta dal peso del debito, la memoria è libera per grandi progetti. Il perdono accorda un futuro alla memoria». E questo è il compito di una Chiesa che proclama amore e misericordia.