Siria-Israele: normalizzazione in vista?

Negli ultimi sette mesi sembrerebbe iniziata una politica distensiva tra Damasco e Tel-Aviv che fa ben sperare in una convergenza di intenti, mai pensabile prima d’ora. Dopo la caduta del regime di Assad, avvenuta a gennaio 2025, infatti, a Damasco è salito al potere, l’ex jihadista Ahmed al‑Sharaa. Questo ha portato Israele ad adottare una dottrina strategica inizialmente ostile nei confronti del nuovo governo, alla quale è seguita un’apertura più ampia su temi di sicurezza e cooperazione.
Fase 1: ostilità e strategia militare
Questa nuova direzione diplomatica è stata osservata in tre fasi differenti. Una prima tra gennaio-maggio del 2025 in cui il timore che Sharaa fosse una minaccia simile ad Al-Qaeda, unito all’eventualità che la Turchia potesse riempire il vuoto di potere nel sud della Siria, hanno portato Israele ad agire in piena ostilità verso Damasco. L’obiettivo israeliano era scoraggiare un possibile allineamento tra Siria, Iran e Turchia. Attacchi militari mirati sui siti strategici siriani e una retorica aggressiva dai vertici del Kesset, hanno condito i mesi di questa prima fase.
Fase 2: primi contatti diplomatici
Già a partire da fine aprile e inizio maggio, invece, sono emersi diversi segnali positivi. Secondo alcune indiscrezioni Siria e Israele hanno iniziato i primi contatti diplomatici, con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Verificare l’agenda di Sharaa è il primo passo di questa fase iniziale di distensione. Damasco non è completamente allineato all’Iran, ma disposto a negoziare. Contestualmente Tel-Aviv apre il dialogo con la Turchia. Il coordinamento con Ankara, viene discusso in Azerbaigian e passa per un meccanismo bilaterale di gestione delle rispettive operazioni in Siria con lo scopo di evitare uno scontro indiretto sul territorio.
Fase 3: possibile dialogo?
La terza fase, tra giugno e luglio, è stata determinante. Due eventi hanno contribuito a spianare la strada della normalizzazione tra Israele e Siria. I colloqui tra Donald Trump e Ahmed-Al Sharaa a Riad che hanno aperto lo spiraglio sulla possibilità di includere la Siria negli accordi di Abramo e la guerra dei dodici giorni tra Tel-Aviv e Tehran. In quest’ultima occasione Damasco ha saputo giocare le sue carte, rimanendo neutrale e permettendo addirittura a Israele di usare il suo spazio aereo. Un messaggio chiaro, non solo di intenti, ma anche di possibilità: Damasco non solo è aperto al dialogo con Tel-Aviv, ma può esserne anche il partner strategico contro l’Iran.
Strategie
Dietro a queste mosse parallele, Israele che apre il dialogo con la Siria, la Siria che si mette a disposizione del suo possibile partner, ci sono interessi strategici. Dal lato israeliano, la scelta di distensione con Damasco ha l’obiettivo di prevenire un collasso siriano e quindi una possibile vuoto di potere nella regione, procedere nella direzione di un asse anti-Iran, di comune visione con la politica americana, apertamente ostile a Tehran e avere campo libero nella guerra a Gaza. Tra gli obiettivi di Netanyahu rientra anche il ripristino della stabilità nel confine nord tra Israele e Siria, sul Golan, magari con un patto di non aggressione tra i due Paesi.
In Siria, invece, le motivazioni di incontro con Tel-Aviv dipendono da una scelta strategica e non ideologica. La Siria in cui Sharaa è arrivato a governare è una Siria isolata, distrutta, a cui serve legittimazione internazionale, accesso a fondi per la ricostruzione. Tel-Aviv non finanzierà mai direttamente Damasco, ma il dialogo tra le due potenze apre le porte ad aiuti arabi e all’allentamento delle sanzioni USA. La sovranità siriana ha interesse nel diventare un nemico dell’Iran e un amico di Israele anche per contrastare le milizie filo-irianiane che hanno presa nel Paese e minacciano la stabilità interna. Dialogare con Tel-Aviv è il biglietto di ingresso per rientrare nel sistema arabo post-Gaza. D’altronde la Siria di Sharaa offre più vantaggi da viva, che da distrutta e questo Netanyahu lo sa bene.