Emirati Arabi Uniti in Africa Orientale: un potenziale problema diplomatico
L’Africa Orientale è da lungo tempo una regione di grande importanza geopolitica e, di conseguenza, oggetto di spietata concorrenza. Quest’area confina con il Mar Rosso. Oggi sappiamo molto bene quanta importanza questo corridoio marino abbia per il commercio mondiale. La risposta guidata dagli Stati Uniti per contrastare gli attacchi degli Houti alla navigazione commerciale ne sono una prova molto evidente. È ricca di risorse, tra cui minerali, bestiame, terreni agricoli, petrolio e gas naturale. Inoltre, il Corno d’Africa è stato per secoli un ponte tra il continente africano e la penisola arabica, sia in termini di legami commerciali che in termini di scambi culturali. Questa importanza non è diminuita nel XXI secolo, con l’intensificarsi della competizione geopolitica in un mondo basato su molteplici sfere d’influenza. Ma mentre altre potenze mediorientali e mondiali hanno costruito legami con l’Africa Orientale più o meno stretti, gli Emirati Arabi Uniti si distinguono per essere un attore di primissimo piano. I recenti sviluppi, tra cui la violenta guerra civile in Sudan e l’accordo con il Somaliland per l’accesso ad uno dei suoi porti, hanno acceso i riflettori sul ruolo influente degli Emirati Arabi Uniti nelle politiche regionali.
L’attenzione degli EAU nella regione è andata ben oltre le sole risorse, in particolare le miniere d’oro del Sudan. Oggi comprende porti, logistica e collegamenti commerciali, con l’obbiettivo di potenziare le tratte commerciali. La sua entrata ufficiale in questo importante spazio è avvenuta nel 2008, con un investimento nel porto di Gibuti da parte della DP World (Dubai Ports World), una multinazionale che opera nel settore del trasporto e della logistica. La DP World è di proprietà statale ed è uno strumento vitale nella gestione della geopolitica degli Emirati. Questa mossa faceva parte di una strategia più ampia che includeva gli sforzi per gestire il porto di Aden nel sud dello Yemen, passo imprescindibile per il controllo delle rotte commerciali che vanno dal Mar Rosso all’Oceano Indiano. Questa visione, inizialmente spinta da una narrativa ideologica volta alla promozione della “stabilità autoritaria” in Medio Oriente e in Africa dopo le rivolte arabe del 2011, ha poi spostato la sua attenzione nell’ottimizzazione del funzionamento di cruciali reti commerciali. Operando spesso in modo raffinato, gli Emirati con i loro investimenti e le loro azioni hanno rafforzato in modo significativo la loro posizione nella regione, facendo sì che guadagnassero sempre più influenza sugli attori regionali. Gli esempi più visibili sono in Etiopia, Sudan e Somaliland.
Da quando sono scoppiati i combattimenti nell’Aprile del 2023 tra le forze armate sudanesi e le Forze paramilitari di supporto rapido (RSF), sotto il comando di Mohamed Hamdan Dagalo, la guerra ha imposto un tributo devastante al Paese, con oltre 12.000 vittime, 5 milioni di sfollati e 18 milioni di persone che soffrono la fame. Le RSF sono state accusate di abusi contro i civili nelle aree urbane, laddove i combattimenti sono stati più violenti, così come di vero e proprio genocidio in Darfur, dove ha fatto la sua prima apparizione come milizia nei primi anni 2000. Con il propagarsi del conflitto i contatti di Abu Dhabi con le RSF sono stati monitorati con attenzione. Inizialmente aveva corteggiato Dagalo, più noto come Hemedti, subito dopo la rivoluzione dell’Aprile 2019 contro il dittatore sudanese Omar Bashir -già ricercato dalla Corte penale Internazionale- nonostante Hemedti avesse ordinato ai suoi combattenti di attaccare violentemente le proteste pacifiche che avevano portato alla cacciata di Bashir. Di fatto fu un golpe e i due capi militari che lo orchestrarono, Dagalo e il generale Al-Burhan, diedero vita all’alleanza militare del Consiglio Sovrano, un governo militare temporaneo che avrebbe dovuto portare ad elezioni democratiche. Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno successivamente fornito assistenza finanziaria ai leader militari del Sudan subito dopo la rivoluzione. Abu Dhabi vedeva però la RSF come partner imprescindibile per assicurarsi l’accesso alle miniere d’oro sudanesi nelle quali aveva già investito molto, così come nei prodotti agricoli e i progetti di gestione di un porto sul Mar Rosso accedendo dal Paese “amico”. Hemedti ha anche fornito agli EAU combattenti per la guerra in Yemen, che hanno aiutato Abu Dhabi ad ottenere il controllo del sud del Paese e, infine, dei suoi porti. Tuttavia, i legami tra gli Emirati Arabi Uniti e la RSF hanno poi in parte contribuito alla rottura tra Dagalo e il generale Abdel Fattah Al-Burhan che cercava un riconoscimento internazionale e voleva sanare la distorsione del doppio esercito facendo sì che le forze di Dagalo si unissero all’esercito regolare. Ovviamente il problema stava anche su chi avrebbe condotto il Paese. Da qui la guerra scoppiata la scorsa primavera.
Pare che dall’inizio del più recente conflitto gli Emirati Arabi Uniti abbiano fornito armi alle RSF attraverso una base aerea situata in Ciad. Anche se gli EAU hanno recusato con forza queste accuse, questi sospetti hanno portato il Consiglio sovrano, che guida il Sudan con Buhran e le sue forze armate, a chiedere nel dicembre del 2023 l’espulsione di 13 diplomatici emiratini. In seguito a questa azione diplomatica, una dozzina di membri del Congresso degli Stati Uniti hanno scritto una lettera al ministro degli Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed Al Nayahn, dove affermavano essere “molto preoccupati” per questi rapporti ravvicinati.
Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, che ha ricevuto Hemedti (Dagalo) ad Addis Abeba a fine dicembre per discutere le possibilità di pace in Sudan, appare anche lui tra i partner più stretti nella strategia regionale degli Emirati Arabi Uniti. I legami bilaterali hanno iniziato ad approfondirsi nel 2018, con gli investimenti emiratini nei settori dell’energia rinnovabile in Etiopia, così come in progetti agricoli, strutture e infrastrutture in settori critici. Questa partnership si è ampliata, includendo maggiori legami commerciali e di sicurezza. Questi ultimi si sono concretizzati nel 2020 e 2022 quando il governo etiope è rimasto coinvolto nella sanguinosa guerra della regione del Tigray e ha trovato sostegno dall’UAE attraverso droni e addestratori. Non è da sottovalutare lo “storico” accordo di Addis Abeba con il Somaliland per l’accesso costiero al Golfo di Aden, un obbiettivo che l’Etiopia perseguiva da tempo visto che non aveva sbocchi sul mare. L’accordo iniziale, delineato in un Memorandum d’intesa lo scorso primo gennaio, concede all’Etiopia l’utilizzo di 20 chilometri della costa del Somaliland per un periodo di 50 anni, nonché l’uso del porto Berbera. In cambio, l’Etiopia ha accettato di esaminare la possibilità di estendere il riconoscimento diplomatico al Somaliland, regione separatista della Somalia che ha dichiarato la sua indipendenza, ma non viene riconosciuta.
I legami dell’Etiopia con il Somaliland, ampiamente agevolati dagli Emirati, non sono una sorpresa. Nel 2018, DP World e l’Etiopia hanno acquistato rispettivamente il 52% e 19% delle quote di un contratto siglato per la costruzione di un’autostrada che doveva portare dal porto di Berbera al confine etiope, ed entrambi hanno collaborato nel suo sviluppo. I due hanno anche firmato un Memorandum d’intesa nel 2021 per trasformare la parte etiope dell’autostrada Berbera in un corridoio commerciale e logistico cruciale, anche se gli Emirati hanno in realtà spinto gli investimenti nel porto di Berbera. Gli osservatori affermano da più parti, che gli Emirati Arabi Uniti abbiano giocato un ruolo non secondario nell’accordo di accesso costiero. Sicuramente, visto il suo ruolo nel rafforzare i legami tra Etiopia e il Somaliland, gli Emirati lo hanno tacitamente approvato, permettendogli di concretizzarsi. Com’era prevedibile la Somalia non ha reagito bene, criticandolo aspramente e richiamando l’ambasciatore somalo in Etiopia. Pochi giorni fa, Mogadiscio ha respinto un aereo con a bordo funzionari etiopi diretti in Somaliland. Il Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha minacciato di guerra Addis Abeba, cercando l’appoggio politico di Eritrea ed Egitto. Nel frattempo, la Lega Araba, di cui la Somalia è membro, ha condannato l’accordo come violazione della sovranità di Mogadiscio, mentre le potenze mondiali, le Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) hanno riaffermato il loro sostegno all’integrità territoriale della Somalia. L’acuirsi delle tensioni diplomatiche non contribuisce di certo a migliorare il quadro della sicurezza regionale.
Gli EAU hanno trovato spesso una limitata resistenza esterna nell’agire in Africa Orientale. La posizione di Abu Dhabi nella guerra civile sudanese l’aveva messa in contrasto con l’Egitto e l’Arabia Saudita, che hanno appoggiato le forze armate sudanesi, anche se in modo molto limitato. Washington pare aver voltato lo sguardo. La preoccupazione dell’Amministrazione Biden per la guerra tra Israele e Hamas a Gaza e i rischi di un’escalation regionale, per non parlare della guerra in Ucraina e delle tensioni tra Cina e Taiwan spiegherebbero la “disattenzione” di Washington in Sudan. E anche se Washington lo scorso 16 gennaio ha ufficialmente espresso il suo sostegno alla sovranità della Somalia, la sua scarsa attenzione alla regione suggerisce che questa dichiarazione sia stata solo simbolica. Sebbene gli Emirati Arabi Uniti abbiano evitato di unirsi alle operazioni guidate dagli Stati Uniti contro gli Houti per proteggere il Mar Rosso, i suoi stretti legami con gli Stati Uniti in campo di sicurezza fanno sì che questi ultimi li considerino un partner difficilmente alienabile. Questi accordi hanno anche permesso che gli Emirati assicurassero la loro influenza sui porti della regione, affermandosi hub commerciale di primo piano. L’influenza saldamente radicata di Abu Dhabi in Africa Orientale significa che qualsiasi sforzo diplomatico di più ampio respiro, sia per la pace in Sudan che per allentare le tensioni tra Somalia ed Etiopia, richiederà la mediazione degli Emirati, rendendo la loro presenza ancora più autorevole e la diplomazia una questione ancor più delicata.