Vita da Cioni, un giovane Benigni precursore della stand-up comedy
Ultimamente abbiamo parlato molto di stand-up comedy e del sempre più diffuso cabaret “nero”, dal famoso e controverso Louis C.K. passando per gli artisti, italiani e non, che nella sua rassegna ampia e diversificata, Netflix propone al pubblico in quantità sempre maggiore.
Certo, è da pochi anni che la stand-up comedy è riuscita realmente ad emanciparsi da quella dimensione di nicchia o “da bar” che da sempre l’ha caratterizzata, ma riteniamo che possa essere un esercizio interessante quello di guardare con gli occhi presenti anche quegli artisti che, forse inconsapevolmente o forse no, possono considerarsi precursori di quella comicità nera sotto la cui stella nasce la stand-up comedy odierna.
Vita da Cioni, su RaiPlay il dissacrante spettacolo che andò in onda sul secondo canale
Fra questi, il toscanaccio disegnato da Roberto Benigni e Giuseppe Bertolucci in Vita da Cioni offre un esempio calzante e peculiare di quella prima comicità caustica, insieme liberatoria e soffocante, che apertamente e senza indulgenza si scaglia contro ogni ordine prestabilito e sferra duri colpi al perbenismo e al buon costume borghese di cui l’Italia di fine anni ’70 si vedeva intrisa.
Sfogliando gli archivi Rai è ancora possibile reperire la “trilogia” di spettacoli programmati sulla seconda rete nell’inverno del ’78 di Vita da Cioni, che solo a due anni dalla censura (complice la riforma RAI del ’75) venne mandata in onda sulla tv nazionale.
Pungente, incontenibile e urticante, il personaggio di Mario Cioni è un alter-ego potentissimo che, portato all’estremo, si eleva ad emblema di frustrazione, del sottoproletariato e dell’uomo ai margini della società. Un personaggio mordace, fortemente caratterizzato e politicizzato (come anche apparirà in Berlinguer ti voglio bene, sempre diretto da Giuseppe Bertolucci), un contrasto oggi particolarmente forte per chi non ha avuto modo di conoscere quel giovane Benigni più aspro, terreno e stridente che insieme ad altri ha spianato la strada (non senza polemiche) ad un tipo di comicità ancora oggi estremamente attuale, sia per le tematiche trattate sia nell’approccio alle questioni di ordine quotidiano.
Giovane campagnolo toscano disoccupato, un reietto ai margini che senza accorgersene ai margini vuole restare così da poter giustificare la propria rabbia, la propria inconcludenza, la propria medietà. La forte disillusione e l’eterna scomodità all’interno delle strutture sociali sono un tratto distintivo del Cioni benignesco come di molti altri autori, sia precedenti (si pensi all’avanspettacolo di Totò o alle performance di Andy Kaufmann in America) che dei suoi contemporanei, da Troisi a Moretti passando per Grillo e Verdone, e che oggi sono prerogativa comune anche alla stand-up comedy moderna, che proprio a questo senso di esclusione (e/o auto-esclusione) dalla società mirano sferrando i colpi del proprio mortaio.
Vivere da Cioni cinquanta anni dopo
Vita da Cioni si rivela così ancora oggi uno studio, lucido quanto delirante, dell’uomo immerso nella propria riflessione individuale e nella conseguente deriva individualistica, stendardo di insoddisfazione e perenne tensione nella ricerca di un sé che se anche mal si colloca all’interno del politicamente corretto va costantemente alla ricerca della propria identità e l’afferma nell’anti-intellettualismo e nell’anticonformismo, nel relativismo morale e nel cinismo che nasce dalla delusione. È dunque un’immagine che ancora oggi, a mezzo secolo dalla nascita del Cioni, si adatta perfettamente all’uomo sovra-socializzato e sovra-esposto del mondo moderno e che per questo trova sempre più seguito nelle attuali modalità di stand-up comedy, che attraverso quella comicità dura e provocatoria fatta di monologhi sprezzanti e soliloqui a tratti grotteschi portano alle estreme conseguenze la quotidianità di uomini comuni, spesso semplici, ed esprimono a pieno i paradossi, le contraddizioni e la vorace necessità di omologazione delle società moderne.
Il personaggio di Cioni è quindi “un personaggio tragico che conosce solo il linguaggio del sesso, politicizzato in maniera straordinaria” come ci ricorda lo stesso Benigni, un giovane della periferia cittadina poco istruito e poco acculturato, uomo da ridere e deridere, che si piega a generalizzazioni, luoghi comuni, tautologie e dure invettive pur di parlare, di darsi una voce che la massa non vuole riconoscergli. L’estremizzazione del disprezzo e della rabbia pone quindi in pessima luce l’antieroe benignano ma non risparmia neanche chi invece tenderemmo a considerare il prototipo del buon cittadino, invertendo il binomio bene-male.
È in questo modo che anche la società, come Cioni, non si salva, e tra critica politica, misoginia, invidie, in bilico tra desiderio di vita e di morte, il primo Benigni conferisce alla realtà quel taglio sbieco che ancora oggi si diffonde, con molti altri aspetti, come un’eco nell’attuale stand-up comedy, un’eredità che vista con gli occhi di oggi reclama ancora uno spettacolo che, se da una parte induce al riso, dall’altra impone riflessioni urgenti e mai accomodanti, un iperrealismo ai limiti dell’assurdo veemente e pervasivo, che attraverso l’irruenza verbale e concettuale ha fatto da apripista non solo alla carriera dell’artista toscano ma anche ad un nuovo tipo di comicità che oggi solca i palchi di ogni paese e si afferma sempre più dirompente.