I possibili scenari post Brexit secondo i Britannici
L’annuncio del 2 ottobre scorso del primo ministro Theresa May di una data precisa entro cui verrà attivato l’articolo 50 del trattato di Lisbona ha dato adito a ipotesi ed illazioni su quelli che potrebbero essere gli scenari politici ed economici post Brexit in Gran Bretagna. Ad oggi, tra le numerose opzioni presentate da vari politici ed economisti, solo 4 sembrano gli accordi che il Regno Unito potrebbe realisticamente negoziare con l’Europa entro il 2019.
Nonostante siano passati quasi quattro mesi dal referendum britannico sulla permanenza in Europa e ne manchino più di cinque prima che l’articolo 50 del trattato di Lisbona sia attivato per dare inizio alle contrattazioni, nel Regno Unito la Brexit continua ad occupare le prime pagine di tutti i giornali, motivati dal desiderio dei cittadini di scoprire cosa comporterà l’uscita dall’Europa da un punto di vista politico ed economico.
Il governo di Westminster si appresta a dover affrontare difficili negoziazioni con l’Unione Europea per ridisegnare il ruolo della Gran Bretagna all’interno dello scenario politico continentale, ma come vi abbiamo raccontato qualche settimana fa, proprio il dover negoziare con 27 paesi con richieste e pretese molto diverse tra loro rischia di mettere il governo di sua maestà con le spalle al muro. Ad oggi, tra le numerose opzioni presentate da vari politici ed economisti, solo 4 sembrano gli accordi plausibili che il Regno Unito potrebbe riuscire a negoziare con l’Europa entro il 2019.
Brexit 1
Secondo questa prima ipotesi la Gran Bretagna lascerebbe l’Unione Europea, privandosi del proprio posto all’interno del Parlamento e del consiglio Europeo, di fatto perdendo qualsiasi influenza nel processo di elaborazione delle leggi e delle regole europee. Così facendo però il Regno Unito manterrebbe l’accesso al Mercato Unico Europeo anche se molto probabilmente ciò comporterebbe il dover contribuire al budget dell’Unione Europea.
Questa opzione sarebbe la meno ‘tossica’ per l’economia e le imprese britanniche che commerciano con l’Europa ma, per certi aspetti, andrebbe in contrasto con l’esito del referendum di giugno. Con tale accordo infatti i Britannici si troverebbero a dover ancora contribuire al budget dell’Unione Europea e a lasciare in vigore la libera circolazione dei lavoratori sul suolo europeo, due dei punti cardine contro cui i ‘leavers’ si erano scagliati durante la campagna referendaria.
Brexit 2
In questo caso la Gran Bretagna lascerebbe l’Unione Europea rimanendo nel Mercato Unico Europeo come nell’opzione sopracitata, ma si tratterebbe di una misura temporanea per garantire maggior tempo per negoziare accordi di lungo termine con l’UE. Quest’alternativa farebbe ottenere al Regno Unito del tempo preziosissimo per negoziare non solo con l’Unione Europea — molti esperti nell’ambito del commercio internazionale infatti dubitano che i 2 anni garantiti dall’articolo 50 siano sufficienti per negoziare con tutti gli stati membri — ma anche con gli altri paesi chiave per il commercio britannico.
Brexit 3
Nel terzo caso discusso da media e politici invece si paventa l’idea di un’uscita della Gran Bretagna non solo dall’Unione Europea ma anche dal mercato unico, con accordi di libero scambio siglati con l’UE per non danneggiare eccessivamente le esportazioni. Il problema di questa risoluzione però, risiede tutto nell’abilità dei Britannici di negoziare e dalla volontà di Bruxelles di fare concessioni, ad esempio, se negli accordi di libero scambio venissero lasciati fuori i servizi finanziari, la City di Londra andrebbe a perdere il suo mercato di riferimento, con molte multinazionali che probabilmente sposterebbero i loro quartieri generali nell’Europa continentale.
Brexit 4
L’ultima opzione presa in considerazione invece sarebbe quella di lasciare unilateralmente l’UE senza un trattato di libero scambio, applicando tariffe agli importi dagli stati membri ma al contempo dovendo far fronte a tasse e barriere sulle esportazioni che, secondo le regole del WTO, dovrebbero essere uguali a quelle che l’Unione Europea impone a tutti gli altri paesi del mondo. Questo approccio farebbe chiaramente aumentare gli introiti tramite la tassazione dei prodotti stranieri ma sarebbe devastante per le aziende britanniche che esportano in Europa.
Il dipartimento di economia dell’Università di Oxford ha preso in considerazione tutte queste opzioni cercando di prevedere quale sarebbe l’impatto di ciascuna di esse sull’economia britannica. Gli economisti della prestigiosa università stimano che con le prime due opzioni il PIL del Regno Unito per il 2030 andrebbe incontro ad una riduzione che potrebbe variare tra lo 0,1 e l’1,8 per cento. L’opzione ‘Brexit 3’ invece comporterebbe una riduzione del prodotto compresa tra lo 0,8 e il 3,1 per cento. Infine, ‘Brexit 4’ sarebbe senza dubbio la più dannosa per il prodotto interno lordo della Gran Bretagna che dovrebbe ridursi tra l’1,5 e il 3,9 per cento.
Risulta quindi chiaro come nessuna delle opzioni possibili gioverebbe al governo di Westminster, con la migliore delle alternative che comunque comporterebbe una perdita per il paese. Sarà forse anche per questo che molti degli elettori si sono pentiti del proprio voto per uscire dall’Unione Europea?