Archeomafie. Quando un Van Gogh diventa business illecito
Il recupero dei due Van Gogh avvenuto oggi a Napoli rappresenta parte della diversificazione negli affari delle mafie. Che vedono nell’arte un investimento sicuro e redditizio.
Due dipinti, un inestimabile valore. È quanto ottenuto dal sequestro compiuto dagli uomini della Gdf, che hanno ritrovato due dipinti realizzati da Van Gogh in uno scantinato del napoletano.
Le operazioni sono state realizzate nell’ambito di un blitz a Castellamare di Stabia. L’obiettivo era colpire alcuni boss della camorra.
La notizia del ritrovamento delle opere è stata confermata dal Museo Vang Gogh di Amsterdam, dove furono rubate nel dicembre 2002 da un gruppo di ladri entrati dal tetto.
Le opere salvate oggi dalle mani della camorra sono “La Spiaggia di Scheveningen”, del 1882, e “L’uscita dalla chiesa protestante di Nuenen”, del 1884. I dipinti hanno un valore che supera i cento milioni di euro e sono entrambi di dimensioni contenute.
Secondo “La Repubblica”, le opere si trovavano «dove nessuno le avrebbe cercate. Nel cuore di un anonimo locale della provincia costiera, a Castellammare di Stabia». “La spiaggia”, che misura 34×51, fu realizzato dal pittore olandese mentre viveva in una casa affacciata su una costa sabbiosa. L’opera occupava il primo posto nella disposizione delle opere al Museo Van Gogh. Il secondo, “L’uscita dalla Chiesa”, misure 41×32, fu donato da Van Gogh ai genitori e rappresenta la chiesa dove il padre sacerdote predicava. Entrambi i quadri rientrano nel primo periodo artistico del pittore.
Parola d’ordine: “diversificare”
L’indagine prende il nome di “Operazione Vincent” ed è il frutto di un’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli nei confronti del boss Raffaele Imperiale. Come in tutte le aziende, anche le organizzazioni criminali, come la camorra, si concentrano su processi di diversificazione. E a vari livelli.
Da anni gli interessi della realtà criminali convergono verso le opere d’arte. Gli investimenti in questo settore interessano alcuni boss “mecenati” da tempo. Il loro intento è fare dell’arte una fonte di profitto illecito sicuro. I quadri oggi salvati dalla Guardia di Finanza sono soltanto parte di quanto ottenuto da Imperiale con i profitti illeciti del traffico di droga.
I pm Castaldi, De Marco, Marra e il sostituto della Dna De Simone, coordinati dal procuratore aggiunto Beatrice, hanno cominciato le indagini nel febbraio scorso. Da quella pista che arrivò l’emissione dell’ordinanza in carcere per la cosca del narcotrafficante stabiese.
Lelluccio ‘o “mecenate”, dalla droga ai Van Gogh
Il boss gestiva con i soci Mario Cerrone e Gaetano Schettino – anche loro stabiesi, ma appartenenti al clan degli Scissionisti di Scampia – una rete internazionale di traffico di stupefacenti. Che poi venivano piazzati sui mercati del Meridione.
Imperiale, detto Lelluccio ‘o parente, è latitante a Dubai. Da qui invia la difensiva per il processo di camorra in cui è implicato. Negli Emirati il boss ha messo in piedi un impero edile con progetti per la costruzione di ville dal valore di 20 milioni ciascuna.
Parte di queste risorse venivano convertite anche nell’acquisizione di opere trafugate e immesse nel mercato nero. Come nel caso dei dipinti del Van Gogh. Con il lievitare dei guadagni ottenuti dalla droga e dalle operazioni immobiliari, Imperiale intrattenne rapporti di amicizia con personalità potenti. Imprenditori, finanzieri e anche qualche diplomatico: tutti erano utilissimi agli affari del narcotrafficante, a capo di una rete di corrieri che andava dal Venezuela al Perù destinazione Napoli.
In questo scenario le opere d’arte fungono da investimento, da fondo cui attingere in qualsiasi momento. E Imperiale questo lo sapeva bene. Puntare sull’arte serviva ad assicurare la proprio ricchezza sporca, oltre che a stabilire prestigio. Attualmente non è chiaro come il narcotrafficante sia arrivato a ottenere le due opere, ma è certo che le organizzazione criminali sono in stretto contatto con i canali che commerciano opere rubate.
Il pericolo di perdere un patrimonio
Il caso del sequestro dei due dipinti del pittore olandese è soltanto l’ultimo in ordine cronologico. Famosa è stata la storia della “Natività” di Caravaggio, opera realizzata nel 1609 dal famoso pittore barocco. Lo splendido dipinto fu sottratto dalla mafia siciliana nel 1969, che lo trafugò dall’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo, a Palermo.
Gli inquirenti furono molto vicini al recupero dell’opera. Nel 1980 un giornalista britannico, Peter Watson, riuscì a entrare in contatto con un mercante d’arte a Salerno. Watson fissò un incontro per il 23 novembre e avvisò le autorità. Ma l’incontro non ebbe mai luogo perché quella stessa notte l’intera regione fu colpita dal terremoto dell’Irpinia.
L’opera, che ha un valore stimato di 20 milioni di dollari, non è mai stata ritrovata. In alcuni processi molti pentiti hanno persino detto che per nasconderla, sarebbe andata distrutta in una stalla mangiata dai maiali. Solo quest’anno una copia nata è stata ricollocata davanti a Sergio Mattarella nel luogo dove fu rubata.
L’Italia è l’unico Paese al mondo ad avere un reparto di forze dell’ordine specializzato nella tutela del patrimonio artistico. I Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale sono stati fondati nel 1969. Negli anni hanno recuperato diverse opere d’arte tra sculture, quadri e oggetti artistici di rilievo. Ma la battaglia è dura. La loro attività contrasta un fenomeno che, dati Unesco, crea un giro di affari dei soli resti archeologici superiore ai 2 miliardi all’anno. Solo in Italia.