Hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki
Hibakusha sono chiamate tutte le persone che sono sopravvissute al bombardamento atomico di Hiroshima, 6 agosto 1945, e di Nagasaki, 9 agosto 1945, date delle quali ricorre il settantesimo anniversario. In giapponese il significato di questo termine è traducibile come «persona affetta dall’esplosione», un’immagine figurata del peso di un dolore straziante ed incancellabile. Per lungo tempo fu sinonimo di «emarginato, reietto», esseri umani scheletri di se stessi, mutilati nella carne e nella mente.
Il premio Nobel giapponese della letteratura Kenzaburo Oe li definisce «coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo; che hanno salvato la dignità umana in mezzo alle più orrende condizioni mai sofferte dall’umanità». Doppi sopravvissuti, dal suicidio oltre che dal bombardamento senza preavviso che polverizzò e devastò prima Hiroshima con la potenza equivalente a 13 chilotoni, uccidendo sul colpo tra le settantamila e le ottantamila persone, poi Nagasaki, dove si calcola che a morire furono circa ottantamila persone. Almeno duecentomila persone invece morirono nei mesi seguenti a causa delle radiazioni, una lenta agonia fatta di nausea, vomito, debolezza, febbre alta, diarrea, caduta dei capelli e perdita di sangue da naso, bocca, occhi e orecchie. Una decomposizione lenta, che partiva dall’interno e che riempiva l’aria di un odore insopportabile.
Una scia infinita di morte che non mollò la presa negli anni a seguire, dove a mietere vittime innocenti c’erano la leucemia, il cancro e tutto il corollario di gravi malattie date dalle radiazioni, non solamente quelle primarie ma anche quelle secondarie e residue. Un marchio nefasto che si passava a figli e nipoti, di generazione in generazione.
Gli Habakusha furono i testimoni di questo inferno, dal quale fu quasi impossibile ritornare, incastrati nei ricordi di quella luce abbagliante portatrice di un calore indefinibile, che raggiunse i quarantamila gradi centigradi, e di un vento di una violenza inaudita, capace cancellare ed annientare ogni cosa in un battito di ciglia.
Gli Hibakusha furono coloro che brancolavano disorientati tra le macerie, la pelle a penzolare a brandelli e bulbi oculari raccolti tra le mani, molti chiedendo aiuto per il figlio morto stretto tra le braccia come se fosse ancora vivo.
Gli Hibakusha furono coloro che dovettero affrontare la solitudine per aver perso parenti ed amici, ed il rimorso per non essere stati capaci di salvarli da sotto le macerie o dalle fiamme. Un esser soli amplificato dalla paura di sposarsi e mettere al mondo figli destinati a malformazioni e sofferenze. Non solo, imperava una discriminazione verso gli Hibakusha che li rendeva esclusi dall’essere scelti come futuri consorti.
Proprio per non dimenticare e per fare in modo non si ripetano altre Hiroshima e Nagasaki, esiste in Giappone il movimento degli Hibakusha che si batte affinché siano messe al bando le armi nucleari. Il loro incitamento è: «Vincete la repulsione e non abbiate paura di fissare i vostri occhi sulle orribili immagini di Hiroshima e Nagasaki, esse servono a ricordarvi che, finché esisteranno sulla Terra armi nucleari, ci sarà sempre per ciascuno di voi il pericolo di diventare un Hibakusha, un sopravvissuto!».
Una lotta che è una speranza, incisa anche in un lapide nei pressi dell’ipocentro di Hiroshima: «Non ripeteremo mai più l’errore». L’uomo ne sarà capace?