Mosca, annuncio sconvolgente: «abbiamo prove dell’esistenza di vita su Venere»
Strane forme in movimento sul terreno sarebbero state immortalate nel 1982 dalla sonda spaziale Venera 13 e individuate successivamente dallo scienziato russo Leonid Ksanfomaliti, ricercatore capo dello Space Research of Russia’s Academy of Sciences.
Abbiamo inviato decine di sonde nello spazio alla ricerca di forme di vita intelligente, scandagliato l’universo con moderni radiotelescopi nella speranza di captare segnali artificiali provenienti da altri mondi.
Abbiamo scritto intere pagine di astronomia, fisica e archeologia per giustificare razionalmente a noi stessi l’esistenza di Dio e di esseri pensanti provenienti da altri sistemi planetari, girato memorabili film di fantascienza per sopraffare quel sentimento di solitudine cosmica, che da sempre attanaglia le nostre menti e che necessita di essere colmato con l’auspicio di un “contatto”.
Alla fine, dopo quasi 4000 anni di studi e ricerche, quando le nostre “architetture” di favole, sogni e antiche credenze popolari sembravano sgretolarsi per sempre, una notizia pazzesca scatena l’euforia mediatica e riaccende la speranza: «abbiamo prove dell’esistenza di vita su Venere». Ebbene si, signori miei, avete capito bene! Forme di vita autoctone sarebbero state individuate sul “pianeta velato”, dall’analisi dei dati trasmessi a Terra nei primi anni 80 dalle due sonde gemelle Венера-13 e Венера-14 (Venera o Venusik 13 e 14 nei paesi occidentali), del programma sovietico Venera, per l’esplorazione del suolo venusiano. A dirlo non è uno sconosciuto qualsiasi, ma Leonid Ksanfomaliti, ricercatore capo dello Space Research of Russia’s Academy of Sciences (Istituto di Ricerca Spaziale dell’Accademia Russa delle Scienze) di Mosca.
La sensazionale scoperta è apparsa di recente sulla rivista scientifica “Astronomicheskii Vestnik” e diffusa in tutto il mondo dall’agenzia di stampa indiana “IANS” (Indo-Asian News Service).
Le sonde vennero lanciate nel 1981 a 5 giorni di distanza l’una dall’altra: Venera 13, lasciò la Terra il 30 ottobre, alle 6.04 UTC; Venera 14, il 4 novembre alle 5.31 UTC. Dopo un viaggio durato circa quattro mesi, la prima atterrò in un’area ricca di affioramenti di roccia, circondati da un terreno scuro e sottile, mentre la seconda più a sud, a circa 950 chilometri di distanza, in una piana basaltica nota come Phoebe Regio. Ad atterraggio avvenuto, le navicelle iniziarono a filmare il panorama accompagnando le riprese con una serie di analisi chimico-fisiche sull’ambiente circostante. Il terreno risultò essere composto in prevalenza da basalto e grabbo, una roccia intrusiva olocristallina formata principalmente da plagioclasio e pirosseni.
La temperatura e la pressione misurate furono di 457 gradi centigradi e 84 atmosfere per la Venera 13 e 465 gradi centigradi e 94 atmosfere per la sua gemella. Mentre il lander della Venera 14 rimase in vita per circa 57 minuti, quello della compagna restò attivo per 126 minuti, registrando, per la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale, il rumore di un tuono su un pianeta diverso dalla Terra. Ed è proprio dalle riprese video panoramiche della sonda Venera 13, che lo scienziato russo avrebbe individuato degli esseri viventi. Oggetti di dimensioni comprese tra i 10 e i 50 cm che «emergono, fluttuano e poi scompaiono» dal campo di ripresa fisso della telecamera installata sul veicolo spaziale: un disco che cambia la propria forma nel corso del tempo, una macchia nera presente sul dispositivo per misurare le proprietà meccaniche del terreno e infine una “struttura” che ricorda molto da vicino un grande aracnide terrestre: lo scorpione.
Quest’ultimo, in particolare, sarebbe stato immortalato per circa 26 minuti prima di portarsi definitivamente fuori dall’inquadratura. Ma è possibile che la vita possa essersi originata su un pianeta inospitale come Venere? Se pensiamo al “modello” terrestre basato sulla chimica del carbonio la risposta è un secco “no”. L’atmosfera del pianeta è infatti molto calda e densa. Spesse nuvole di acido solforico coprono completamente il pianeta e solo una piccolissima quantità di energia rilasciata dal Sole raggiunge la sua superficie. La pressione atmosferica è circa cento volte più alta di quella della Terra, caratteristica che assieme all’ingente quantità di anidride carbonica (96%) presente nell’aria, crea il cosiddetto “effetto serra”, con una temperatura media di 465 gradi centigradi anche di notte. Sarebbe come vivere dentro un forno elettrico, con un peso di novanta chili sopra la testa. Anche lo stagno e il piombo fonderebbero in simili condizioni!
Se tuttavia ci discostiamo da questa immagine razionale di Venere e con un’apertura mentale più ampia ammettiamo l’esistenza di un ciclo biologico basato sul silicio o su elementi chimici a noi sconosciuti capaci di “giocare” lo stesso importante ruolo del carbonio sulla Terra, ecco allora che tutto prende una nuova forma e quei corpi fotografati sulla superficie del pianeta assumono la qualità di esseri viventi a tutti gli effetti. Del resto, si potrebbero mai spiegare questi fatti come semplici problemi tecnici? Secondo gli analisti della NASA, si. Jonathan Hill, uno scienziato del Mars Space Flight Facility at Arizona State University (Centro di Controllo della Missione Marziana NASA, presso l’Università dell’Arizona), sostiene che l’oggetto a forma di disco è in realtà un copri obiettivo progettato per staccarsi durante l’azionamento degli strumenti scientifici del lander, mentre lo scorpione sarebbe solo un rumore di un’immagine digitale, cioè un problema dovuto alle interferenze elettriche tra i fotodiodi del sensore della macchina, che causa fotografie “granulose”, spesso con pixel di colori non corrispondente a quelli reali.
Un’anomalia che si evidenzia soprattutto su foto con esposizione lunga e scarsa luminosità. Per altri esperti del settore aerospaziale, gli oggetti in movimento altro non sono che degli effetti ottici generati dalla altissime temperature del suolo di Venere che, ricordiamo, sfiorano per l’intera giornata e per tutto l’anno venusiano la soglia dei 500 gradi centigradi.
Per l’ennesima volta, insomma, siamo di fronte all’incapacità della scienza di arrivare a prendere una posizione comune? Oppure il mondo scientifico statunitense sta tentando di contraddire, sminuire e offuscare il lavoro dei colleghi russi? Forse è proprio per non essere bersagliato da offese e attacchi da parte degli “studiosi conservatori”, che il dott. Ksanfomaliti è rimasto in silenzio per tanti anni, finché, stanco di tenersi tutto dentro, ha voluto gridare al mondo intero che potenziali forme di vita aliene possono esistere anche in ambienti molto ostili.
Gli scienziati che lavorano al progetto Venus Express, la sonda europea realizzata dagli ingegneri dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) da circa sei anni in orbita intorno a Venere, pur non avendo riportato ad oggi risultati simili, non escludono che la vitta, seppure microscopica, possa ancora annidarsi sotto la coltre di nuvole che avvolge perennemente il corpo celeste.
Roberto Mattei
31 gennaio 2012