Nessuno tocchi il diritto di sciopero
“Lo scioperante è un lavoratore che ha preso coscienza della sua condizione di sfruttato e deliberatamente affronta la lotta e sacrifici sempre maggiori, onde rivendicare i suoi diritti”. Il presidente della Commissione di Garanzia sugli scioperi, Roberto Alesse, dovrebbe tenere bene a mente il pensiero dello scrittore Vasco Pratolini invece di avanzare proposte volte a limitare il diritto di sciopero. La più recente, definita da Alesse “estremamente importante soprattutto quando si verificano ‘astensioni spontanee’ dei lavoratori, in modo autonomo e senza che vi sia il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali” prevede “l’individuazione di un’apposita sanzione per i singoli lavoratori” e renderebbe “anche più difficile, per soggetti terzi (le organizzazioni sindacali), spingere i lavoratori a porre in essere forme di protesta selvaggia”.
E’ davvero necessario introdurre una (nuova) sanzione? La l. 12 giugno 1990 n° 146 (modificata dalla l. 11 aprile 2000 n° 83) ha già provveduto a indicare i limiti allo sciopero nei servizi pubblici essenziali quali sanità, protezione civile, igiene pubblica, trasporto pubblico, l’approvigionoamento di energie, prodotti energetici etc.. e inquadra detti servizi come forme di garanzia per la persona: attraverso essi il soggetto può esercitare diritti costituzionalmente tutelati. Essendo tali, il mancato rispetto delle ‘prestazioni minime’ produce sanzioni disciplinari verso i lavoratori che non le garantiscono. Inoltre la legge prevede la possibilità di precettazione da parte delle autorità di governo verso gli scioperanti che violano le disposizioni contenute nella legge. Vista la presenza di forme sanzionatorie a tutela dei servizi minimi – e dunque dei cittadini – la proposta di Alesse di punire il singolo con una multa per sciopero non organizzato non sembra volta tanto a garantire l’effettiva erogazione di un servizio, quanto a impedire – minacciando il lavoratore – la libera manifestazione di dissenso che, ricordiamo, si pone come diritto soggettivo dei lavoratori in quanto tali, ovvero della persona umana. Il regime fascista puniva penalmente lo sciopero, oggi esso è un diritto (nei limiti delle leggi che lo regolano) tutelato dall’art. 40 della Costituzione e come tale non dovrebbe subire limitazioni.
Ma quale ‘selvaggio’? La l. 12 giugno 1990 n° 146 non parla mai di sciopero ‘selvaggio’: lo sciopero è sciopero, o meglio, può essere categorizzato in ‘economico’, ‘politico’ o ‘di solidarietà’ ma non selvaggio. La legge prevede una serie di norme da rispettare per quanto riguarda lo sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, come ad esempio la comunicazione scritta – con preavviso minimo di 5 giorni – “su durata, modalità di attuazione e motivazioni dell’astensione collettiva dal lavoro” ma la stessa legge, all’art. 7, sancisce la non applicabilità delle disposizioni su preavviso e durata se l’astensione dal lavoro avviene per “difesa dell’ordine costituzionale” o per protestare “per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Sulla scorta di quanto detto, notiamo come lo sciopero sia rigidamente e giustamente disciplinato ma, al contempo, ad esso viene riconosciuta una certa ‘autonomia’ se volto a mettere in luce gravi carenze o criticità che oggi non sono certo poche. In questi termini la parola ‘selvaggio’ sembra più una semplificazione ad hoc per creare tumulto nell’opinione pubblica, nei fruitori dei servizi, un termine che mette in cattiva luce il lavoratore che sciopera conscio di rinunciare alla paga pur di manifestare un disagio. Il diritto di manifestare dissenso dev’essere garantito a tutte le categorie di lavoratori, per questo non è sbagliato dissentire rispetto a quanto detto da Alesse lo scorso 30 giugno, che sull’ ‘Huffinghton post’ aveva già avanzato l’ipotesi di imbrigliare la libertà di sciopero di alcune categorie, legando la questione all’imminente Giubileo: “è importante che governo, sindacati e aziende trovino un accordo per escludere alcuni servizi pubblici essenziali (dai trasporti alla sicurezza, dalla sanità alla raccolta dei rifiuti) da proclamazioni di sciopero, che finirebbero per produrre un danno a senso unico contro i cittadini e i milioni di pellegrini attesi nella capitale”.
Sciopero = Disservizio = Disagio. Non si scappa. Come già accennato in precedenza, il disagio provato dai fruitori dei servizi è una conseguenza dello sciopero, ma quest’ultimo è a sua volta figlio delle (in)decisioni al vertice di Enti, Aziende o Istituzioni. Sembra scontato, ma passando in rassegna le dichiarazioni di buona parte dei cittadini intervistati durante uno sciopero – specie se si tratta di trasporto pubblico – emerge la tendenza a lamentarsi maggiormente verso lo scioperante rispetto alla causa che ha scatenato il disservizio.
Nessuno tocchi lo sciopero! Lo sciopero non è un capriccio e ha funzione di denuncia. Quando il lavoratore incrocia le braccia sa che perderà un guadagno; sanzionarlo ulteriormente non risolve il problema per cui si sciopera ma concorrere a instaurare un clima di minaccia che fa leva sui salari e cerca appoggio in quella parte di cittadinanza che non sa – o non vuole – scavare fino all’origine del problema. Zittire i sindacati escludendoli dalla concertazione con il governo o punire i lavoratori con provvedimenti fondati su qualche forma di pagamento va contro i dettami della costituzione (art. 3, 18 e 39) e lascia intravedere una certa nostalgia per gli artt. 330 – 333 e 502 – 506 c.p., abrogati peraltro dalle sentenze della Corte Costituzionale e non dal legislatore.