Poletti e Jobs Act: 79 mila nuovi contratti. Vera occupazione?
ROMA — «Da gennaio stipulati 79 mila contratti in più rispetto ai primi due mesi del 2014», questo è il primo bilancio fatto dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, intervenuto alla Regione Lazio. Sarebbe quindi in atto un’impennata nell’occupazione italiana nei primi mesi del 2015, dovuta principalmente alla decontribuzione Inps introdotta dalla Legge di Stabilità 2015.
A partire dal 7 marzo è attesa un’ulteriore crescita per le assunzioni grazie ad un ritorno di fiamma per il contratto a tempo indeterminato che con il Jobs Act è diventato a garanzie crescenti e non più regolato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e che prevede benefici fiscali per tre anni.
I dati sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro, relativi alle percentuali di incremento per questo tipo di contratto registrate nei primi mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014, sono: 32,5% in più a gennaio 2015, con 40.500 rapporti in più attivati, e incremento del 38,4% a febbraio 2015, con 38.500 contratti a tempo indeterminato in più.
Per la fascia d’età compresa tra i quindici e i ventinove anni, l’aumento relativo ad assunzioni stabili raggiunge quota 41,4%.
Poletti ritiene che siano «dati significativi in coerenza con l’obiettivo di stabilizzazione dei contratti. Per me sono dati assolutamente positivi» e sono legati agli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato introdotti dal Governo con la legge di stabilità 2015.
Il Centro studi di Unimpresa sul Jobs Act stima che «i primi effetti concreti del Jobs Act si potranno tastare con mano a giugno», con una previsione entro la fine del 2015 di circa 250 mila nuove assunzioni realizzate grazie alla riforma del mercato del lavoro.
Il dato però non riguarda un aumento di occupazione al 100% ma «l’incremento dei contratti di lavoro sarà legato in parte alla stabilizzazione degli attuali precari (tempo determinato, contratti a progetto, partite Iva), in parte all’emersione di contratti irregolari o in nero, in parte a nuove assunzioni di disoccupati in senso stretto derivanti da incremento di produzione e prospettive di crescita delle aziende italiane», soprattutto nei settori del turismo, dell’edilizia e dei servizi.
Il vero bersaglio del contratto a tutele crescenti quindi non è quello della riduzione della disoccupazione, quanto quello della riduzione della precarietà.
Il saldo in attivo di questa riforma si avrà di conseguenza se la quota di assunzioni a termine si ridurrà, come anche la quota di assunzioni sotto altre forme non stabili, come i contratti a progetto e false partite Iva.
Per Poletti l’obiettivo del riordino dei contratti è proprio quello di «spostare sul contratto a tempo indeterminato il maggior numero di tipologie contrattuali esistenti oggi».
Non ne sono del tutto convinti i sindacati, per i quali l’intervento del Governo sulle forme di precariato rimane comunque poco soddisfacente e non risolutivo: «La montagna ha partorito un topolino».
In Italia infatti è ora possibile assumere a termine senza causa scritta e rinnovare per cinque volte il contratto nell’arco di tre anni. Un’impresa potrà quindi scegliere di offrire il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti soltanto dopo tre anni di contratto a termine, con i primi due anni d’indennizzo assolutamente modesto; condizioni queste che potrebbero rendere precario un nuovo assunto per almeno cinque anni. Una volta però esaurito il beneficio fiscale, la precarietà potrebbe però paradossalmente aumentare.
Paola Mattavelli
27 marzo 2015