Fine del bicameralismo perfetto: il Senato approva la riforma
Roma. Il Senato della Repubblica ha dato parere positivo al disegno di legge per la revisione della parte II della Costituzione. Attraverso i 183 voti favorevoli saranno introdotte nuove norme che regoleranno l’attività e l’organizzazione del nuovo organo governativo. Le principali novità contenute nei 40 articoli del testo rivoluzionano de facto le fondamenta del Senato: non sarà più eletto direttamente, rappresenterà le istituzioni territoriali e sarà composto da sindaci e consiglieri regionali. Le conseguenze di tale scelta portano alla fine del cosiddetto ‘bicameralismo perfetto’ e alla modifica del federalismo introdotto dalla riforma costituzionale del titolo V attuata nel 2001, eliminando le materie concorrenti tra Stato e Regioni.
La decisione presa dal Senato è un primo passo di un percorso che prevede due votazioni per ciascuno dei due rami del Parlamento e, alla fine, potrebbe essere richiesto anche un referendum confermativo. In sostanza la riforma potrebbe subire alcune modifiche in itinere, anche alla luce di qualche malumore tra i senatori per la scelta di sottrarre ai cittadini la possibilità di eleggere direttamente i propri rappresentanti: con la nuova legge tale competenza spetta ai consiglieri regionali.
I senatori saranno 100, di cui 95 eletti dalle Regioni – tra consiglieri e sindaci – più 5 senatori di nomina presidenziale inoltre, salvo la prima volta, non saranno eletti tutti contemporaneamente ma in concomitanza del rinnovo dei Consigli regionali. Non è più prevista l’indennità che, tuttavia, sarà percepita dai deputati.
Il Senato non voterà più la fiducia al governo e conserverà la funzione legislativa e i poteri di sindacato ispettivo solo per alcune materie. I senatori potranno interrogare i ministri, esprimere pareri sulle nomine governative, verificare l’attuazione delle leggi e nominare commissioni d’inchiesta sulle autonomie territoriali. Avranno inoltre competenze in merito a riforme della Costituzione, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali. Tutte le altre leggi, benché rimanga la possibilità di proporre modifiche, saranno di competenza della Camera dei deputati. Su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, e in tempi stretti, il Senato potrà produrre emendamenti che dovranno essere votati entro trenta giorni. Dopodiché la legge tornerà alla Camera, la quale si pronuncerà definitivamente.
I senatori saranno chiamati a esprimersi sulle leggi di bilancio ma ci saranno solo 15 giorni per votare le proposte di modifica. L’ultima parola, anche in questa occasione, spetterà alla Camera. Ancora: se la maggioranza assoluta dei membri si troverà d’accordo, il Senato potrà chiedere ai deputati di esaminare un determinato Ddl, che dovrà essere messo ai voti entro 6 mesi.
Mentre oggi vengono elencate tutte le materie su cui le regioni possono legiferare, attraverso la modifica del Titolo V sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva: politica estera, immigrazione, rapporti con la Chiesa, difesa, moneta, sistema tributario, burocrazia, ordine pubblico, cittadinanza e stato civile, giustizia, diritti civili, salute, istruzione, previdenza, leggi elettorali locali, dogane, ambiente, beni culturali e paesaggistici, ordinamento delle professioni, energia, infrastrutture strategiche, porti e aeroporti.
Cambieranno, infine, le regole per l’elezione del Presidente della Repubblica. L’attuale legge impone il quorum dei due terzi fino al terzo scrutinio, oltre il quale è sufficiente ottenere la maggioranza assoluta. Con la nuova norma si richiede invece il quorum più alto per primi quattro scrutini, per poi farlo scendere ai tre quinti nei successivi quattro. Solo alla nona votazione verrà abbassato alla maggioranza assoluta dei ‘grandi elettori’.
Davide Lazzini
8 agosto 2014