Occupazione femminile: la pandemia fa distinzioni di genere. Il Gruppo Mascio no
2duerighe ha voluto analizzare i dati sull’occupazione femminile durante la pandemia, per poi dare risalto ad una delle tante, resilienti, PMI italiane, che sono in grado di mettere in campo buone pratiche aziendali. A questo proposito abbiamo intervistato l’HR Manager del Gruppo Mascio.
Il colpo di grazia della pandemia
A dicembre 2020 il tasso di occupazione femminile è sceso al 48,6% perdendo 1,4 punti percentuali. Quello maschile ha perso invece 0,4 punti percentuali (67,5). Gli effetti della pandemia, ma, come vedremo, non solo di quella, si sono fatti sentire, eccome, sul mondo del lavoro nel nostro Paese, ma riguardo alle donne hanno avuto l’aggravante di vanificare il risultato raggiunto nel 2019, con il dato Istat che registrava la metà delle donne italiane occupate, anche per l’incremento del part-time involontario. Poi è arrivata la pandemia: per le donne meno entrate, lavoro e contatti sociali, più oneri in casa e ansia per il futuro. La perdita del lavoro ha interessato infatti soprattutto i settori del terziario che tradizionalmente impiegano più personale femminile: sempre secondo l’Istat risultano occupate oggi circa il 48,6% delle donne, ma per quanto riguarda le più giovani, tra i 25 e i 29 anni (e le cose non vanno meglio per la fascia di età 30-34 anni) l’Italia è ultima nelle classifiche europee, con un tasso di occupazione del 45%. La pandemia, del resto, non poteva certo migliorare una situazione segnata da politiche di genere inadeguate, figlie di un approccio culturale inadeguato, incapaci di dare il giusto peso al lavoro di cura (verso la famiglia, i figli, i parenti disabili, gli anziani) generalmente in carico alle donne (e proposte in controcorrente ce ne sarebbero, come quella della paternità obbligatoria), incapaci di mettere in campo misure di welfare moderno, che alleggeriscano tale carico. La diffusione dello smart-working stesso, nel binomio infernale con la Dad, ha avuto contraccolpi diversi sui lavoratori e sulle lavoratrici. Accanto a questo, sullo sfondo, l’altrettanto irrisolta questione del gap salariale con gli uomini. Secondo l’indagine “La condizione economica femminile in epoca di Covid-19” realizzata da Ipsos per WeWorld, la situazione economica femminile nell’ultimo anno è peggiorata per una donna su due sia al Nord che al Centro e Sud. Tra le donne occupate cresce il timore di perdere il lavoro, e cresce anche la percentuale di coloro che hanno dovuto rinunciare a cercare un’occupazione a causa del Covid; il 60% delle donne non occupate con figli ha ammesso di aver avuto una riduzione di almeno il 20% delle proprie entrate economiche durante la pandemia, tanto che il 51% dipende maggiormente da famiglia e partner rispetto al passato, dato ulteriormente allarmante; il38% delle donne, inoltre, ha dichiarato di non riuscire a sostenere una spesa imprevista, percentuale che sale al 46% tra le madri con figli; l’80% delle intervistate ha evidenziato l’impatto negativo sulle proprie relazioni sociali e il 76% sulla voglia di fare progetti per la propria vita.Fin qui il Governo, come da più parti è stato evidenziato, non ha saputo agire con decisione per invertire la tendenza e molta preoccupazione desta l’incertezza su come saranno spesi i fondi del Recovery Fund e se gli stessi troveranno sbocchi concreti di utilizzo verso l’occupazione femminile.
Non solo Covid: l’occupazione femminile resta penalizzata dalla maternità.
Sono le conclusioni di un’indagine svolta dalla Fondazione Leone Moressa. Indicando anche una soluzione: uno sconto pensionistico per ogni figlio avuto che renderebbe più paritaria la situazione tra i generi. Per l’occupazione femminile italiana infatti il problema non è solo il Coronavirus, ma la mancanza di un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. La disparità tra le donne occupate e gli uomini occupati va oltre la pandemia. L’analisi dello stato di occupazione per tipologia familiare mette in evidenza i comportamenti diversi tra uomini e donne a livello lavorativo in caso di figli. Le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 53,5%, contro l’83,5% degli uomini a pari condizioni. La situazione occupazionale si avvicina molto tra i due generi in caso di single, in cui i tassi di occupazione sono rispettivamente 76,7% per maschi e 69,8% per le femmine. Rispetto al 2019 la situazione è peggiorata soprattutto per la componente femminile. In Italia l’arrivo di un figlio incentiva l’occupazione maschile, ma fa crollare l’occupazione femminile. Al contrario di quanto accade nel resto d’Europa, dove la nascita di un figlio non frena l’occupazione femminile, anzi incentiva la presenza di servizi legati alla gestione della maternità, creando opportunità di crescita economica. Una possibile soluzione, secondo lo studio, sarebbe quella di trasformare la maternità in un beneficio, piuttosto che un ostacolo per l’occupazione. Allo stato, abolite le differenze tra uomo e donna in termini di pensione, sono poche le donne che raggiungono la pensione per anzianità lavorativa e l’assegno pensionistico delle donne è nettamente inferiore a quello maschile. La storia lavorativa delle donne ha buchi previdenziali e retribuzioni minori dovute al lavoro di cura. Di qui, la proposta “Quota mamma per tutte” di uno sconto pensionistico per ogni figlio avuto renderebbe più paritaria la situazione tra i generi. Da prevedere anche per le casalinghe per incentivarle a tornare nel mercato del lavoro formale. Nuova occupazione per le donne genererebbe il bisogno di nuovi servizi generando nuovi posti di lavoro che a loro volta utilizzerebbero nuovi servizi, in un circuito virtuoso.
Avvicinarsi all’Europa
Se rientrassero nel mondo del lavoro solo le lavoratrici potenziali dai 25 ai 54 anni, circa 1,3 milioni di donne, la crescita del tasso di attività femminile sarebbe immediata e arriverebbe al 77%. Ipotizzando che tutte le lavoratrici potenziali trovino lavoro, anche il tasso di occupazione complessivo aumenterebbe di oltre 10 punti, portandoci vicino alle performance europee.
Un (positivo) esempio tutto italiano. La vision al femminile di un’azienda molto “maschile”. Ne parliamo con Antonella Mascio.
Sono diverse le aziende italiane che sono state capaci di resistere alla crisi e anzi di attraversarla crescendo. Tra queste il Gruppo Mascio (www.mascio.it), impresa immaginata dal suo fondatore in Molise, ma poi realizzata a Mornico al Serio, in provincia di Bergamo, che si occupa di trasporto industriale e movimento terra per l’edilizia e le Grandi Opere. Mentre scriviamo è impegnata, con orgoglio, nei lavori di ricostruzione dell’area di Genova intorno all’ex Ponte Morandi e all’ex Fiera. Dalla crisi e dalla pandemia il Gruppo è cresciuto: oggi sono 5 le sue imprese, impiega una flotta di mezzi di ultimissima generazione con tecnologie avanzate per la sicurezza e la riduzione dell’impatto ambientale, oltre duecento dipendenti e il suo fatturato è raddoppiato in un anno raggiungendo i 15.563.157,00 euro nel 2020.
Nell’immaginario, un mondo decisamente “maschile”. Ma negli snodi chiave della sua attività ci sono solo donne: è la visione del Gruppo che ci viene raccontata oggi da Antonella Mascio, 47 anni, HR Manager. Antonella è una delle due sorelle Mascio impegnate nell’azienda di famiglia. L’altra è Paola, allo stato titolare di uno dei brand del Gruppo, Mascio Holding. Con le altre dodici, giovani, collaboratrici a capo dei settori chiave vorrebbero costituire un buon esempio di leadership femminile in un’azienda a prevalenza di dipendenti e autisti uomini. Ed indicare alle donne anche inediti possibili sbocchi lavorativi in un settore che tradizionalmente le vede escluse.
D. Con Voi due sono 14 le donne ricoprono ruoli-chiave in azienda. Ancora poche rispetto ai dipendenti impiegati, no?
L’importante è dove sono collocate queste figure. Allo stato guidano settori fondamentali dell’attività del Gruppo: dalla sicurezza al controllo di gestione, dall’amministrazione alla direzione del personale, al controllo di qualità del servizio. Far crescere questo numero è il nostro impegno. Far conoscere il mondo della logistica industriale e dei trasporti alle donne un desiderio, che stiamo cercando di concretizzare, anche attraverso interviste come questa. Non è un lavoro per soli uomini: una carriera femminile nel mondo dei trasporti, settore dell’economia associato principalmente agli uomini, non solo è possibile, ma può offrire grandi soddisfazioni. Certamente è necessaria una formazione e corsi ad hoc per alcuni dei suoi comparti, ma le donne possono operare in questo settore e anche raggiungere posizioni di vertice partendo, ma questo vale anche per gli uomini, dalla consapevolezza del proprio ruolo in azienda. E per me questa consapevolezza nasce dal sentire di far parte di una squadra, dalla capacità di coinvolgere il team negli obiettivi aziendali e di adoperarmi per creare le condizioni migliori affinché tutti possano esprimere i propri talenti.
D. Cosa faceva prima di entrare nel Gruppo?
Dopo gli studi, a 25 anni, ho deciso di trasferirmi in Belgio, dove ho lavorato per 18 anni in una multinazionale. Non voglio dire che sia stato facile, difficoltà ci sono state e ci sono voluti alcuni anni per raggiungere una piena integrazione. Ma è stata un’esperienza fondamentale. L’ambiente multiculturale, la varietà delle opportunità di crescita, seppure conquistata, si sono alternate nel mio vissuto a quello che invece, lì, mi è mancato: la mia famiglia, certi valori poco esibiti all’estero e invece connotati forti del mio Sud, il Molise, il tempo, da ultimo, per crearmi fin qui una mia, di famiglia. Poi la decisione di entrare in azienda, per contribuire alle sue ambizioni di espansione con un apporto, mi sento di dire, qualificato di esperienza professionale. Ora sono qui e ci sto bene. Lavoro con passione e determinazione per dare concretezza alla mia idea di leadership al femminile e, soprattutto, di impresa.
D. Che mondo ha trovato, parlando di lavoro delle e per le donne, una volta rientrata dall’estero dopo così tanti anni?
Ho ritrovato una mentalità cui non ero certamente più abituata, pur conoscendola bene viste le mie origini meridionali, ancora decisamente imbrigliata da pregiudizi sulle possibilità di successo per una donna in ruoli di leadership all’interno del mondo del lavoro, e del lavoro nei trasporti ancora di più. Una mentalità diffusa a livello generale, dalle conseguenze gravi come testimoniano ad esempio i dati dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno dove negli ultimi mesi si sono persi 171mila posti di lavoro tra quelli occupati da donne e dove la precarietà delle donne resta più elevata rispetto a quella del lavoro maschile. Col tempo, qui all’interno del Gruppo Mascio, mi sento di poter dire che la strada per il superamento di questi pregiudizi è almeno tracciata, verso una autentica, anche nella pratica, uguaglianza di genere. A proposito di Sud, poi, dove la condizione femminile è ancora quella che è, la nostra è stata comunque un’esperienza positiva. Tutti noi proveniamo dal Molise, ma nella nostra famiglia siamo state sempre incoraggiate a sentirci libere di seguire le nostre aspirazioni e di scegliere la strada da seguire, sia negli studi sia nel lavoro. Trovarci insieme nell’azienda di famiglia si sta rivelando ora un’ottima e stimolante scelta.
D. Che cosa caratterizza il Suo essere una donna-manager?
Non mi vedo come una donna manager. Ma come un manager, una persona che cerca di esprimere “qualità” e di essere un modello, un riferimento, uno stimolo per gli altri. Non qualcuno di livello superiore nella scala gerarchica, ma uno dei protagonisti, insieme agli altri, del cambiamento che vorremmo vedere in azienda. L’idea è quella di sviluppare un modello strategico di sviluppo dell’organizzazione guidato da un’ottimale alchimia possibile tra le tante diversità che chi lavora con noi esprime. Concretamente, in questo tipo di impresa, significa anche la costante ricerca di un equilibrio tra le esigenze di chi svolge un lavoro pesante, duro, faticoso e innegabilmente non privo di rischi, con le regole del business, senza sacrificare le une o le altre. Il lavoro nel settore dei trasporti è associato a grande stress, è un mercato che può richiedere in alcuni momenti disponibilità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, influendo quindi sulla vita familiare del dipendente. Seguendo tuttavia le regole del work-life-balance, si può combinare con successo la carriera e la vita personale. Supporto concreto quindi ai bisogni del personale, nel caso degli autisti non giovanissimi, spesso lontani da casa e dalle loro famiglie a lungo; offerta di soluzioni tecnologiche per la sicurezza dei mezzi e per la digitalizzazione e quindi alleggerimento del carico burocratico del lavoro; capacità di improvvisazione; ascolto e collaborazione.
D. Può fare qualche esempio?
Attraverso il nostro management cerchiamo di dare sostanza ad alcune idee. Quella della flessibilità, innanzitutto. Dove possibile, per le funzioni che lo permettono, lo smart working è incentivato. Sugli orari e la quantità di lavoro svolto, prevale la richiesta di una qualità del lavoro, se questo serve per andare incontro ad esigenze familiari momentanee. Impieghiamo donne giovani, la mia idea, la mia esperienza personale, è che la famiglia debba essere tutto tranne che un intralcio, piuttosto un arricchimento irrinunciabile. Pertanto ogni soluzione – allo studio quella di un asilo-nido aziendale –
è e sarà cercata per consentire a chi lo desideri di ampliare il proprio nucleo familiare, avere dei figli, e nel contempo continuare a sentirsi parte della nostra organizzazione, sapendo di avere anche mantenute inalterate le proprie opportunità di crescita al suo interno. Supportiamo le esigenze di alloggio e di vitto dei nostri autisti. L’altra idea è quella della collaborazione: la offriamo e la pretendiamo da chi lavora con noi. Anche la mia giornata tipo richiede un equilibrio tra tante ore di lavoro e i miei impegni familiari, io per prima sono alleggerita quando incontro collaborazione piena da chi lavora con me.
D. Un settore “pesante” quello dei trasporti. Cosa secondo Lei è più difficile per le donne e cosa viceversa potrebbe offrire loro soddisfazioni in questo campo?
Partirei dalle soddisfazioni. Questo è un settore per sua natura dinamico. Ogni “spostamento” in sé lo è. Ogni cantiere poi è diverso dall’altro, si lavora a ritmi che non lasciano molto spazio alla routine e alla noia nel lavoro di tutti i giorni, occorrono buone dosi di improvvisazione. Inoltre, la tecnologia in questo campo si apre a sfide incredibili, anche con l’implemento di soluzioni IT e l’apporto dell’intelligenza artificiale, e tutto questo lo rende un settore stimolante, decisamente in rapida crescita e che avrà presto bisogno di nuove specializzazioni. Tra le difficoltà, oltre al possibile carico di stress di un lavoro indubbiamente complesso, una donna si trova anche a dover lottare contro gli stereotipi: dover sempre “dimostrare” ai partner commerciali o ai propri dipendenti che come donna si può essere, si è, anche una specialista con esperienza. Questo comportamento, dovuto alle differenze di mentalità di cui dicevo prima, va trattato con comprensione e pazienza. Mi sento di poter affermare che essendo la nostra azienda più strutturata di altre che egualmente operano nel campo dei trasporti e del movimento terra, potrebbe rappresentare un buon test per chi voglia mettere alla prova abilità tipicamente femminili in questo campo e anche un buon esempio di promozione di una leadership inclusiva e di valorizzazione di tutti i talenti.
D. Un “azienda di famiglia” in decisa crescita. Quale specifico apporto, delle donne, a questa crescita?
Le specificità della leadership femminile sono note, ma vale qui soprattutto un raggiunto, anche se sempre perfettibile, equilibrio tra le competenze femminili e maschili di chi guida e guiderà questa squadra di persone verso un progetto. Un progetto che è si espressione della volontà imprenditoriale del Gruppo, ma che ho la presunzione che possa diventare il progetto comune anche di chi lavora o collabora con questo Gruppo. E che speriamo accolga sempre più donne e giovani donne al suo interno, anche, perché no, in officina o alla guida di una delle nostre autobetoniere.