W. M. Chase e l’arte moderna americana
In anteprima europea, in mostra a Ca’ Pesaro sessanta dipinti di William Merritt Chase, considerato il più importante esponente della pittura moderna americana. Una mostra in collaborazione con The Phillips Collection di Washington, DC, il Museum of Fine Arts di Boston e Terra Foundation for American Art. www.capesaro.visitmuve.it
VENEZIA – Mentre, per dirla con Oscar Wilde gli americani cattivi erano condannati a un aldilà in patria, quelli buoni avevano la possibilità di portare l’anima in Europa, in cerca di un ambiente più stimolante. Paradossi letterari a parte, il pittore William Merritt Chase (1849-1916) d’Europa impregnò le sue tele, trasferendo l’atmosfera dei suoi salotti nell’alta società americana dell’epoca. Negli anni Settanta dell’Ottocento gli Stati Uniti erano ancora un Paese in costruzione, la frontiera occidentale era ancora aperta, e le guerre indiane segnavano la tragedia dei Nativi. Paradossi di una democrazia che aveva ispirato persino Tocqueville. Ma un Paese del genere, ancora in larga parte agricolo e avventuriero, poco aveva da offrire a quella borghesia progressista che nelle città dell’Est, cercava un suo stile, una sua legittimazione estetica attraverso l’arte, così come poco poteva offrire agli artisti stessi un immaginario ancora legato alla prateria, ai canyon e all’idea di una guerra semipermanente. In quella metà d’Ottocento, la scena artistica americana era ancora dominata dai vari Charles Marion Russell, Carl Oscar Borg, o Thomas Moran, cantori dell’epopea del West. Ma i tempi stavano cambiando.
Giunto a New York nel 1869 dalla natia Williamsburg, assecondò il suo interesse per l’arte iscrivendosi alla National Academy of Design, allievo di Lemule Wilmarth, a sua volta formatosi presso Jean-Léon Gérôme, la cui lezione europea e orientalista giunse anche a Chase, che ne restò affascinato al punto di recarsi nel Vecchio Continente per approfondire la conoscenza della sua pittura.
Con la mostra William Merritt Chase. Un pittore tra New York e Venezia, a cura di Elsa Smithgall, Erica E. Hirshler, Katherine M. Bourguignon, Giovanna Ginex, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro alza il velo su questo artista a torto misconosciuto dal grande pubblico, ma che ebbe un ruolo importante nell’aprire alla modernità la pittura statunitense. Al pari del connazionale John Singer Sargent (1856-1925), Chase fu pittore legato alla borghesia, ceto in ascesa anche nel Nuovo Mondo, e da questa assai stimato. Il giornalista e diplomatico Samuel Greene Wheeler Benjamin riconosce come nello stile di Chase “un nobile senso del colore è ravvisabile in tutti i suoi lavori, sia nelle sottigliezza elusiva delle carni, sia nella potente resa di una massa scarlatta”.
Nella sua adesione alla pittura di genere, Chase stabilisce una linea di continuità con i pittori fiamminghi (peraltro da lui ammirati), che a metà del Seicento, sull’onda della Riforma, modernizzarono l’arte europea volgendo la propria attenzione alla borghesia in rapida crescita, affrancandosi dal mecenatismo del sovrano.
Chase si trasferì in Europa nel 1872, per rimanervi fino al 1878; un lungo soggiorno che gli permise di assistere alla nascita della Belle Époque, di tuffarsi nel clima d’euforia edonistico-positivista che caratterizzò quegli anni febbrili, ma soprattutto di studiare quella che fu l’avanguardia pittorica dell’epoca: infatti, frequentò a Monaco di Baviera l’Accademia di Belle Arti, trovandosi a suo agio in questa severa città-caserma, la cui solennità sentiva più congeniale al suo carattere, rispetto alle luci e ai clamori di Parigi. Mutuata dalla solennità tedesca, la lezione pittorica europea approderà nelle sue tele caratterizzata da quelle atmosfere algide che più tardi ritroveremo nelle pagine di Thomas Mann o Italo Svevo.
Anche per questo, si può parlare di Chase come di un pittore europeo. Nel corso del suo lungo viaggio, nel 1877 fece tappa in Laguna, da dove ripartirà l’anno successivo. Il fascino dell’Italia resterà indelebile in Chase, al punto che vi ritornerà più volte, toccando anche Firenze nel 1907, e nel 1910 acquisterà Villa Silli sulla collina di Fiesole, aggiungendosi alla folta comunità angloamericana del capoluogo toscano.
Frequentatore dello stile macchiaiolo e impressionista, Chase seguì il primo nelle fasi iniziali della sua carriera, per poi virare verso i francesi negli anni Novanta dell’Ottocento, e conferendo alla sua pittura un carattere meno naturalistico, incentrata sull’indagine della luce e dei suoi giochi, e sfumando i profili di edifici e persone in funzione dell’atmosfera da ottenere. Ma non per questo i suoi dipinti persero di eleganza.
Gli anni Settanta e Ottanta vedono Chase inserito nella grande tradizione della ritrattistica inaugurata da Reynolds, e fu pertanto un attento osservatore della borghesia americana ed europea del secondo Ottocento, immortalando i suoi esponenti in raffinati ritratti di grandi dimensioni, così come in raffinati esterni che raccontano l’abitudine delle passeggiate nei parchi, o sulle spiagge. Le sue tele non si caratterizzano, in questi anni, per una particolare luminosità, anzi la tavolozza è sobria, quasi nordeuropea per il prevalere del beige, dei grigi e degli azzurri tenui, entrati nel suo sentire dopo l’esperienza in Germania.
Cornice borghese per eccellenza, i salotti, che Chase dipinge con preziosi tendaggi, stoffe e parati, raffinata mobilia e oggettistica, e che rende esotici quando indulge al fascino del Giappone, sulla scia di molti dei suoi colleghi europei. Esempio di questa fase orientale, Un angolo confortevole (1888), dove la modella indossa un raffinato kimono in seta blu con decorazioni floreali, e stringe nella mano abbandonata in grembo, un tipico ventaglio giapponese. L’attenzione per i dettagli è qui portata all’estremo, con le decorazioni dorate sulla stoffa blu del cuscino, il piede intagliato del divano, e la grande stufa in secondo piano, che suggerisce il tepore di questo accogliente salottino, reso ancora più intimo dal tappeto che la dama sfiora con i piedi elegantemente calzati.
Anche il paesaggio ha un ruolo importante nella poetica pittorica di Chase: la campagna e la costa newyorkesi furono per lui ciò che la campagna parigina e le coste normanne erano state per gli Impressionisti; adottò il metodo della pittura all’aperto, e s’immerse nella quiete di quei paesaggi ancora incontaminati. Le sue marine dal taglio mondano, anticipano quelle di Moses Levy, cantore della Versilia modernista. Con leggiadro tratto impressionista, Chase racchiude nella tela la quiete di una giornata estiva d’altri tempi, quando la spiaggia era un luogo come un altro per mostrare le toilettes all’ultima moda. E proprio con le marine si stringe la relazione con l’Impressionismo, e si assiste anche a una maggior luminosità della tavolozza, mentre la pennellata si fa più rapida e liquida.
Cuore della mostra, il soggiorno veneziano, durante il quale l’artista realizzò numerose opere dalle quali scaturisce una Venezia che sembra fatta d’acqua, tanto la pennellata di Chase si fa eterea, e le sue torri, cupole, calli e campielli si specchiano nella Laguna dove il tempo scorre senza cancellare il fasto del passato, un fasto che profuma d’Oriente, di spezie e d’incenso, che riaffiora appena malinconico nell’umile bottega di un antiquario. Nelle sue tele, Chase dimostra sensibilità verso Venezia, riesce a incontrane l’anima senza apparire retorico o nostalgico, e rendendo omaggio a une bellezza comunque eterna.
L’influenza di Chase sulla pittura americana moderna è sostanziale, considerando come abbia tenuto vari corsi di pittura in patria, fra cui quello presso la Shinnecock Hills Summer School of Art, dove introduce il metodo di lavoro en plein air, mutuato dagli Impressionisti. Ma soprattutto, con Chase l’America si scopre adulta, si accorge di un ceto sociale in rapida ascesa che sta gettando le basi per l’American Dream del secolo successivo.
Niccolò Lucarelli