Teatro di Roma 2014-16: il Teatro torna al centro del villaggio!
Celebrare dei successi in un contesto così complicato come è oggi quello della cultura in Italia ed a Roma non è affatto un segno di sterile esibizionismo, anzi.
Salutare la fine del triennio che ha visto la gestione del Teatro di Roma in mano a Marino Sinibaldi e Antonio Calbi – il primo nei panni di Presidente, l’altro come Direttore Artistico – significa avere ribadire un concetto tutt’altro che ovvio: ripartire a Roma è possibile.
In un momento storico caratterizzato infatti più dalla chiusura dei luoghi d’aggregazione culturale che dall’effettiva proliferazione del pensiero critico, la parabola del Teatro Argentina e del Teatro India può davvero essere il simbolo di una battaglia che ogni cittadino romano non può permettersi di perdere. Il trimestre appena conclusosi, numeri alla mano, è stato infatti un vero e proprio trionfo, basato su quell’idea molto semplice di «riportare il Teatro al centro del villaggio».
E così, leggendo le statistiche, viene fuori che gli spettatori complessivi sono passati ad essere dai 63.313 del 2013 ai 144.493 del 2016, facendo registrare dunque un incremento del 128%. Eccellenti poi i dati relativi alle alzate di sipario totali, aumentate addirittura del 444%.
Quali i motivi di questo successo? Quali le politiche che hanno riportato il Teatro di Roma nel posto che più gli appartiene, ovvero al centro della comunità romana?
Di certo in tal senso non si può non tener conto dell’intelligente scelta di fidelizzare i propri spettatori, proponendo degli abbonamenti che venissero incontro alle esigenze di chiunque (alla voce “abbonamenti” l’incremento che si registra è del 137%), puntando soprattutto a coinvolgere gli spettatori che saranno il teatro del futuro. Per questo è necessario citare il +177% delle card under 18, e soprattutto va celebrato il merito di aver riportato i ragazzi a teatro (Ragazzi di vita di Massimiliano Popolizio è stato un esempio eccelso).
Ma ciò che assolutamente va ricordato di questi straordinari tre anni del Teatro di Roma è il repertorio: sui palcoscenici dell’Argentina e dell’India si sono infatti alternati autori italiani e grandi maestri internazionali, con l’unico obbiettivo di ricreare un principio di assembleità che appartiene all’arte recitativa sin dagli albori del teatro eschileo. Tanti sono gli esempi, da Der Park di Peter Stein a Carmen di Mario Martone, da Le voci di dentro di Toni Servillo fino all’Aminta di Daniele Spanò.
E’ stato fatto davvero tanto, la macchina teatrale ora inizia a muoversi con regolarità. Adesso la sfida più difficile, quella di restare una certezza per il pubblico romano.
Magari strizzando anche l’occhio al Teatro Valle. Allora sì che sarebbe una bella favola da raccontare!