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Pedofilia e Chiesa: il processo Pell, la prima privazione della porpora per abusi sessuali e le nuove leggi australiane (parte 7)

prima privazione della porpora per abusi sessuali

© La Stampa

Si staglia il primo segnale forte e chiaro in mezzo alla nebbia confusa della politica a tolleranza zero – tanto pubblicizzata durante gli ultimi due pontificati in ordine temporale – contro la pedofilia.

Se, dunque, il caso che vedremo a breve può considerarsi in linea con la dichiarata intransigenza di Bergoglio a punire chi ha abusato di minori e chi ne ha insabbiato le azioni, la vicenda del cardinale George Pell rimane avvolta da uno spesso alone di nebbia. Infatti, il prefetto della Segreteria per l’Economia, nonché membro del C9, considerato l’uomo di punta del pontificato di papa Francesco, è attualmente sotto processo presso la magistratura australiana, accusato di abusi sessuali ai danni di minori avvenuti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta a Ballarat, suo paese natale, e tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del 2000 nella diocesi di Melbourne, quando Pell ne era alla guida. Il giudice di Melbourne, Belinda Wallington, dopo aver raccolto una notevole quantità di testimonianze incrociate, ha stabilito che ci sono prove sufficienti per il rinvio a giudizio del cardinale: la sentenza definitiva è prevista entro la fine del 2018. Nel frattempo Pell continua a proclamarsi innocente e prosegue nella gestione dei suoi incarichi a stretto contatto con il pontefice.

La prima privazione della porpora per abusi sessuali

La scorsa settimana Bergoglio ha concluso le pratiche di privazione del cardinalato riguardanti l’arcivescovo emerito di Washington, Theodore McCarrick (88 anni), accusato di pedofilia, per la precisione di aver abusato di un adolescente 45 anni fa, quando era ancora un semplice sacerdote dell’arcidiocesi di New York.

Un’azione decisa che non si verificava dal 1927, quando papa Achille Ratti privò della porpora Louis Billot per tutt’altri motivi: questi aveva infatti aderito a un articolo dell’Action française che aveva criticato duramente la Chiesa cattolica.

Già nel 2015 Francesco aveva privato il “cardinale molestatore” Keith Michael Patrick O’Brien, arcivescovo emerito di Saint Andrews and Edinburgh, dei diritti e delle prerogative del cardinalato. Ma O’Brien, scomparso recentemente, era rimasto comunque cardinale, seppure solo formalmente.

Nel 1977, McCarrick divenne, per volontà di Paolo VI, vescovo ausiliare e poi nel 1981, fu nominato da Giovanni Paolo II primo vescovo della diocesi di Metuchen (New Jersey) e successivamente promosso ad arcivescovo di Newark. Nel 2000 sempre Wojtyla lo nominò arcivescovo di Washington.

La comunicazione di allontanamento e dimissioni dell’arcivescovo è arrivata la scorsa settimana dalla Sala Stampa della Santa Sede: «nella serata di ieri è pervenuta al Santo Padre la lettera con la quale il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, ha presentato la rinuncia da membro del Collegio Cardinalizio. Papa Francesco ne ha accettato le dimissioni da cardinale e ha disposto la sua sospensione dall’esercizio di qualsiasi ministero pubblico, insieme all’obbligo di rimanere in una casa che gli verrà indicata, per una vita di preghiera e di penitenza, fino a quando le accuse che gli vengono rivolte siano chiarite dal regolare processo canonico».

Il mese scorso l’arcivescovo era già stato rimosso dal ministero pubblico e così commentava l’avvenimento: «Alcuni mesi fa, mi è stato riferito dall’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, che sia stata avanzata contro di me un’accusa di abuso sessuale su un adolescente quasi cinquant’anni fa. A quel tempo ero un prete dell’arcidiocesi di New York. Seppur sia sconvolto dal rapporto, e pur dichiarando la mia innocenza, ho ritenuto essenziale che le accuse fossero segnalate alla polizia, accuratamente investigate da un’agenzia indipendente, e consegnate al comitato di revisione dell’arcidiocesi di New York. Ho collaborato pienamente al processo. La mia tristezza è divenuta profonda quando sono stato informato che le accuse erano state ritenute credibili e motivate. In obbedienza accetto la decisione della Santa Sede, a non esercitare più alcun ministero pubblico. Mi rendo conto che questo doloroso sviluppo sconvolgerà i miei molti amici, familiari e persone che sono stato onorato di servire nei miei sessant’anni come sacerdote prete. Mentre non ho assolutamente alcun ricordo di questo abuso segnalato, e credo nella mia innocenza, sono dispiaciuto per il dolore che la persona che ha avanzato le accuse ha attraversato, così come per lo scandalo che tali accuse causano al nostro popolo».

Intorno alla figura di McCarrick ruotano storie diverse, venute a galla in seguito allo scandalo dell’abuso sessuale ai danni di un minore. Come riporta il cardinale di Newark, Joseph William Tobin, «in passato ci sono state accuse secondo le quali egli che era coinvolto in relazioni sessuali con adulti. Questa arcidiocesi e la diocesi di Metuchen, hanno ricevuto tre accuse di cattiva condotta sessuale con adulti decenni fa; due di queste accuse hanno portato a dei risarcimenti».

Il cardinale di New York, Timothy MichaelDolan, ha affermato che l’accusa contro McCarrick è “la prima segnalazione di una violazione della Carta per la protezione dei bambini e dei giovani mai fatta contro di lui di cui l’arcidiocesi sia a conoscenza”.

Bergoglio ha inoltre deciso di riaprire, presso la Congregazione per la dottrina della fede, anche il caso del prete dell’arcidiocesi di Napoli, don Silverio Mura, accusato da anni di pedofilia senza che il suo arcivescovo, il cardinale Crescenzio Sepe, assumesse provvedimenti adeguati. La Congregazione ha deciso di far processare penalmente il sacerdote napoletano presso il Tribunale ecclesiastico metropolitano di Milano.

Australia, un nuovo reato da ottobre

Questione spinosa in cui si scontrano, senza incontrarsi, i precetti della religione cattolica e l’etica sociale: da ottobre i sacerdoti che ricevono una confessione circa un abuso sessuale ai danni di minori dovranno denunciare il fatto alle autorità.

Già ad agosto 2017 i vescovi australiani, pur ribadendo la linea della tolleranza zero e la disponibilità a collaborare con le autorità, rinnegavano fermamente l’eventualità di rompere il segreto della confessione, in nome dell’inviolabilità del sigillo sacramentale.

La Royal Commision, incaricata dal governo australiano per indagare il comportamento delle istituzioni ecclesiastiche rispetto agli abusi sessuali sui minori, aveva prescritto 122 raccomandazioni e tra queste la volontà di rendere reato la mancata denuncia di molestie o violenze su minori apprese da un sacerdote in confessione.

«La Confessione nella Chiesa cattolica – affermava, in un comunicato, l’arcivescovo di Melbourne, Denis J. Hart, presidente della Conferenza episcopale australiana – è un incontro spirituale con Dio attraverso il sacerdote. È una parte fondamentale della libertà religiosa ed è riconosciuta dalla legge in Australia e in molti altri Paesi. Deve rimanere così anche qui nel nostro Paese. Al di fuori di essa, ogni offesa contro i bambini deve essere denunciata alle autorità. Siamo assolutamente impegnati a farlo».

Anche il gesuita Frank Brennan, docente di diritto all’Università cattolica australiana e di diritti umani e giustizia sociale all’Università di Notre-Dame, oltre a spiegare cosa comporta per un sacerdote il segreto confessionale, ha anche fatto notare come «sia ancora meno probabile che un abusatore possa presentarsi in confessionale sapendo che il sigillo sacramentale non sarà rispettato».

Dopo un anno, in Australia, sono ancora 600 i preti contrari a questa ipotesi di legge. La norma viene vista come “un’intrusione dello stato nel dominio del sacro”, una legge che minaccia la libertà di religione. “Ogni sacerdote degno del suo nome farebbe tutto il necessario per proteggere i bambini, un simile obbligo non sarebbe comunque di alcun aiuto per loro” ha detto il presidente dell’Australian Confraternity of Catholic Clergy, padre Scot Armstrong.

In ogni caso, a ottobre il South Australia sarà il primo stato ad abolire l’esenzione finora accordata al segreto del confessionale dall’obbligo di denuncia. L’obbligo per i sacerdoti di denunciare chi si reca in confessionale entrerà in vigore il 31 marzo 2019. I sacerdoti saranno passibili di multe di 10mila dollari (6.500 euro) se non riferiranno informazioni su casi di abusi apprese in confessione. Leggi simili sono state annunciate anche in Western Australia, in Tasmania e nel Territorio della capitale federale Canberra.

La validità della legge è dimostrata anche dal recente caso di cronaca che vede protagonista l’arcivescovo di Adelaide, Philip Wilson. Lavorava con un prete finito in carcere per abusi su minori negli anni ‘70 e i giudici hanno stabilito che il presule era a conoscenza dei fatti e all’epoca non ha informato le autorità civili: per questo motivo è stato condannato a 12 mesi di reclusione, mentre il prete che abusò è morto nel 2006 in carcere dopo circa un anno di detenzione all’età di 65 anni.

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