Solitamente abituati a sentire i confini come nette linee divisorie tra popoli e culture, dimentichiamo con grande facilità quanto sia difficile tracciare un confine nazionale nella vita delle persone. L’identità nazionale che sentiamo, a meno che non vogliamo considerarci apolidi, riveste un importante elemento della nostra costruzione del Se.
Storicamente, la commistione di usi e costumi differenti ha sempre portato a una metamorfosi sociale, nel bene o nel male. L’influsso greco nei confronti del mondo latino portò a un’ellenizzazione della società tanto contrastata da Catone il Censore quanto osannata da Scipione Emiliano, il cui circolo diede vita a un mecenatismo ante litteram. Ma non di questo Scipione vogliamo parlare, bensì di quello che, nato in una Trieste ancora austro-ungarica, viveva il dissidio interiore di sentirsi sloveno in Italia e italiano in Slovenia.

Vorrei dirvi: Sono nato in carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo. C’era un cane spelacchiato e rauco, due oche infanghite sotto il ventre, una zappa, una vanga, e dal mucchio di concio quasi senza strame scolavano, dopo la piova, canaletti di succo brunastro. […] Vorrei ingannarvi, ma non mi credereste. Voi siete scaltri e sagaci. Voi capireste subito che sono un povero italiano che cerca d’imbarbarire le sue solitarie preoccupazioni. È meglio ch’io confessi d’esservi fratello, anche se talvolta io vi guardi trasognato e lontano e mi senta timido davanti alla vostra coltura e ai vostri ragionamenti.
Il mio Carso
Il Carso è il lungo altopiano roccioso, scenario delle più importanti battaglie tra Italia e Austria durante la Prima Guerra Mondiale; ma queste parole, scritte prima del grande evento bellico, identificano in questo luogo il desiderio recondito di rintracciare le proprie origini, al fine di imbarbarire il proprio io ormai corrotto dalla città. Scipio Slataper, nel 1911, scrive Il mio Carso, orbitando nel panorama letterario de La Voce di Prezzolini, senza mai riuscire a sentirsi vicino a quel mondo troppo imborghesito per un uomo che vedeva nelle aspre montagne di Occisla il ricovero per la sua anima. Un autore, le cui origini slovene riecheggiano nella spasmodica ricerca di un posto in quel mondo che si affacciava timoroso al XX secolo.
Le vicende che interessarono Istria, Dalmazia e Fiume sono ben note e di queste dobbiamo avere memoria, perché essere considerati una minoranza possa essere un vanto e non una condanna; affinché i cittadini di un territorio possano sentirsi sempre a casa e mai popolo in terra straniera. Esempio virtuoso è quindi il rapporto che Slovenia e Italia, sin dalla loro autodeterminazione, hanno con i propri connazionali in quei territori di confine, custodi di lingue e tradizioni che vanno ben oltre la nascita dei nostri Stati moderni. L’italiano in Slovenia continua ad essere lingua viva, in particolar modo in quei territori di confine riconosciuti da entrambi i nostri paesi e l’insegnamento dello sloveno nelle scuole di molti nostri comuni continua e si intensifica. Il rapporto tra paesi confinanti non può che prendere esempio dallo sforzo attivo svolto dai nostri enti governativi e, soprattutto, dalle buone pratiche di convivenza che i nostri due popoli quotidianamente mettono in atto.