L’intellighenzia e i socialisti considerano le loro conoscenze esattamente come l’imprenditore considera il suo capitale. “Tu vuoi possedere ricchezze?”, chiede il capitalista all’operaio. E poi conclude. “Allora lavora, datti da fare, risparmia!”. “Vuoi essere tanto colto come me?” chiedono l’intellettuale e il socialista all’operaio. E concludono esattamente allo stesso modo: “Istruisciti, studia! Dedica ognuno dei tuoi momenti liberi allo studio e non a ubriacarti, a non fare nulla, non c’è altra possibilità!”.
È da queste parole che si comprende il punto di vista di Jan Waclaw Machajski rispetto la classe intellettuale della Russia post diciannovesimo secolo.
Jan Wacław Machajski, figlio di un povero funzionario polacco, nasce il 27 dicembre 1866 a Busko-Zdrój. Rivoluzionario che, sebbene da studente fu vittima del fascino del nazionalismo, rimarcò la sua posizione politica nella direzione del socialismo. Fu arrestato ed esiliato in Siberia nel 1892, dove iniziò a sviluppare la sua critica del revisionismo marxista nel socialismo tedesco e russo.

Secondo l’autore, le riforme infrastrutturali avviate dal 1870 dall’imperatore Alessandro II resero le grandi città dell’attuale Federazione Russa un terreno fertile per la nascita e la convivenza omogenea di un ceto borghese e di una classe operaia. Per Machajski, tuttavia, sarà il capitalismo a disallineare le sorti e gli ideali dell’intellighenzia rispetto al proletariato.
Dalla lettura del suo pensiero si comprende quanto egli ritenesse il capitalismo un meccanismo si ricco di mistero, ma fautore di una visione classista, nel modo più evidente possibile. In un regime orientato alla generazione di un profitto, mediante l’impiego di mezzi produttivi e capitale umano, è chiaro che la cultura capitalistica generi anche dei soggetti parassiti. Da questa posizione, ci appare come la classe colta non sia altro che in uno stato privilegiato, posto un gradino più in alto rispetto agli altri, per il semplice motivo di ripagare il debito con il resto della società mediante l’impiego dell’intelletto. Quest’ultimo, derivante dal merito di essersi istruiti, è un elemento più nobile ed elitario del mero lavoro fisico reso dall’operaio. Grazie al discrimine tra lavoro operaio e lavoro intellettuale, Machajski reputa i colti dell’intellighenzia parte integrante delle ideologie socialiste.
Entrambi, colti e socialisti, si ritengono dal lato giusto del mondo, quello che conta ed è nella posizione di risollevare le sorti di tutti, e, per questo motivo, spesso, prendono disinteressatamente la difesa della classe operaia. I socialisti, secondo Machajski, sono fermamente convinti che la classe operaia un giorno sarà in possesso di cultura e conoscenze grazie al ruolo centrale che giocherà la classe intellettuale.
Ciò nonostante, l’autore è convinto del fatto che la rivoluzione messa in atto dalla intellighenzia, sebbene di stampo socialista, non sarà capace di porre fine ai limiti del regime capitalista –primo fra tutti lo sfruttamento – poiché saranno gli stessi intellettuali a giocare un ruolo chiave e dirigenziale in una nuova forma di Stato tecnocratico. L’intellighenzia, secondo Jan Wacław Machajski, è destinata a governare le classi sociali al gradino inferiore, esercitando, inevitabilmente, una certa oppressione.
Per capire se Machajski ci abbia visto lungo sul ruolo della classe intellettuale, non resta che immergersi nella lettura de La dittatura dell’intellighenzia”, edito da GOG. Il libro è un’ottima occasione per porsi nuovi spunti di riflessione e per intensificare la conoscenza del pensiero critico di Jan Waclaw Machajski, anche con il fine di avere un quadro approfondito della situazione sociale in Russia all’alba del ventesimo secolo.