Succede spesso, con i nomi più famosi della storia dell’arte, di cadere in un’apparente contraddizione: sapere e non sapere al tempo stesso. Tale contraddizione è solo illusoria poiché il suo paradosso è presto risolto. Tutti crediamo di conoscere l’artista perché ne abbiamo sentito il nome, visto qualche opera più rappresentativa, e sapremmo forse anche inserirlo in un periodo storico o in una corrente artistica e filosofica. Ma quanto davvero sapremmo parlare della sua opera, del contesto storico in cui è vissuto, e quindi delle fonti d’ispirazione alle quali ha attinto per la sua arte?
Come per molti, il discorso può valere anche per Tamara de Lempicka, un nome certamente noto con una storia, forse meno nota, tanto travagliata e intensa che vale la pena di raccontare. Un’artista nella professione e nella vita, persona eccentrica che, nella sfortuna e nelle difficoltà, ha saputo sgomitare in un ambiente ostile con l’aggressività e la risolutezza di una moderna self-made woman, quale è stata, ma in un periodo in cui esserlo comportava maggiori rischi e sacrifici.
La storia di Tamara de Lempicka è raccontata nella graphic novel Tamara ai margini, pubblicata dalla Global Thinking Foundation. La fondazione, che si occupa tra le altre cose di sensibilizzare le donne sul tema dell’indipendenza economica, presenta Tamara de Lempicka come esempio di donna forte, autonoma, in perenne lotta con il mondo circostante e, in un modo o nell’altro, sempre vincitrice.
Vivere nella discriminazione
La vita di Tamara de Lempicka è stata difficile fin dall’infanzia. Nasce da madre polacca e padre russo ebreo, il quale, a seconda della versione a cui vogliamo affidarci, abbandona la famiglia o si suicida quando Tamara era una solo una bambina. Da allora, Tamara, la madre e i suoi fratelli sopravvivono grazie alle finanze del casato materno.
Quando Tamara ha nove anni, inizia a emergere il suo interesse per l’arte e il suo talento per la pittura, durante i viaggi che la piccola avventuriera intraprende insieme alla nonna materna. Le due girano per l’Italia e la Francia, dove Tamara acquisisce le prime basi della pittura.
Morta la nonna, Tamara si reca diverse volte a San Pietroburgo, dove incontra quello che sembra essere l’uomo della sua vita: l’avvocato aristocratico Tadeusz Lempicki, da cui avrà una bambina. È però costretta a trasferirsi a Parigi dopo che Tadeusz viene prelevato in casa dai bolscevichi e rimane in carcere per sei mesi. A Parigi inizia una nuova vita. E, tra quanto di buono semina e raccoglie, inizia il suo tormento.
Tamara diventa una figura di spicco dell’Art Déco. Si perde nel lusso, inizia ad amare e ostentare la sua ricchezza, i gioielli, tutto ciò che raffigura nelle sue opere, insieme ai volti e ai corpi dei rappresentanti dell’alta borghesia. Presto i benpensanti del tempo non si contengono dal commentare come la donna condivida, con tali rappresentanti, vizi e momenti intimi. Tamara si scopre ben presto bisessuale, un dettaglio che, insieme all’iperattività nel lavoro che la obbliga a trascurare la famiglia, la porta al divorzio.

La Global Thinking Foundation è tra le fondazioni più attive nel promuovere e organizzare eventi nell’alfabetizzazione finanziaria delle donne. Per chi non la conoscesse, ricordiamo che c’è sul sito l’intervista a Claudia Segre, presidente e fondatrice (https://www.2duerighe.com/cultura/157511-intervista-a-libere-di-vivere.html).
La graphic novel pubblicata dalla fondazione ripercorre tutta la vita dell’artista, evidenziandone gli aspetti più burrascosi, che certo non sono un ago in un pagliaio. Tamara de Lempicka è un personaggio emblematico a più livelli, poiché racchiude, nella sua persona, più categorie discriminate, o almeno controverse, contemporaneamente. È stata una donna forte e indipendente per necessità, ebrea ai tempi del Nazismo (dal quale è fuggita) e bisessuale, e la sua storia le ha fatto pesare ognuna di queste appartenenze senza farle sconti. L’energia e la determinazione che ha saputo tirar fuori per essere semplicemente se stessa, e vivere di ciò che maggiormente la rappresentava, la sua arte, sono un messaggio potente a tutti coloro che si sentono schiacciati, dipendenti affettivamente o economicamente da altri e impossibilitati a vivere la propria vita sulle proprie gambe a causa di una società che li inibisce e limita. Ma c’è anche un altro insegnamento che possiamo trarre da questa straordinaria artista: la libertà ha un costo, e per essere se stessi bisogna essere pronti a sacrificare tutto ciò che non si è. E in una società che stabilisce che cosa si debba essere, questo a volte è tremendamente doloroso.
Tamara de Lempicka è un buon modello femminista?
Tamara ai margini è il titolo della graphic novel auto-pubblicata dalla fondazione. Ma ai margini di che cosa? Forse dei critici d’arte, i quali l’hanno riscoperta negli ultimi anni della sua vita? O della società, che l’ha vista ricoprire sempre ruoli controversi e di rottura con il mondo circostante?
Tamara è stata una donna forte, capace di emanciparsi in un mondo fatto e pensato per gli uomini. Probabilmente la sua determinazione, la sua testardaggine, nel fare sempre ciò che voleva a modo suo, è forse emersa dalla sua condizione da bambina, dalla perdita prematura del padre e dall’intraprendenza della nonna, che l’ha introdotta nel mondo dei grandi mostrandole ciò che poteva fare per affermarsi.
Rappresentando un’idea di donna forte, vale la pensa chiedersi se Tamara de Lempicka sia un buon modello femminista. Il femminismo, del resto, si batte per l’emancipazione della donna, la sua indipendenza e la sua libertà di scegliere per se stessa. Da questo punto di vista, de Lempicka è molto rappresentativa di un simile modello: è indipendente, decisa ad autodeterminarsi e ha scelto tutta la vita per se stessa, anche a costo di andare contro modelli dominanti opposti.
Tuttavia, il femminismo nasce come movimento a fianco delle donne perché nel periodo del suo sviluppo le donne rappresentavano la categoria più debole da risollevare, non a scopo di dominanza, quanto per riequilibrare i rapporti tra i due generi.
Quando si parla di autodeterminazione e indipendenza, si fa riferimento a diritti e possibilità di cui qualunque essere umano dovrebbe disporre, non di libertà solo per alcuni che, una volta guadagnate, invadano il campo altrui rendendosi irraggiungibili per la categoria affianco. Da questo punto di vista, possiamo analizzare più a fondo la figura di Tamara de Lempicka e notare come la sua libertà sia combaciata con la sottrazione della stessa al marito, uomo invero poco risoluto e incapace di imporsi nel mondo del lavoro, che l’ha sposata per interesse economico, subendo però sulla sua pelle la voglia di indipendenza di una moglie sempre assente, dedita al lavoro e mai alla famiglia. Dovrebbero risuonarci echi familiari di una condizione ben conosciuta: l’assegnazione di precisi ruoli di genere, che però in questo caso sono semplicemente ribaltati: la donna “fa l’uomo”, e l’uomo “fa la donna” (virgolette quanto mai necessarie). Se nell’idea femminista c’è il raggiungimento della parità tra uomo e donna, non è invertendo i ruoli che questa trova la sua applicazione.
Tamara de Lempicka è sicuramente un esempio di determinazione e di forza, ma il prezzo della sua indipendenza è l’adesione a un modello maschilista nel quale lei gioca la parte dell’uomo, e che risulta sostenibile solo se dall’altra parte c’è la donna (che nel suo caso era giocata dal marito). Il problema di questo modello è che non è sostenibile senza l’inversione dei ruoli, e tale inversione non è ciò che il femminismo vorrebbe propiziare. L’esperienza del tutto personale di de Lempicka non può quindi illuminare la via verso una visione di società paritaria ma dimostra altresì come le donne, così come gli uomini, dispongano della forza necessaria all’emancipazione, e che è giusto garantire loro gli stessi strumenti affinché, con la dovuta informazione e una adeguata istruzione, si possa parlare di donne indipendenti e autodeterminate, e non di individui succubi di altri e incapaci di reagire a una condizione di subalternità.