Questo articolo inizia con due disclaimer.
Innanzitutto mi voglio scusare in anticipo per i toni di superiorità riguardante i videogiochi rispetto ad altri medium e forme d’intrattenimento: questo articolo non vuole essere un “i videogiochi sono meglio”, vuole far evidenziare un aspetto che i videogiochi riescono a compiere proprio grazie alla loro unica natura interattiva.
Inoltre, in questo scritto saranno presenti forti spoiler su Expedition 33 e The Last of Us 2, detto ciò, possiamo cominciare.
I videogiochi non si giocano da soli. A differenza degli altri media come film o musica che possono essere riprodotti interamente senza la presenza di un fruitore attivo (talvolta infatti vengono usati come semplice sottofondo), un videogioco non può esistere interamente senza un giocatore: rimane incompleto, immobile. La differenza tra la passività di medium come musica e video e l’attività dei videogiochi (in alcuni studi si parla di media lean-back e lean-forward in relazione al tipo di postura fisica e mentale che si adotta durante la fruizione) sta nella natura interattiva di quest’ultimi: se si vuole fruire di un videogioco bisogna giocarlo, non c’è altra possibilità di esplorarlo se non interagendo con esso.
L’interattività dei videogiochi è ciò che li rende unici rispetto ad altri tipi di contenuti: è il motivo per cui ci portano ad altissimi stati di concentrazione, perché possono essere sfruttati come strumenti di apprendimento e di cura ed è anche il motivo per cui creano più dipendenza (se mal utilizzati) rispetto ad altri tipi di attività.Ma il punto di forza, rispetto agli altri medium, è la capacità dei videogiochi di farci provare emozioni: divertimento, tristezza, paura, sono tutti stati d’animo che nei film vengono rappresentati, nei videogiochi si vivono. Il terrore di essere braccati da un mostro in un gioco horror o l’entusiasmo condiviso con i propri amici per aver completato un difficile obiettivo sono una conseguenza delle azioni compiute da noi giocatori.
La capacità di generare questa “immersività emotiva” colloca i videogiochi in una condizione unica: quella di poter trasmettere emozioni e stati d’animo complessi, come il lutto, o di far vivere esperienze difficili da descrivere, come le malattie mentali o, più semplicemente, la vecchiaia.
Lutti paralleli
Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco che parla di lutto. La trama gira intorno alla morte di Verso, un membro della famiglia Dessendre, e alle conseguenze di questo evento, in particolare alle azioni della madre. Aline, sfruttando i poteri di famiglia, dipinge e si rifugia in un mondo in cui Verso è ancora vivo… Non ha accettato la sua morte.

Fonte immagine: 2duerighe.com
Il protagonista di Expedition 33 muore nemmeno a metà del gioco. Fin dai primi momenti Gustave viene presentato e utilizzato come protagonista dell’esperienza: il mondo e i personaggi vengono visti e presentati attraverso i suoi occhi e le sue interazioni, le basi meccaniche e tutti i tutorial iniziali vengono giocati tramite lui. Gustave è la base e il punto focale dell’esperienza, e muore come un personaggio qualsiasi venendo immediatamente sostituito da Verso. Perdere Gustave è traumatizzante, sia da un punto di vista di trama (non è normale perdere il protagonista così presto e così inutilmente) che dal punto di vista meccanico: trovarsi dopo 10 ore con il protagonista morto e un rimpiazzo presentato in quattro e quattr’otto è strano, ma è un chiaro segno, la perdita è definitiva. Verso eredita tutti i punti esperienza e le armi di Gustave, ma è un altro personaggio: le meccaniche sono nuove e da rimparare, bisogna ricominciare da zero e il giocatore deve accettare che uno dei personaggi usati finora, forse il preferito o il più forte, non ci sia più, che lo voglia o meno.
Expedition 33 sfrutta l’interattività del videogioco per mettere il giocatore in una situazione simile a quella dei personaggi dentro allo schermo (o al dipinto…), quale modo migliore per empatizzare con un personaggio in lutto se non accompagnandolo nello stesso viaggio? Maelle non accetta la morte di Gustave: innanzitutto tiene le distanze con Verso (io stesso ho deciso di non utilizzarlo perchè lo vedevo come un mero sostituto, un contentino per alleviare il trauma della morte del vecchio protagonista, quasi fosse un gelato regalatomi dopo il funerale di una persona cara) e una volta scoperta la propria vera identità vuole utilizzare i suoi poteri per continuare a vivere nel mondo dipinto.
Fonte immagine: 2duerighe.com
La fine di Clair Obscur chiede al giocatore di “scegliere il destino della tela” e le opzioni sono quella di combattere come Verso o come Maelle. La fine di Maelle, riconosciuta come “la peggiore” porta ad un ridisegno della tela secondo la volontà della ragazzina, riportando in vita Gustave e creando il classico e vissero tutti felici e contenti… Ma mai accettando ciò che realmente è successo. La fine di Verso è quella che rappresenta il completamento delle fasi del lutto: la famiglia Dessendre accetta la morte di Verso, ma anche il giocatore che, scegliendo questa fine, accetta la morte di Gustave e che tutti i personaggi incontrati nella tela (e quindi durante il gioco) non sono mai stati reali… Si potrebbe dire che ha accettato la fine di Clair Obscur e della sua storia.
La ciclicità della vendetta
The Last of Us 2 racconta del viaggio di Ellie per vendicare l’uccisione di Joel. La struttura del gioco ricalca la classica revenge story enfatizzando l’inutilità della vendetta e della crudeltà che la violenza genera.
Dopo il tragico evento Ellie, ormai 19enne, si imbarca in un viaggio per trovare ed uccidere Abby, la killer di quello che negli anni è diventato il suo padre adottivo. Nel secondo capitolo della saga un personaggio che noi abbiamo imparato a conoscere come una ragazzina qualunque abituata ad usare la violenza come mezzo di sopravvivenza, si trasforma in una killer spietata con un unico obiettivo: la vendetta. Il viaggio di Ellie inizia in compagnia di Dina, la sua compagna, e Jesse, due personaggi che fin da subito sembrano fuori posto: tra i 3 c’è sicuramente un forte legame, ma sembra essere incompleto, quasi unilaterale. I due compagni inizialmente seguono e sostengono le scelte di Ellie (e ciò si traduce in sezioni di gameplay molto simili al gioco precedente, in cui il giocatore è aiutato sia nell’esplorazione che nei combattimenti da altri personaggi), ma poco dopo si rendono conto dell’assurdità della situazione: Ellie è completamente accecata dall’odio e vuole portare a termine la sua vendetta a tutti i costi, al punto da non farsi scrupoli ad abbandonarli quando diventano un peso. Inoltre il drastico declino Ellie è visibile dall’estrema violenza usata contro i suoi nemici: frasi di scherno e odio vengono continuamente lanciate verso chiunque si opponga a lei, anche quando si trova davanti a uomini e donne, ormai sconfitti, che chiedono pietà.
Fonte immagine: 2duerighe.com
Ma oltre a mostrare una violenza cruda ed esagerata, The Last of Us 2 fa una cosa geniale: mette il giocatore anche nei panni di ciò che all’inizio viene presentata come l’antagonista. Col procedere della trama scopriamo che il motivo per cui Abby ha cercato e ucciso Joel è lo stesso per cui Ellie si è messa in viaggio: alla fine del primo capitolo Joel uccide un medico incaricato di estrarre da Ellie il vaccino contro l’infezione, il padre di Abby. Ma ciò non viene solamente raccontato, il giocatore prende controllo di Abby e vive la sua storia. Da quello che era un antagonista diventa non solo un personaggio giocante, ma una co-protagonista con un esteso tempo di gioco (TLoU 2 dura sulle 30 ore, 17 ore sono occupate utilizzando Ellie e 12 Abby, quasi lo stesso playtime) e sviluppo sia meccanico che di trama.
Fonte immagine: 2duerighe.com
Questa dicotomia, presente sia nella trama che nel gameplay, porta il giocatore ad avere una visione chiara e completa della situazione. Per dirla con un modo di dire, il giocatore ‘ha sentito entrambe le campane’. Ed è praticamente impossibile stabilire chi delle due abbia ragione: da una parte empatizziamo di più con Ellie, perché anche a noi Joel è stato portato via; dall’altra, però, la situazione di Abby è praticamente la stessa.
Il messaggio di The Last of Us Part II è chiaro: la violenza genera solo altra violenza e l’unica scelta giusta è interrompere il ciclo. Ma invece di limitarsi a dirlo o mostrarlo, il gioco inserisce direttamente il giocatore nell’equazione: gli chiede di aiutare Ellie a portare avanti la sua crociata, pur sapendo quali saranno le conseguenze se dovesse riuscire nel suo intento.
Vivere il corpo di altri
Come detto fin’ora l’interattività porta il giocatore ad interagire in prima persona con condizioni molto lontane dalla propria realtà. Questo aspetto dei videogiochi oltre a far vivere situazioni estreme e complesse come una cieca vendetta o un lutto familiare può far immergere il giocatore in stati fisici e mentali lontani dalla propria quotidianità, difficili da spiegare se non vivendoli.L’esempio più famoso lo si può trovare in Hellblade: Senua’s Sacrifice, dove il giocatore prende il controllo di Senua, una giovane guerriera vichinga affetta da psicosi. Durante le 7 ore di gameplay necessarie a portare l’esperienza a termine, Hellblade porta il giocatore all’interno della testa di una persona affetta da psicosi (il team Ninja Theory ha lavorato a stretto contatto sia con psicologi e con pazienti affetti dalla malattia per cercare di ricreare al meglio questa tragica condizione) bombardandolo continuamente di voci che provengono da tutte le direzioni. Come per una persona affetta da questo tipo di condizione, le voci costantemente scherniscono, incitano, mentono e aiutano il giocatore. Giocare a Hellblade è estenuante e, talvolta, frustrante, io stesso mi sono stupito della stanchezza provata dopo alcune sessioni di gioco e mi sono sentito abbastanza stupido e arrabbiato quando mi fidavo di indicazioni rivelatesi false.
Fonte immagine: 2duerighe.com
Un altro esempio lo si può trovare in The Graveyard, una piccola esperienza videoludica nata dalle mani di Tale of Tales, un piccolo studio di sviluppo belga. In questa esperienza da pochi minuti si prende il controllo di un’anonima anziana signora che deve semplicemente camminare attraverso il cortile di un cimitero, sedersi su una panchina e tornare indietro. “Giocare” a The Graveyard è noioso, poco interessante e inutile, ma è questo il punto: ricalca la vita di alcuni anziani. L’andatura traballante, la solitudine data dai distanti rumori della città, i colori poco saturi e l’inutilità di sedersi su una panchina a ricordare il passato sono aspetti della terza età riconosciuti da tutti, ma compresi da davvero pochi, sono situazioni comprese solamente da chi le vive.
Fonte: 2duerighe.com
Questi sono alcuni esempi di esperienze videoludiche che sfruttano l’interattività per trasmettere nozioni ed emozioni al giocatore. La natura interattiva dei videogiochi porta gli utilizzatori a diretto contatto con i temi trattati nello schermo, e non come meri osservatori esterni. Giocare un videogioco vuol dire viverlo, entrarci dentro, interagirci e questo aspetto colloca il medium videoludico in un posizione molto particolare per quanto riguarda la divulgazione di temi e situazioni complesse.
Se vuoi discutere con noi su questo o tantissimi altri argomenti ti invitiamo a passare sul nostro canale Discord!