L’Unione Europea ha deciso di investire nel settore dei videogiochi, con l’obiettivo di ottenere un esponenziale aumento del numero dei videogiochi prodotti nel continente europeo. Quanto il videogioco rappresenta un significativo strumento di diffusione culturale?
Tra tutti i mezzi di comunicazione e di consumo, i videogiochi sono, oltre che il più giovane, anche il più fiorente in termini di mercato. L’industria videoludica ha conosciuto negli anni uno sviluppo che l’ha portata a dominare il mercato dell’intrattenimento, nonché a una crescita qualitativa dei prodotti che ne ha ridimensionato l’opinione anche tra i più scettici o disinformati. Ad oggi, il videogioco è di fatto una forma d’arte a tutti gli effetti, meritevole di paladini che combattano per la sua causa.
La diffusione e la sempre più alta richiesta, da parte di un pubblico affezionato man mano più vasto, hanno condotto persino alcuni vertici governativi a ragionare sulle potenzialità di una forma di comunicazione così forte e permeante all’interno della società, tanto che Stati come la Polonia e la Germania hanno investito nel settore e sono oggi i maggiori colossi dell’industria di videogiochi in Europa; un’industria che, come la Hollywood americana, è diffonditrice di messaggi, idee, cultura, e che come tale può essere sfruttata.
Videogiochi: da bambini ad adulti
Sul finire degli anni ’90, per un bambino, giocare ai videogiochi era una conquista, un premio che meritava al termine della giornata scolastica. Chi, in quegli anni, non ricorda i pomeriggi passati con gli amici a combattere su Tekken, o a sfidarsi ad una partita di calcio su Winning Eleven? Chi non ricorda le lamentele delle mamme quando i figli passavano troppo tempo davanti allo schermo? È qui che, ahimè, le mamme, o chi per loro, ancora non prefiguravano il potenziale dei videogiochi, e ciò che sarebbero diventati, poiché li vedevano come un passatempo, se non una perdita di tempo, infantile e tipica di bambini poco socievoli.
Eppure l’arte, perché di arte si parla, necessita di tempo per essere compresa. I videogiochi sono giovani e, come tutti i giovani, ha bisogno di stabilizzarsi e guadagnarsi la rilevanza culturale di cui media più consolidati come il cinema e, soprattutto, la letteratura, già godono. A tal proposito, c’è da dire che i videogiochi sono una forma d’arte peculiare, in quanto inglobano a sé altre forme d’arte attraverso cui, a volte, rivendicano la propria artisticità. All’interno di un gioco convivono infatti narrativa, cinematografia e arti grafiche in generale (modellazione di personaggi, oggetti e ambienti), in un connubio di elementi finalizzati alla realizzazione di un’opera ludica simile a un rompicapo o a un gioco di intelletto e abilità. Anche per questo, i videogiochi possono essere un utile strumento educativo, poiché consentono agli studenti di tutte le età di scoprire i mondi creati dal game designer interagendo attivamente, eventualmente guidati dall’insegnante.
I videogiochi possono anche essere un mezzo innovativo per raccontare la storia e il nostro patrimonio culturale, seppur in una forma romanzata e con gli opportuni compromessi legati a necessità di gameplay. Un esempio virtuoso, in tal senso, è il caso di Assassin’s Creed, saga in cui un gruppo di ricercatori, attraverso una tecnologia futuristica, impersona un individuo del passato attraverso diverse epoche storiche, in ambientazioni ricreate fedelmente e con grande cura per i dettagli. Un episodio curioso vuole che per la ricostruzione della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, dopo il tragico incendio del 2019, ci si sia serviti della stessa cattedrale riprodotta da Ubisoft in Assassin’s Creed Unity.

L’inclusività nei videogiochi
A fronte della grande diffusione e popolarità dei videogiochi, con il tempo si è presentato il problema dell’inclusività, che rendesse il prodotto usufruibile per il maggior numero di persone possibile. Finché si trattava di un prodotto di nicchia, un gioco proponeva la sua sfida per chi era intenzionato ad accoglierla, generalmente tra il suo pubblico di affezionati. Con il boom dei videogiocatori occasionali, propiziata anche da Nintendo Wii nel 2006, che ha portato intere famiglie davanti allo schermo con un controller in mano, adattare l’esperienza di gioco al giocatore è diventato uno degli argomenti del dibattito videoludico.
Come rendere un gioco più accessibile e inclusivo? Possiamo osservare tale fenomeno in tre aspetti del prodotto videoludico: l’accessibilità interna, le tematiche e l’inclusione nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda l’accessibilità interna, si parte dal livello di difficoltà del gioco, che in molti casi è selezionabile (ma questo avveniva già da prima) o calibrabile nei più dettagliati aspetti. Inoltre, diversi giochi propongono, tra le opzioni, modalità per daltonici, sottotitoli ingrandibili, interfacce personalizzabili in base alle esigenze personali del giocatore.
Dal punto di vista delle tematiche, l’inclusività riguarda soprattutto il coinvolgimento di personaggi rappresentativi di minoranze varie, con conseguente polarizzazione del pubblico, tra i sostenitori del politically correct e quelli della libertà d’espressione incondizionata, un fenomeno simile a quello che si sta spesso presentando, negli ultimi tempi, nel mondo del cinema. Emblematico è il caso di The Last of Us Parte II, opera dal grande valore produttivo ma in parte stroncata da un pubblico che non ha gradito la componente omosessuale (nonché altre scelte di trama), considerata forzata e pretestuosa. Dall’altra parte, la risposta è stata che tale componente è solo accessoria e non centrale nell’opera, pertanto inserita con naturalezza come normale espressione di una delle tante possibili manifestazioni umane.
Per ciò che concerne l’inclusione nel mondo del lavoro, si parla di coloro che lavorano all’interno dei team di sviluppo, con un occhio verso le minoranze. L’associazione Women in Games sensibilizza le donne circa la possibilità di lavorare nel settore videogiochi, che al momento vede solo il 20% di impiegate di sesso femminile, a fronte del quasi 50% di giocatrici. Un altro esempio è di nuovo Assassin’s Creed, in testa al quale campeggia un disclaimer che tiene a specificare come l’opera sia frutto di un team multiculturale formato da persone di religioni, orientamento sessuale e identità di genere differenti, una precisa politica di inclusione sociale che esula dai contenuti del gioco.
In termini di impatto sulla popolazione, da un punto di vista comunicativo, i videogiochi si stanno ritagliando uno spazio sempre più grande. Il giocatore bambino è diventato grande, non ha mai smesso di giocare perché i videogiochi sono cresciuti con lui e, al pari del cinema, oggi non hanno età. L’investimento nel settore è quindi un investimento nell’arte e nella cultura, di cui il videogioco deve parlare il linguaggio e rappresentare i valori. In Italia, la percentuale di videogiocatori è la stessa ma gli investimenti sono pressoché insignificanti, ragion per cui dovremmo guardare l’esempio di Paesi che prima di noi hanno capito il potenziale di questo medium neanche più così giovane e imponente.