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Casa in paglia e Food Forest: l’intervista ai costruttori de La Percia

Buongiorno e grazie per avermi accolto nel vostro cantiere. Parlatemi di voi, di cosa vi occupavate prima del trasferimento e cosa vi ha spinto a cambiare vita?

VALENTINA: Io sono laureata in storia e lavoravo come educatrice professionale in un asilo nido, mentre Massimiliano era impiegato presso un’agenzia di comunicazione. A Napoli avevamo lavoro, una casa comoda e carina in cui pagavamo un affitto esiguo, tanti amici, lo yoga, le uscite. La nostra scelta non parte dal rifiuto, bensì dall’esigenza di fare un passo in avanti nel prenderci cura di noi stessi e di ciò che ci circonda. Ci piace sentirci attori del nostro tempo e il nostro lavoro ci obbligava a routine dannose. La voglia di produrre da soli il nostro cibo e costruire la nostra casa ci ha indotto a scappare via dalla città dove è più difficile ritagliarsi degli spazi propri.

Quali sono stati i primi passi verso il cambiamento?

MASSIMILIANO: Inizialmente abbiamo visitato diversi Eco villaggi in cerca di un terreno che fosse in vendita. L’esperienza come volontari in un cantiere a Rimini è stata determinante poiché abbiamo studiato, fatto pratica e valutato l’opzione dell’autocostruzione per il nostro futuro. È stato utile entrare in una casa finita e toccare con mano i vantaggi di un edificio in paglia in termini di umidità e temperature. Era febbraio e c’erano quattro gradi fuori. Lì ci convincemmo che non era solo una leggenda. Quindi abbiamo comprato il terreno a Pastena nel 2018, nel 2019 abbiamo realizzato il primo impianto di Food Forest e io sono venuto a vivere qui. Valentina mi ha raggiunto a febbraio 2020 e a maggio 2021 abbiamo iniziato la costruzione.

Com’è concepita la struttura del vostro edificio in paglia?

VALENTINA: La casa si estende su 145 metri quadrati ed è divisa in tre sezioni: la nostra futura casa, una stanza che sarà il laboratorio dell’azienda agricola, e una sezione per il B&B. È stata progettata seguendo due tecniche: l’americana e la classica. Nel muro è presente un doppio telaio in legno all’interno del quale si fanno scorrere delle comuni balle in paglia, maggiormente pressate per eliminare l’ossigeno, ricoperte da uno strato di 7 centimetri di malta alleggerita – detta GREB – più l’intonaco di calce e terra, per un totale di 15 centimetri di muratura. È una casa passiva a minima tecnologia in cui la passività è data da materiali aventi funzioni opposte: la paglia protegge dal freddo e la terra costituisce massa termica per isolare dal caldo. Ciò che accade è che l’irraggiamento del sole riempie il muro di calore, il quale viene rilasciato solo quando la temperatura interna è inferiore all’esterna e viceversa. L’esposizione stessa della casa è stata pensata per sfruttare tutta la stagionalità.

Quali sono i punti di riferimento per chi voglia costruire una casa in paglia in Italia?

VALENTINA: Attualmente ci sono delle associazioni che si occupano da trent’anni di case in paglia: Edilpaglia ha importato dalla Francia questa specifica tecnica e uno dei fondatori, Stefano Mattei, ci ha aiutato dall’inizio sia nella teoria dell’autocostruzione che nella pratica. Un’altra associazione si chiama A.R.I.A. Familiare ed ha come obiettivo rendere legale l’autocostruzione amicale, poiché in Italia ci troviamo di fronte ad un enorme vuoto normativo: si può costruire casa propria ma non è legiferato come si possa costruire tramite l’aiuto di volontari. A.R.I.A. Familiare ha dato un quadro normativo a quest’attività ed è il quadro entro cui noi ci muoviamo. Inoltre, ad esempio Toscana ed Emilia-Romagna hanno dei regolamenti regionali che invece nel Lazio mancano.

Prima avete introdotto il concetto di Food Forest. Cos’è la Permacultura e come può migliorare la qualità della vita delle persone?

VALENTINA: La Permacultura è un sistema di progettazione degli ecosistemi stabili a cui l’uomo cerca di partecipare con interventi discreti e rispettosi degli equilibri e delle forze. Le tre etiche sono: rispetta la natura, condividi il surplus e prenditi cura. Quella urbana può essere la chiave anche per chi abita in città per riprogettarsi. Molti stanno recuperando gli spazi verdi riqualificandoli, spazi di socializzazione, di comunità, progettando il proprio tempo per evitare di entrare nel circolo vizioso di lavoro-palestra-shopping. Un concetto fondamentale della permacultura è il modello ecosistemico che noi cerchiamo di adottare in ogni ambito dell’esistenza: ovvero che da soli non contiamo assolutamente nulla, ma inseriti in un contesto armonico e sfruttando le connessioni benefiche si può creare un ambiente positivo per noi stessi e per chi ci circonda.

La Percia è quindi permeata di questi princìpi. Si può dire che il sistema agricolo e la casa siano interdipendenti?

VALENTINA: Nel nostro progetto la casa è integrata al sistema agricolo che è integrato all’allevamento di animali. L’acqua piovana, raccolta e utilizzata in casa, passa attraverso laghetti esterni dove radici di diverse piante acquatiche ne metabolizzano i patogeni, rendendo l’acqua fitodepurata e preziosa per le Food Forest. Avremo quindi una vasca a flusso orizzontale con pendenza calcolata, ovvero acqua in micromovimento, e le vasche a flusso libero. Lo specchio d’acqua contribuisce anche a generare un microclima più mite e ad attutire i suoni provenienti dalla strada e dall’ambiente, creando un’atmosfera ovattata e rilassata. Abbiamo pensato poi a strutturare una serie di canali che permetteranno all’acqua di defluire, di non andare verso la casa e non ristagnare nelle coltivazioni, in vista dell’attuale cambiamento climatico che porterà con sé mesi di siccità e grandi quantitativi d’acqua improvvisi.

Come funziona una Food Forest?

MASSIMILIANO: Food Forest significa letteralmente bosco commestibile e nostro caso si tratta di una zona agricola di 4000 metri quadrati comprendente un frutteto misto, una costellazione di piante aromatiche, altre come rovi di more, e orticoli. All’interno di questa coltivazione mista abbiamo anche alberi che non sono destinati al nostro fabbisogno diretto, come le querce; secondo il modello offerto dalla natura, infatti, più interazione equivale a più salute per il bosco. Un mito che va assolutamente sfatato è che le piante si rubino il cibo. In queste aree relativamente piccole miriamo ad avere una grande produzione in termini di raccolto ma anche di biomassa, in un contesto di rigenerazione del suolo. Quest’anno abbiamo cominciato a raccogliere molti frutti e le piante hanno sempre meno bisogno del nostro intervento.

In che modo l’agricoltura rigenerativa può contrastare la desertificazione del suolo?

MASSIMILIANO: Negli ultimi cento anni abbiamo assistito ad un tipo di agricoltura che ha tre macro-problemi: la lavorazione della terra, la fertilizzazione delle piante e, conseguenza inevitabile, la necessaria protezione dai patogeni. Queste pratiche impoveriscono i sistemi agricoli: nel pianeta stiamo perdendo quantitativi di suolo fertile non solo perché cementifichiamo ma anche perché coltiviamo male. Oggi anche nell’agricoltura convenzionale si inizia a parlare di minime lavorazioni del suolo, di sovesci piuttosto che fertilizzazioni. L’agricoltura rigenerativa è sostenibile per noi, perché abbassa le ore di lavoro, in quanto le piante sviluppano le capacità di proteggersi dai patogeni, di intercettare i nutrienti all’interno del suolo e così via; ed è sostenibile per l’ecosistema perché non prevede l’uso di macchine. Inoltre, i boschi sarebbero perenni anche se l’uomo scomparisse.

Come può l’aratura profonda danneggiare il terreno?

MASSIMILIANO: Una cosa che oggi sappiamo è che il suolo non vuole stare a contatto col sole e con l’ossigeno perché ciò devasta la microbiologia della terra. Noi cerchiamo di rispettare questi princìpi che sono indiscussi nella comunità scientifica. Il modello di coltivazione con trattori, donati dalla Seconda guerra mondiale, quindi dalla conversione agricola di macchine militari, prevede un tipo di aratura che spacca il complesso argilla-umico del suolo; questo complesso slegandosi libera ioni e cattura facilmente i nutrienti accelerando le coltivazioni a costo di impoverire il terreno. Al contrario la pacciamatura garantisce umidità e la temperatura ottimale per batteri, microrganismi, funghi che vanno a creare simbiosi con la pianta donandole il nutrimento adatto. Come in qualsiasi bosco l’interazione fra piante diverse avviene nel sottosuolo. Ma se la terra viene rivoltata e si espone all’aria questa fitta rete di scambi, il bosco non dura. Non muovendolo ma seminando su sodo, piantando sulle aiuole, permettiamo a quest’ambiente di crescere e proliferare.

Da cosa nasce il nome “Percia”?

MASSIMILIANO: Abbiamo creato questo nome ispirati dalla presenza di un albero particolare qui nel nostro terreno: si tratta di un pero innestato naturalmente da una quercia. Un giorno, camminando davanti l’enorme tronco di colei che pensavamo essere una quercia, abbiamo trovato delle pere a terra. In primavera la vista è incredibile perché troviamo da una parte la quercia spoglia, dato che le sue foglie germogliano molto tardi, mentre l’altra parte è ricoperta da fiori bianchi di pero.

La Percia da allora è diventato il nostro albero totem.

Siete il primo esempio di una struttura autocostruita da zero nel Lazio. Avete mai avuto paura di sbagliare?

MASSIMILIANO: Le fondazioni e gli impianti sono le uniche cose che abbiamo scelto di far fare a una ditta. Ma c’è da dire che l’autocostruzione non è necessariamente in questo modo: si può pensare di far fare la struttura e poi subentrare da soli per la coibentazione e gli intonaci o arrivare solo agli intonaci. Dipende dalle forze che possono mettere in campo i costruttori e dalla rete che hanno sviluppato. Una cosa da specificare è che senza l’aiuto dei volontari sarebbe stato impossibile. Il fare insieme, la rete di persone e volontari, ci ha insegnato che non esiste delega per risolvere i problemi e soprattutto quanto l’errore sia fondamentale. Esso ci induce a sovvertire le abitudini, gli automatismi, le convinzioni stantie che non ci permettono di crescere. Visto comunemente come un momento di umiliazione, di fallimento, noi lo capovolgiamo e ne ricaviamo le chiavi per andare avanti. Se valorizzato, l’errore può aprire strade nuove, se invece si è ossessionati solo dal risultato si può essere travolti dall’ansia di non riuscire.

Com’è stata fino ad ora l’esperienza con i volontari e come pianificate il lavoro?

VALENTINA: Abbiamo avuto la base forte di dieci/quindici persone, tra cui costruttori, ingegneri, architetti che in qualità di professionisti volontari ci hanno guidato nei passi fondamentali. E poi almeno 100/150 persone che sono passate in cantiere. Le prime settimane con Stefano Mattei sono state di corso: lui ci spiegava cosa andasse fatto durante la giornata e, nel caso in cui fosse qualcosa di nuovo, in pochi minuti ci mostrava la tecnica per eseguire il lavoro. Successivamente ognuno si dedicava spontaneamente al proprio settore rendendo l’attività funzionale per tutti. Questo approccio si è rivelato vincente e una cura per ritrovare sicurezza nelle proprie capacità. Nei mesi abbiamo quindi acquisito questa impostazione e l’abbiamo riproposta a tutti.

La vostra impresa potrebbe essere definita titanica, vi considerate un modello per gli altri?

MASSIMILIANO: Possiamo dire di aver dimostrato coraggio nell’intraprendere questo tipo di strada, ma il vero coraggio è credere che le cose possano andare diversamente da come sono sempre state. Ciò che mi piace sottolineare è che la nostra è solo una delle mille strade che si può percorrere per il cambiamento. Noi non siamo un modello, l’attitudine a credere che possa essere fatto qualcosa di diverso è un modello. Certamente la forza dei volontari che ci hanno aiutato a costruire nel loro tempo libero, contribuisce a sfatare l’immagine egoista, individualista che ci vogliono dipingere della società. Le persone imparano molto in fretta e sono felici di aiutare se trovano alla base un motivo eticamente giusto, se si crea l’occasione per condividere e socializzare.

Sito web: http://www.lapercia.it/

Pagina Instagram: @permacultura.lapercia 

Pagina Facebook: La Percia – permacultura in Ciociaria

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