2duerighe

“Tutte le guerre di Putin”: il cammino del Cremlino all’ombra di Ares

Nella Piazza Rossa sfilano in parata le creature d’acciaio forgiate nel fuoco del complesso militare-industriale russo, dal nuovo carrarmato T-14 Armata ai semoventi di supporto BMPT Terminator con lancia missili. È la giornata della Vittoria, il giorno in cui il Cremlino celebra il sacrificio di sangue di 27 milioni di sovietici in quella che è stata denominata la Grande Guerra Patriottica contro il Terzo Reich.

Ares è dio esiziale, dall’ambiguità distruttiva. Divinità del furore bellico è contraltare sottoposto alla intelligenza guerriera di Atena. “Fazioso incostante, e a me fra tutti i Celesti odioso” lo apostrofa Zeus nel canto dell’aedo Omero. Natio della Tracia, Ares ha conosciuto scarsa celebrazione nell’antichità mentre un suo culto sembra riemergere nella Russia dell’era di Putin.

Dalla sua ascesa al Cremlino, scavando nella tradizione bellica zarista, Putin si è fatto portavoce di una rinnovata retorica guerresca in grado di fondere sport, spettacolo e soft-power elaborando una narrazione di potenza della Russia post-sovietica.  

Per l’ex ufficiale del KGB divenuto guida della Federazione russa, l’obiettivo cardine del proprio mandato politico, dopo la traumatica cesura della fine dell’Unione Sovietica, è stata quello di risollevare le sorti di Mosca agli occhi del mondo ricostruendo il suo stato di super potenza. La via per archiviare le difficoltà dell’era El’cin e riportare la Russia sul palcoscenico globale è stato il rafforzamento dell’apparato militare russo.

Come ricostruisce in maniera puntuale e precisa l’esperto Mark Galeotti nella sua ultima pubblicazione per la casa editrice Gremese,  tale cammino di rafforzamento e rinnovamento della macchina bellica di Putin è stato possibile attraverso l’esperienza di conflitti ad alta e bassa intensità, dalla seconda guerra cecena fino al conflitto siriano e alla questione ucraina.

 I diversi conflitti nelle aree dell’Estero Vicino russo (Cecenia, Georgia e Donbass) e nei nuovi contesti militari del Medio-Oriente (Siria) hanno consentito all’apparato militare del Cremlino di dare risposte alle criticità emerse nella catena di comando, alle debolezze storiche della logistica militare di Mosca e alla necessità di superare le logiche di masse dell’esercito ex sovietico con professionisti altamente specializzati.

Tale complesse riforme, in parte riuscite e in parte risultate fallimentari, come dimostrato dalla Guerra in Ucraina scoppiata nel 2022, sono state messe in campo da uomini vicinissimi a Putin che hanno operato alla guida del Ministero della Difesa in fasi diverse ma con un percorso lineare mirato a razionalizzare e modernizzare la macchina militare russa.

Tre uomini in particolare rappresenteranno dei punti cardine di questo processo. Tre figure diverse una dall’altra ma scelti e voluti da Putin come Ministri della Difesa: Sergej Ivanov, Anatolij Serdukov ed infine Sergej Sojgu. A loro Il compito di avviare, implementare e concretizzare le riforme dell’esercito, lottando contro le ritrosie di generali e dei c.d “mangiatori di metallo” (definizione data da Krushev alle imprese del settore militare sovietico).

Da evidenziare come tutti e tre queste figure non siano originarie dell’ambiente strettamente militare ma scelti per vicinanza a Putin e competenze civili. Ad avviare le riforme dell’esercito verrà infatti chiamato un ufficiale di successo del KGB, Ivanov, mentre negli altri due casi si tratterà di figure amministrative, Serdukov dal Servizio Fiscale Federale e Sojgu dalla Protezione Civile Russa.

Queste scelte sembrano indicare la volontà di Putin di traghettare la forza bellica russa dalla pura ebbrezza bellica di Ares/Marte ad una razionalizzazione ispirata ai precetti della Metis, l’intelligenza operativa bellica, di Atena. L’offensiva in Ucraina ha in tal senso contraddetto tale strategia putiniana di lungo percorso evidenziando errori evidenti nella gestione delle operazioni militari, con un uso grossolano della pura potenza, una sbagliata pianificazione e un ritorno a quella concezione del conflitto “marziana”, un sacrifico di vittime innocenti da sacrificare all’ “eversor di città, Marte omicida, che sol nel sangue esulti”

Exit mobile version